LA MEDICINA COME MISSIONE: IL DOTTOR FRANCO SOLINAS, UOMO DI VASTA CULTURA

Franco Solinas

di LUCIA BECCHERE

Il dottor Franco Solinas era nato a Sassari nel 1939 dove si era laureato in medicina e chirurgia a 24 anni col massimo dei voti discutendo una tesi sull’ereditarietà del diabete con successiva specializzazione in malattie dell’apparato digerente e dell’apparato respiratorio. All’Università aveva conosciuto quella che sarebbe stata la sua compagna di vita, la ginecologa Gonaria Capelli e per lei si era trasferito a Nuoro, rinunciando alla carriera universitaria per lavorare nel reparto di medicina al San Francesco come assistente del prof. Serafino Manca, figura di grande statura morale e professionale, per lui un maestro di vita. Nel 1983 si era classificato ai primi posti al concorso nazionale e fu aiuto del prof. Licinio Contu, primario della divisione di medicina e ricercatore di grande fama. Spinto dal un forte desiderio di conoscenza, conseguì anche il diploma di specializzazione in diabetologia, memorabile la conferenza che, in merito a quella disciplina, aveva tenuto alla Satta di Nuoro nel 1985. Benché si dedicasse in particolare modo alla cura dei pazienti oncologici, non trascurava altre branche della medicina, come la reumatologia e la gastroenterologia.

Franco Solinas succederà a Contu alla conduzione del reparto di medicina fino al pensionamento avvenuto nel 2009. Suo il merito di avere creato e coordinato tre distinti reparti: malattie infettive sotto la sua guida, geriatria con Bustianu Sale primario e oncologia con Gennaro Landriscina.

Riteneva fosse giusto informare il paziente sulle sue reali condizioni cliniche e curarlo con umana professionalità. Il lavoro come missione, prima di ogni altra cosa il rispetto e la dignità dell’ammalato a cui doveva essere garantito il diritto al trattamento necessario per alleviare il dolore. Autorevole e carismatico, non scendeva mai a compromessi.

“Sempre disponibile nell’adempimento del proprio lavoro – racconta il cognato Paolo Capelli -, curava il paziente a prescindere, carcerati e brigatisti erano per lui esseri umani da assistere e queste persone non esitavano a ringraziarlo per l’umanità con cui venivano trattati. Sosteneva che prima di ogni altra cosa occorreva soddisfare i bisogni del malato, il medico in funzione del paziente e non viceversa. Eroe silenzioso, faceva il proprio dovere nella sua quotidianità, con umiltà e abnegazione.

Uomo di vasta cultura – prosegue Capelli -, con lui si poteva discorrere su qualsiasi tema. Leggeva moltissimo, amava la musica classica e il jazz. Bravissimo in matematica, aveva l’hobby della fotografia, del bricolage, si applicava in tutto, insomma era manos de oro”.

Amava la campagna, per questo aveva acquistato un terreno a su grumene dove produceva un vino eccellente. Poi messo in guardia sulla scarsa sicurezza dei luoghi, non aveva esitato a lasciare.           

Una grave malattia lo aveva aggredito per tre lunghi anni, grossi problemi articolari ostacolavano una normale deambulazione, ma della sedia a rotelle ne faceva volentieri a meno perché non voleva godere di alcun privilegio.  

“Ha vissuto il suo stato di sofferenza con serena accettazione e con molta riservatezza – conclude Capelli –. Nel volersi sottrarre alla compassione di quanti lo conoscevano, si rifugiava al mare per lunghi periodi. Gli sono stato sempre vicino nel decorso della sua lunga malattia e lo ricordo gioviale fino alla fine perché la sofferenza non aveva mai spento il suo sorriso”.

 E’ morto nel 2018, all’età di 79 anni.

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