LA SARDA BARBARA FAEDDA E L’ITALIAN ACADEMY A NEW YORK: IL GIOIELLO PREZIOSO DELLA COLUMBIA UNIVERSITY

Barbara Faedda – Foto di Terry W. Sanders

di NICOLA CORRADI

Nel cuore della Columbia University c’è un gioiello di sei piani che spicca tra gli edifici del campus universitario più famoso dell’Upper West Side.

E’ la sede dell’Italian Academy, fondata nel 1991 sulla base di un accordo tra la Columbia e la Repubblica Italiana e che, prima di quell’anno, si chiamava “Casa Italiana”. Con il nuovo ciclo iniziato sotto la guida dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che ne diventa presidente onorario come saranno poi tutti i successivi inquilini del Quirinale, nasce così un centro di studi avanzati. Niente studenti, ma solo accademici da livello di post dottorato in su, che trascorrono lì uno o due semestri solo per condurre la loro ricerca. 

Ad accoglierci è la Direttrice esecutiva Barbara Faedda (Direttore è il noto storico dell’arte David Freedberg): abiti eleganti e postura istituzionale, perfettamente in sintonia con l’atmosfera che si respira nelle stanze dell’Academy. È romana e a New York ci è arrivata dopo un periodo a Boston insieme al marito, romano anche lui e impegnato nel mondo universitario. Si sono trovati con le stesse passioni e dalla Capitale sono sbarcati oltreoceano. 

Lei è Executive Director da quasi 16 anni e l’Academy la sente ormai come una seconda casa. “Nonostante io sia qui dal 2006, vedo ancora tante potenzialità ed è per questo che continuiamo a creare progetti, con grande soddisfazione del governo italiano che in questa istituzione vede il centro accademico più prestigioso a livello internazionale”. 

La struttura è una gioia per gli occhi. La pianta interna ricorda quella di un edificio rinascimentale: c’è la loggia da cui Faedda parla, lo studiolo, il teatro e il cortile interno, oltre a una splendida biblioteca destinata ai membri dell’Italian Academy che conserva ancora il suo originale pavimento in sughero. “È stato scelto apposta per non disturbare – spiega – perché è un materiale su cui non si sentono i passi quando le persone camminano”. 

Il governo italiano è proprietario del palazzo, acquistato per 17 milioni di dollari suddivisi in due funzioni differenti: 7 per il restauro, 10 come base che la Columbia investe e da cui ogni anno ricava una somma con cui finanziare le iniziative e i fellow.

Oltre ai dipendenti abituali, l’Academy ospita infatti diversi profili scelti tra studiosi che dimostrano particolari doti accademiche. In condizioni normali sono una ventina, ma anche durante la pandemia, pur con fatica, l’organizzazione è riuscita ad aprire le porta a un numero considerevole di fellows. 

“La nostra caratteristica principale è quella di essere multidisciplinari e internazionali. Abbiamo fellowship che vanno dalle neuroscienze alla storia, dalla filosofia all’antropologia”. 

Studiosi di tutte le età che, quando la pandemia è scoppiata nel marzo del 2020, si sono ritrovati nel giro di pochi giorni senza più una casa in cui poter stare. “È stato davvero un brutto momento, perché la Columbia ha chiuso e molti fellow che vivevano in residenza non riuscivano a organizzare i viaggi di ritorno verso le loro famiglie: non si trovavano i biglietti e nemmeno le mascherine. Ma una volta rimandati quasi tutti a casa il programma è ripreso e i Fellow hanno potuto continuare i loro seminari settimanali che sono necessari per completare il percorso all’Academy”. 

In tanti anni di attività, Faedda ha visto passare decine di eventi. Ne ricorda due con particolare affetto: il Simposio annuale sul giorno della memoria, istituito nel 2008 e l’International Observatory for Cultural Heritage, lanciato nel 2016. “L’Italia non è un leader internazionale in molti campi, ma se c’è un settore in cui ha un primato incontrastato è quello dei beni culturali”.

Poi, durante la pandemia, anche alla Columbia hanno dovuto aprire le porte alla rivoluzione digitale. “Per salvare il salvabile abbiamo ripensato tutta la programmazione. Non avevamo grande esperienza di eventi online, perché il nostro punto forte è questo palazzo e quindi siamo sempre stati abituati a organizzare iniziative in presenza”. 

Con impegno, però, il passaggio all’online è stato portato a termine, permettendo a chiunque, anche dall’Italia, di assistere agli appuntamenti newyorkesi.

Ma ora che la morsa della pandemia si fa meno forte e che con l’arrivo della primavera anche l’umore delle persone migliora, il futuro si guarda con più ottimismo.

“Noi, da settembre, prevediamo di avere tutti i Fellow in presenza. Probabilmente alcune conferenze rimaranno da remoto, per non rischiare di bruciare qualche organizzazione particolarmente delicata, ma la maggior torneranno ad essere di persona. Il 25 febbraio abbiamo ufficialmente riaperto il palazzo al pubblico e abbiamo potuto toccare con mano la gioia nel vivere di nuovo un evento culturale seduti uno di fianco all’altro”.

Mentre parla dei progetti in arrivo, alla Dottoressa Faedda brillano gli occhi. È felice all’idea di tornare a far scoprire ai visitatori le bellezze dell’Italian Academy. Parla dell’edificio come fosse un figlio: un figlio studioso che, dalla cultura italiana, è rimasto stregato. 

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