A CAPRERA IL COMPENDIO GARIBALDINO E LA VITA PRIVATA DI GIUSEPPE GARIBALDI: INTERVISTA A GIOVANNA MILIA, ASSISTENTE TECNICA DEL MUSEO

di FRANCESCA BIANCHI

A Caprera, nel verde rigoglioso della vegetazione mediterranea, circondata dal mare incontaminato dell’arcipelago di La Maddalena, sorge la casa di Giuseppe Garibaldi. A partire dagli anni ’70 del secolo scorso l’abitazione è stata aperta come Compendio Garibaldino Si tratta di un luogo di straordinaria bellezza in cui è ricostruita in maniera rigorosa la vita intima di uno dei personaggi più celebri dell’Ottocento. A Caprera Garibaldi visse dal 1856 al 1882, anno della morte. Qui avviò la sua azienda agricola, coltivando personalmente l’orto, il frutteto, il vigneto e l’uliveto. Fu lui, nel 1867, in occasione della nascita della figlia Clelia, a piantare il maestoso pino che si può ammirare ancora oggi al centro del giardino. In questa dimensione bucolica visse momenti sereni, lontano dalla politica e dalle grandi imprese. A Caprera è sepolto, nel piccolo cimitero di famiglia.

Guidata da Giovanna Milia, assistente tecnico dei Musei Garibaldini, ho avuto il piacere di realizzare un reportage in questo luogo della memoria, alla scoperta della vita più intima e degli aspetti meno noti dell’ “Eroe dei Due Mondi”. La dott.ssa Milia ha rilasciato una bella intervista in cui ha ripercorso la storia di questo posto tanto amato da Garibaldi. Ho visitato la celebre “Casa Bianca”, una dimora semplice, con stanze comunicanti e la camera in cui Garibaldi morì e da cui, nelle giornate più serene, lo sguardo può spaziare fino alla Corsica. Giovanna Milia ha affermato che la casa è stata concepita in funzione della disabilità di Garibaldi, un aspetto su cui i libri di storia non si soffermano molto. Garibaldi era disabile e non nascose mai la sua condizione: soffriva di artrite deformante, a cui si aggiunsero i postumi della ferita riportata in Aspromonte il 29 agosto 1862. La Milia ha parlato del mito di Garibaldi, dei suoi interessi, del rapporto con la fede, dell’amore per gli animali; si è soffermata su alcune curiosità relative alla vita che Garibaldi e la sua famiglia trascorsero a Caprera, facendo luce su multi aspetti sconosciuti dell’eroe del Risorgimento italiano.

Giovanna, ci racconti come e quando nacque il legame tra Caprera e Garibaldi. Quando decise di acquistare l’isola? Come si presentava originariamente la casa? Garibaldi era il proprietario di buona parte dell’isola di Caprera. Aveva acquistato diversi lotti di terreno a partire dal 1855. Era stato a Caprera quasi casualmente nel 1849, quando, dopo la caduta della Repubblica Romana e la morte della prima moglie Anita, venne arrestato e mandato in esilio. Quando decise di acquistare un terreno in Sardegna, sondò prima la zona di Santa Teresa di Gallura, poi, viste le conoscenze che già aveva a La Maddalena, gli consigliarono di acquistare un terreno a Caprera. In uno di quei terreni esisteva un piccolo fabbricato, un rudere, che probabilmente un pastore corso utilizzò come ovile per i propri animali. Garibaldi lo ristrutturò e lo ampliò; con il legname portato da Nizza, sua città natale, costruì una casa di legno. A partire da quel momento si stabilì sull’isola. Nel frattempo iniziò la costruzione della cosiddetta “Casa Bianca”, che si ispira molto alle facciate delle “fazende” sudamericane. Per costruire la casa è stato utilizzato il granito dissodato dal terreno. A partire dal 1861, dopo la spedizione dei Mille, ampliò il lato della casa che fino al 1959 è stato abitato da Clelia, la prima figlia avuta da Francesca Armosino e l’ultima a morire. Alla nascita di Clelia, avvenuta il 16 febbraio 1867, il Generale piantò un pino monumentale che ancora oggi si può ammirare.

Cosa sappiamo dell’azienda agricola che Garibaldi impiantò a Caprera? Nel gennaio del ’57, a seguito di un incidente con la sua imbarcazione, Garibaldi rinunciò all’attività marinara e si dedicò completamente all’agricoltura. Tra un’impresa e l’altra riuscì a impiantare un’azienda agricola. Incontrò più di qualche difficoltà, perché l’isola è sempre stata particolarmente rocciosa e non c’è mai stata acqua. Tutto ciò che si vede è macchia mediterranea, vegetazione spontanea: c’è il mirto, il lentischio, gli olivastri, alcuni olivi li ha piantati lui stesso. Qui a Caprera visse con la sua famiglia e una trentina di uomini, alcuni dei quali lo seguivano sin dai tempi dell’esilio sudamericano. Al fine di migliorare la qualità di vita a Caprera, si circondò di ingegneri, tecnici, personale qualificato. Tutto questo, mentre conduceva le imprese che noi conosciamo grazie ai libri di storia.

Riuscì ad avere anche l’acqua diretta all’interno dell’abitazione, una cosa eccezionale a quei tempi. In un’isola in cui non c’era acqua, Garibaldi era riuscito ad avere acqua potabile diretta all’interno della sua abitazione. A quei tempi non era cosa da poco. Tutti questi miglioramenti sono arrivati con gli anni grazie al suo intuito e anche grazie ai consigli che riceveva dagli esperti. A Caprera, nel 1862, Garibaldi è stato il primo a possedere una macchina a vapore, che era un generatore di energia al cui interno c’era una caldaia.
L’ambiente che ospita la cucina era semplice, ma fornito di tutto. Cosa sappiamo delle abitudini alimentari di Garibaldi? Garibaldi era di buona forchetta: seguiva una cucina semplice, contadina, con tante contaminazioni, a cominciare da quelle liguri, come il minestrone alla genovese e il pesto, passando per la cucina tradizionale gallurese, fino ad arrivare a quella sudamericana. Mangiava spesso la carne secondo l’uso argentino. Esternamente c’è un forno, una delle prime costruzioni ricavate nella roccia, che sfornava anche cinquanta pagnotte al giorno. Il pane si conservava per tutta la settimana. Il grano lo producevano loro; producevano tutto ciò che consumavano.

Oggi cosa è conservato all’interno dell’edificio che ospitava la stalla? Nella stalla, che ospitava le mucche e i cavalli, sono esposti tanti oggetti, nel tempo divenuti cimeli, molti dei quali avevano un’altra collocazione. Ci sono strumenti marinari e attrezzi agricoli. Due selle argentine, risalenti agli anni ’40 dell’Ottocento, sono tra i cimeli più vecchi custoditi nella stalla. C’è anche una vasca da bagno che dice molto delle abitudini di Garibaldi, il quale soffriva di artrite deformante ed era un igienista: aveva l’abitudine di fare spesso bagni di acqua fredda o calda. Probabilmente faceva il bagno nella stalla perché l’ambiente era caldo, vista la presenza degli animali.

A Caprera si circondò di animali: cani, ma anche pecore e mucche, che servivano per la produzione di beni per la famiglia. Aveva un grande rispetto nei confronti di tutti gli animali. Non bisogna dimenticare che Garibaldi è stato tra i soci fondatori dell’ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali). Aveva una grande sensibilità nei confronti degli animali, anche per le api e gli insetti. A proposito di api, si dedicava anche all’apicoltura. Uno dei simboli del suo amore per gli animali è la cavalla che gli venne donata a Marsala dopo lo sbarco dei Mille, avvenuto l’11 maggio 1860. La cavalla l’ha accompagnato durante la spedizione dei Mille, lui poi l’ha portata a Caprera, facendola vivere in libertà tra gli altri animali. Quando morì, vecchissima, a 30 anni, Garibaldi la seppellì e gli dedicò una lapide, oggi custodita nella stalla.

Quali funzioni aveva la cosiddetta “Casa di ferro”, in cui oggi è esposta una parte della biblioteca del Generale?  La “Casa di ferro” è rivestita di una particolare copertura di rame ondulato che protegge gli interni, tutti in legno. La casa gli è stata spedita tutta smontata da Londra; Garibaldi e i suoi amici l’hanno rimontata qui sull’isola. Inizialmente è stata utilizzata come casa d’appoggio per gli ospiti, poi come segreteria. Lui riceveva tanti pacchi postali, centinaia di migliaia di lettere. Accatastava la posta qui e lentamente, insieme ai suoi segretari, rispondeva alle numerose lettere. Ultimamente all’interno della “Casa di ferro”, e in parte anche all’interno della “Casa Bianca”, è stata allestita la biblioteca di Garibaldi, che possedeva migliaia di libri, una parte dei quali è stata venduta. Circa 3000 sono rimasti a Caprera.

Cosa ci dicono questi libri degli interessi di Garibaldi? Da questi libri si capiscono gli interessi di Garibaldi. I libri più sfogliati sono quelli di agricoltura, apicoltura, letteratura; leggeva Foscolo e Dante, che spesso citava nei suoi discorsi pubblici. Tra l’altro, si dice che sul letto di morte avesse accanto a sé la Divina Commedia. Ci sono diverse raccolte dedicate all’astronomia, alla massoneria, all’emancipazione femminile; facevano parte della ricca biblioteca di Garibaldi anche molti libri sugli animali e alcuni volumi contro la pena di morte. Leggere per lui era un momento di riposo e di pace. Molti libri sono intonsi.

Garibaldi aveva seri problemi di deambulazione a causa dell’artrite deformante. Riceveva diversi ausili ortopedici direttamente dai vari produttori. La casa è stata costruita tenendo ben presente la disabilità del Generale, un aspetto che spesso molti ignorano. La casa ha una planimetria con stanze intercomunicanti. Tutte ruotano intorno all’ambiente centrale, dove c’è la scala a chiocciola che conduce alla torretta e, quindi, alla terrazza. La casa è stata costruita con criterio e resa accessibile ai problemi motori di Garibaldi. Tanti produttori di ausili ortopedici del tempo erano particolarmente sensibili all’artrite deformante di cui Garibaldi soffriva già dai tempi dell’esilio in Sudamerica. Molti ausili ortopedici gli venivano regalati: lui li pubblicizzava; oggi diremmo che veniva usato come sponsor. Una carrozzina gli è stata spedita da Londra nel 1862-1863, dopo il ferimento sull’Aspromonte del 29 agosto 1862. Nel 1880 dalla ditta Baldinelli di Milano gli venne regalato un lettino che si trasforma in poltrona e lettiga. Una poltrona in pelle, regolabile in funzione dei suoi movimenti, gli venne donata nel 1877 dalla futura regina Margherita di Savoia. Gli storici hanno cercato quasi di nascondere questo lato, nonostante lui non avesse mai nascosto di soffrire di questa malattia degenerante, che peggiorava ogni volta che subiva delle ferite in battaglia.

Quanto alla vita privata di Garibaldi, è noto che ebbe moltissime donne. Quante mogli e quanti figli ha avuto? Ha avuto tre mogli e otto figli. La prima moglie, Anita, è la più nota, considerata l’amore per eccellenza di Garibaldi. Anita gli ha dato quattro figli. È mancata prima che Garibaldi arrivasse a Caprera. Nella vita del Generale sono entrate moltissime donne. Ha avuto relazioni anche con donne straniere e una figlia nata da una relazione con una governante. Lui ha riconosciuto questa figlia, dandole il nome di Anita. Si è sposato una seconda volta, poco prima di partire per la spedizione dei Mille. A Como, infatti, conobbe la figlia illegittima del marchese Giorgio Raimondi Mantica Odescalchi, la marchesa Giuseppina Raimondi; nel giro di un mese i due si fidanzarono, ma il giorno stesso delle nozze Garibaldi scoprì che la nobildonna aspettava un figlio da un altro uomo. L’ha ripudiata, ma ha dovuto aspettare vent’anni per ottenere l’annullamento del matrimonio. Nel frattempo conobbe Francesca Armosino, astigiana, che aveva 40 anni meno di lui e arrivò a Caprera nel 1866 per fare da balia ai nipoti del Generale, figli di Teresita, che era quasi coetanea di Francesca. Fu lei ad accudirlo negli anni della malattia e ad assisterlo fino all’ultimo. Da lei ebbe gli ultimi figli: Clelia, Manlio e Rosa, che purtroppo morì a 18 mesi e fu la prima ad essere seppellita nel piccolo cimitero di famiglia.

La camicia rossa, diventata il simbolo dei garibaldini, è entrata nel mito. Qual è l’origine di questa divisa? Perché Garibaldi scelse camicie rosse per i suoi volontari? Garibaldi curava sempre il suo aspetto: camicia rossa, jeans (è stato uno dei primi ad indossarli), il famoso “poncho”, che ha conosciuto in Sudamerica e non ha mai smesso di indossare. Anche la camicia rossa è originaria del Sudamerica. Garibaldi doveva vestire il suo esercito di legionari italiani che combattevano per difendere la Repubblica dell’Uruguay dal dittatore argentino Juan Manuel de Rosas. Intercettò uno stock di camicie rosse destinate ai “saladeros”, ossia ai macellai argentini. Il rosso doveva servire a confondere il sangue delle bestie macellate. Dopo vennero cucite appositamente per la spedizione dei Mille, quindi l’ultimo modello è stato adottato come divisa ufficiale dei Garibaldini.

Quali cimeli sono esposti nella casa-museo di Giuseppe Garibaldi? Esistono in Italia reliquie vere e proprie appartenute a Garibaldi: unghie, capelli, peli del ginocchio. Rientra tutto nel mito e nella leggenda sorti attorno alla sua figura. Al museo è esposto anche il calco originale della pallottola che ha ferito Garibaldi all’Aspromonte. Lo fecero eseguire i medici che estrassero la pallottola, al fine di studiare tutta la dinamica della ferita. Sono esposti fucili, sciabole, il mantello bianco, che si dice sia quello indossato quando ha incontrato a Teano il re Vittorio Emanuele e gli ha consegnato l’Italia del Sud.

Quando fu costruita l’ultima stanza di Garibaldi, quella che ospita il letto di morte? Nel 1880 la moglie Francesca Armosino fece un regalo a Garibaldi, che aveva manifestato il desiderio di avere una finestra che gli permettesse una vista solo sul mare: fece ampliare la casa, aggiungendo una stanza per permettere al Generale di muoversi facilmente con la carrozzina. Venne costruito un corridoio per la camera matrimoniale, la cui porta era più larga; in questa maniera il Generale poteva passare agilmente. Garibaldi si fece posizionare un letto in questa stanza, proprio di fronte alla finestra che gli offriva la vista più bella. All’orizzonte, infatti, c’è la Corsica. Pare che il suo sguardo si perdesse nostalgicamente oltre la Corsica, rivolto forse a Nizza, sua città natale che Cavour cedette alla Francia, con grande dolore di Garibaldi, che tanto aveva lottato per unire l’Italia. In questa stanza c’è anche una piccola farmacia: non dimentichiamo che non esisteva il ponte di Caprera, quindi c’era bisogno di avere qui un piccolo pronto soccorso. Ci sono medicine e tanti prodotti a base di erbe. Tra i vari prodotti conservati, ci sono medicinali usati per trattare la gotta e i dolori causati dall’artrite. Il calendario è fermo alla data della sua morte: i familiari decisero di non sfogliarlo più e bloccarono anche le lancette dell’orologio.

Che rapporto aveva con la fede? Aveva un pessimo rapporto con la Chiesa, ma aveva un suo credo, che era molto legato al rispetto della natura, delle piante, degli animali. Credeva in Dio, ma non nella Chiesa cattolica e nei preti.

Garibaldi è sepolto a Caprera, nel piccolo cimitero di famiglia. Chi riposa nelle altre tombe presenti nel cimitero? Cosa sappiamo delle ultime volontà del Generale? La prima tomba è la tomba di Rosa, figlia di Francesca e sorella di Manlio e Clelia, morta a 18 mesi, quando Garibaldi era impegnato in Francia nell’ultima sua battaglia. Francesca decise di conservare la salma di questa figlia. Con una lettera annunciò a Garibaldi la morte della piccola. Lui al suo ritorno volle seppellirla a Caprera. Qualche anno dopo, all’età di 16 anni, morì Anita, la figlia avuta da una governante. Teresita è l’unica dei quattro figli avuti da Anita ad essere seppellita qui. La tomba del Generale è al centro. Garibaldi aveva espresso su un testamento più volte rivisto la volontà di essere cremato all’aperto su una pira. Voleva che una parte delle sue ceneri venisse custodita all’interno di un’urna di granito e che questa fosse posizionata vicino alle tombe delle figlie che già erano state seppellite qui. Quando Garibaldi spirò, la notizia della morte arrivò subito a Roma al Governo, così le sue volontà divennero di dominio pubblico. Il Governo non voleva che il corpo dell’eroe della patria andasse bruciato e disperso. La tendenza all’epoca era quella di conservare. Mentre si discuteva per prendere una decisione finale, il corpo di Garibaldi è stato sottoposto a un trattamento chimico per tardarne il processo di decomposizione. Il Governo spingeva perché il suo corpo fosse trasportato a Roma, in quanto voleva che i funerali di Stato fossero celebrati a Roma e il corpo venisse seppellito al Pantheon. I familiari tennero duro e l’8 giugno 1882, sei giorni dopo la sua morte, i funerali vennero celebrati a Caprera alla presenza di tante persone. Oltre a Rosa, ad Anita e a Teresita, nel piccolo cimitero di Caprera è sepolta la famiglia che ha vissuto qui nell’ultimo periodo: il figlio Manlio, morto nel 1900, Francesca Armosino, l’ultima moglie, morta nel 1923, e infine la figlia Clelia, morta nel 1959. Clelia è stata l’ultima dei figli di Garibaldi a morire; fino al 1959 ha potuto conoscere tutti i politici del tempo che venivano qui nelle grandi occasioni.

Veniamo a Forte Arbuticci, fortezza che dieci anni fa è stata trasformata nel Memoriale Giuseppe Garibaldi. Come è stato concepito e cosa rappresenta oggi il Forte? Come è strutturato? Il Memoriale è una fortezza militare costruita intorno al 1890, quando Garibaldi era già morto. In quegli anni tutta la Sardegna nord-occidentale, compreso l’arcipelago de La Maddalena, fu interessata da un importante progetto difensivo delle coste. Questo progetto ha visto la costruzione di molti fortini e altre opere difensive. Arbuticci è la zona che ha dato il nome al fortino. Con la ristrutturazione di Arbuticci, nel 2012 è stato aperto il Memoriale, che rappresenta un museo multimediale dedicato alla vita di Garibaldi, dalla nascita alla morte. Al Compendio, che rappresenta la casa di Garibaldi, vengono raccontate la sua intimità, la sua storia privata e pubblica. Al Memoriale, invece, viene amplificato tutto ciò che si legge sui libri di storia, ma in maniera moderna e coinvolgente: c’è una ricostruzione storica che si avvale di apparati multimediali, come proiezioni e strumenti vari che colpiscono la parte sensoriale. Un museo innovativo – il primo in Italia interamente dedicato ad una figura storica – che offre un viaggio virtuale nella vita e nelle imprese del Generale. I quattro corpi principali del forte sono divisi in tredici sezioni, ciascuna dedicata ad un periodo o ad un aspetto significativo della vita del Generale. Al loro interno circa duecento pezzi, fra opere e documenti, ripercorrono la sua vita, le sue gesta e il suo peregrinare nei cinque continenti. La maggior parte dei pezzi esposti appartiene alla raccolta del collezionista maddalenino Mario Birardi, con alcuni importanti documenti dall’archivio storico del Comune di La Maddalena. Dagli spalti si gode una meravigliosa vista sull’arcipelago e sulle coste della Corsica.

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