SA FILONZANA, SA GRASTULA, MARIA BURRA E TANTE ALTRE: LE MADRI DEL CARNEVALE SARDO

Sa Filonzana

di CLAUDIA ZEDDA

Il suo significato sfugge a chiunque lo voglia acchiappare: è divertente ma pure misterioso, antichissimo e attuale, fa sorridere ma delle volte spaventa un po’.

Festa delle feste, matrioska di cerimonie sacre, nel Carnevale sono confluiti in epoca di cristianizzazione rituali di varia natura: di fertilità, di abbondanza, per propiziare la pioggia, la salute, la protezione personale un tempo sparsi nel ciclo di un intero anno ed infine accorpati tutti nel carnevale, periodo in cui erano consentite esuberanze pagane che già in epoca di quaresima dovevano essere espiate. Per la serie: hai voluto la bicicletta? E ora pedala.

Il carnevale sardo, il Carrasegare, su Carnevali è di tutti. E’ dei sardi, delle maschere, dei bambini, delle piazze, dei giornali, dei blog, dei paesi, dei fotografi, dei ricordi. Le uniche alle quali il carnevale sembra non appartenere sono le donne. Ma le cose stanno realmente così?

Qualunque sia il Carnevale che si sceglie di visitare, e in Sardegna c’è davvero l’imbarazzo della scelta, qualcosa salta subito all’attenzione:

sono occhi chiari di bambino o di uomo che risaltano da dietro il carbone, sono le pelli di animale, il frastuono, sono gli stivali tirati a lucido, i canti, sono le corde, sono i campanacci che scandiscono il trascorrere del tempo o il fuoco che eccita, riscalda, fa battere più forte il cuore grazie a quel matrimonio con il vino celebrato tutti gli anni in occasione del Carrasegare. A tutta prima tutti elementi prepotentemente maschili.

I Mamuthones accompagnati dagli Issohadores li conosciamo tutti, e sono uomini o essenze maschili; ci sono anche i Boes e Merdules, sos Thurpos, su Bundu, e s’Urthu, tanto per citarne alcuni, e ancora una volta tutte figure riconducibili al mondo maschio; tutte maschere maschili dunque, o ritenute tali, e indossate tendenzialmente da uomini. Sembra che tutto lo confermi, il carnevale in Sardegna è una festa da uomini, e invece no. Improvvisamente, quando meno te lo aspetti, salta fuori un fazzoletto di donna, o un corpetto rosso, o un fuso, o una madre, chiaramente del Carnevale.

Tra gli elementi del vestiario, gli issohadores, indossano al rovescio (come la mastruca dei mamuthones) il corpetto rosso dell’abbigliamento maschile o quello variamente colorato del vestiario femminile”, ci dice Dolores Turchi, e ancora “I Merdules indossano pelli di pecora  e talvolta abiti femminili neri con il caratteristico scialle”.

Il mamuthone, porta un pesante grappolo di campanacci da bue legato sul dorso, e una collana di sonagli più piccoli e leggeri appesi al collo, e ha sul volto la “visèra”, la maschera nera e il fazzoletto femminile avvolto intorno al capo”.  Poi c’è “S’Urzu, il capobranco del carnevale

samughese. E’ rappresentato da un uomo che indossa un’intera pelle di caprone nero, con una vera testa di caprone con lunghissime corna, il capo è coperto da un fazzoletto nero di donna, rappresentando così una figura androgina…”.

I capi di abbigliamento femminile ritornano piuttosto comunemente, spesso indossati al contrario a sancire forse l’antichissimo legame con il femminino e con il mondo dei defunti. D’altronde il capovolto in Sardegna è indiscusso legame con il mondo dei morti: la casa dei morti è un luogo identico a quella dei vivi,  posto però esattamente al contrario. Indossare un capo di vestiario al contrario significa dunque identificarsi con quel mondo, voler vestire i panni di anima trapassata, in questo caso magari di una donna o di uno spirito femminile in connessione con il mondo dei defunti.

Ma c’è dell’altro. Forse oggi il carnevale è cosa per uomini, ma le donne pur assenti ne sono signore invisibili e onnipresenti. Questa storia l’abbiamo già sentita no? Come a dire che la donna non c’è e forse per questo si fa sentire ancor di più. Ce lo consigliano alcune maschere che non possono passare inosservate. Alcune sono delle vere e proprie super star del Carnevale isolano, altre sono chiacchierate, altre ancora ignorate.

Quando la si incontra, non la si temesse, verrebbe da chiederle l’autografo: alcuni le strappano addirittura una foto. A portarne le vesti è un uomo, ma è indiscutibile che sa Filonzana sia donna divina o in contatto con il divino. Come di ogni super star che si rispetti della Filonzana (colei che fila), è stato detto di tutto e il contrario di tutto. Di certo c’è che veste di nero, che indossa una maschera scura, che avanza claudicante con in mano un fuso e che è donna. Sfila ad Ottana, la conoscono anche ad Oschiri (Maria Filatrice), ne è attestata la presenza a Sedilo e Ula Tirso e pure ad Ulassai. Quella di Ottana però è la più conosciuta: durante la sfilata è lei che esce per ultima, lo fa da sola, e chiude la processione di maschere. Qualcuno l’ha definita “s’urtima. Est sa chi serrat s’isfilada àghinde a cumprendere chi issa es sa mere, defininde in custa manera su passàggiu de émmina e òmine” (per approfondire “Diosa, Bundu, Carrasegare” di Joyce Mattu).

La si conosce di meno, ma durante il carnevale a Gadoni sfila un’altra donna: è detta sa Gràstula, maschera di femmina stracciata e vecchia che fa la sua apparizione con un fuso in mano. Qualcosa di molto simile a s’Ingràstula, la pettegola, di Tertenia che invece si cimenta in un’impresa diversa. Porta con sé manciate di crusca, cenere e coriandoli e li lancia contro i passanti. E’ detta anche sa femmina anziana filendi dietro la quale si nasconde un uomo mascherato da donna anziana vestita a lutto, con in mano fuso e conocchia che partecipa al corteo principale allontanandosene con frequenza allo scopo di raggiungere gruppetti di ragazze e donne. Getta loro indosso crusca, cenere e coriandoli. Un tempo poteva portare con sé un barattolo in latta contenente piccoli topi che all’occorrenza liberava causano il fuggi fuggi generale.

Fa qualcosa di simile anche s’Ingràstula di Osini che sfila con un corpetto indossato al contrario, una gonna nera e un mantello rosso. Nel grembiale nasconde la crusca, si accompagna ad alcune donne giovani che dovrebbero essere sue figlie e al collo porta il fantoccio di un neonato. La crusca, a mo’ di buon auspicio la lancia in viso a tutte le persone che può raggiungere. Per le giovani donne è un augurio davvero felice. La figura della filatrice, che evidentemente accomuna molti carnevali isolani, lungi dal voler rappresentare esclusivamente una parodia dell’attività femminile sembra in grado di decretare felicità e sventura, abbondanza o penuria, vita o morte dei partecipanti al Carnevale.

In Sardegna esistono almeno altre due donne mitiche in forte contatto con i cereali e gli scarti della lavorazione dei cereali: sono le streghe e le panas, ma questa è tutta un’altra storia… o forse no?

Poi c’è Maria Burra: sfilava ad Orgosolo con indosso una vecchia coperta (sa burra appunto) e andava in giro con cercine e zucca in testa. Questa era colma di vino (un tempo probabilmente acqua) che dispensava con un grande mestolo di sughero.

Insomma una figura di donna nascosta dietro la maschera, in grado di portare auspici di fecondità alle giovani donne (la Ingràstula di Osini), salute grazie all’acqua offerta (Maria Burra di Orgosolo) e a tempo debito capace di mettere fine alla vita, metaforicamente intesa come filo in mano alla Filonzana (la filatrice).

Non è un caso che Luisa Orrù l’abbia definita “la Madre del carnevale”, ben nascosta dietro mille maschere di uomo ma presente, silenziosamente, da sempre, per sempre.   

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