IL CULTO DI SANT’ANTONIO ABATE IN SARDEGNA: I FUOCHI CHE TRA IL 16 E IL 17 GENNAIO SI ACCENDONO PER CELEBRARE L’INIZIO DEL CARNEVALE

di ROBERTA CARBONI

Il culto verso Sant’Antonio Abate è uno tra i più sentiti in Sardegna e rimanda ai celebri fuochi che, tra il 16 e il 17 Gennaio, si accendono in tutta l’isola per celebrare l’inizio del Carnevale.

Secondo la tradizione cristiana Sant’Antonio – protettore degli agricoltori – morì ultra centenario il 17 Gennaio. Il cristianesimo, com’è noto, ha assunto fin dalle origini il compito di mediare il passaggio tra antichi culti agricoli pagani e nuove festività di precetto. La Chiesa, dunque, ha cristianizzato nella figura del santo eremita un culto ben più arcaico, teso a risvegliare la luce dopo il buio dell’inverno. Nell’antichità il ciclo vitale della Natura veniva scandito attraverso rituali ben precisi atti a celebrare i vari periodi di nascita, quiescenza e rinascita a cui si legano, inevitabilmente, riti ancestrali le cui origini, tuttavia, si perdono nei secoli. Tanti sono i simboli arcaici di morte e rinascita che ancora oggi lo testimoniano, a partire dall’inseparabile maialino che accompagna Sant’Antonio nelle varie raffigurazioni iconografiche.

L’animale, che nel cristianesimo diventa simbolo delle numerose “tentazioni” del santo, nei culti pagani rimanda ad Iside, dea egizia per la quale era sacro, ma anche all’antica Grecia, in particolare il culto di Demetra (Cerere per i romani), associata alla terra e alla fertilità (il nome Demetra significa “dea madre”), nel quale si era soliti sacrificare un maiale da offrirle in dono. Non è un caso che, in numerose raffigurazioni, Demetra sia accompagnata, tra gli altri attributi iconografici, da un maialino, esattamente come Sant’Antonio Abate.

Sant’Antonio è una delle più grandi figure dell’ascetismo cristiano primitivo: egli visse in solitudine, tra il III e il IV secolo, nel deserto della Tebaide, dove subì continue tentazioni, uscendone sempre vittorioso.

Le immagini e le statue del santo, come ad esempio, quella che si può ammirare nella facciata della chiesa a lui dedicata in via Manno, a Cagliari, lo rappresentano in genere con una lunga barba, un bastone di ferula a cui si appoggia e con un maialino ai suoi piedi. Proprio il porcellino, identificazione fisica del male, come si è detto, è elemento essenziale nell’iconografia di Sant’Antonio.

Nel suo libro “Leggende e tradizioni di Sardegna” Gino Bottiglioni racconta un’interessante leggenda legata al fuoco e a Sant’Antonio Abate, poi ripresa da Claudia Zedda nel suo libro “Creature fantastiche in Sardegna”. In tempi lontani gli uomini, non avendo il fuoco, invocarono Sant’Antonio. Il prezioso elemento era custodito negli Inferi, ma egli non si fece intimorire da questo ostacolo: si recò davanti all’ingresso in compagnia del maialino e del bastone di ferula e attese di poter entrare. I demoni custodi dell’Inferno fecero entrare solo il maialino, in quanto peccatore, ma quest’ultimo creò subito una tale confusione da richiedere l’ingresso anche del santo. Approfittando dell’occasione, Sant’Antonio si avvicinò alle braci con il suo bastone di ferula e rubò il fuoco. Uscito dagli Inferi donò il prezioso elemento ai sardi, gridando: ”Fuoco, fuoco per ogni luogo! Legna, legna per la Sardegna!”.

Impossibile, a questo punto, non cogliere la palese similitudine con l’eroe mitico Prometeo che rubò il fuoco agli dei per restituirlo agli uomini, pur incorrendo nelle ire di Zeus. La descrizione che la leggenda dà del protagonista, poco ha a che vedere con un santo. Ruba il fuoco, anche se al demonio, e si dimostra ingannevole e astuto. Tutte caratteristiche che si adattano meglio a un eroe pagano qual è ad esempio Prometeo. Anche il fatto che il fuoco sia custodito sottoterra, negli inferi, rimanda a tempi arcaici, ovvero a quando questo prezioso elemento non poteva che essere custodito dalle divinità ctonie, abitanti del sottosuolo.

La connessione tra Sant’Antonio Abate, il fuoco e il maialino è forte anche nella medicina popolare, in relazione alla quale il santo egiziano è invocato come santo taumaturgo in numerosi “brebus”, le preghiere e gli scongiuri popolari utilizzati per proteggere gli uomini e gli animali nelle più svariate situazioni negative. Il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” o “fuoco di Satana”, scientificamente conosciuto come “herpes zoster”, è una malattia virale che coinvolge la cute e le terminazioni nervose. Si manifesta attraverso macchie cutanee simili a bruciature che provocano un dolore insopportabile. Il nome deriva dal fatto che, secondo la tradizione agiografica, il santo ne fu affetto.

Per la cura del morbo, in Sardegna venivano utilizzati vari rimedi che differivano da parte a parte dell’isola. La più frequente era una pomata preparata con grasso di maiale alla quale venivano aggiunte alcune erbe (salvia, timo, menta) che veniva spalmata su tutto il corpo o solo sulle zone interessate. L’operazione, ripetuta più volte, alleviava le sofferenze, sebbene la malattia avesse bisogno del suo corso. In alternativa al grasso del maiale si utilizzava l’olio d’oliva o il latte. L’unguento così preparato veniva poi spalmato sul corpo disegnando una croce. Un altro rimedio era l’utilizzo della pietra focaia e un pezzetto di acciaio. Le scintille prodotte dallo sfregamento continuo della pietra nel metallo, accompagnate da precise formule atte ad invocare Sant’ Antonio Abate, venivano direzionate sulla fronte del paziente inginocchiato.

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