LA QUESTIONE DEGLI ASSEGNI SUPPLETIVI AL CLERO SARDO (FEBBRAIO 1853): FRA STORIA FISCALE, ECONOMICA ED ECCLESIASTICA

di GIANRAIMONDO FARINA

Un altro campo che vide protagonista Giuseppe Sanna Sanna, di cui quest’anno ricorre il Bicentenario della nascita (Anela, 1821- Genova, 1875) fu quello relativo ai rapporti fra Stato e Chiesa. E, piu’ precisamente, ci riferiamo all’annosa questione relativa all’abolizione delle decime al clero sardo, varata con la legge del 15 aprile 1851 ed entrata in vigore solo il 1 gennaio 1853. A questa avrebbe dovuto far seguito l’entrata in vigore di un progetto di legge relativo alla riorganizzazione e riduzione delle circoscrizioni del personale ecclesiastico in Sardegna. Questo progetto di legge veniva elaborato da un’ apposita commissione  di senatori e deputati sardi, incaricati dall’intero gruppo dei parlamentari dell’isola di studiare i problemi connessi con l’abolizione delle decime e, come si legge dalla loro relazione, “di ideare un piano di riforma ecclesiastica analogo alle nostre circostanze, e riferirne per indi presentare al Ministero il frutto delle loro osservazioni”. Una commissione che aveva tenuto i suoi lavori  fra il marzo e l’aprile 1852 a Torino, negli ambienti della Gran Cancelleria. Al termine, oltre ai verbali delle sedute, veniva pubblicata una lunga relazione con vari allegati annessi. Relazione presentata ed illustrata  il 28 febbraio 1853, preceduta di qualche giorno dal primo, autorevole, intervento parlamentare in merito di Giuseppe Sanna Sanna.

Per capire meglio, e brevemente, il contesto politico-parlamentare in cui il deputato anelese esordiva , occorre precisare che ci troviamo nel pieno della IV Legislatura del Regno di Sardegna (dal 20 dicembre 1849 al 20 novembre 1853), partita con le elezioni delle tornate 7, 8 e 9 dicembre 1849. I presidenti di Senato e Camera erano, rispettivamente, il sardo Giuseppe Manno (Senato)  e Pierluigi Pinelli, poi sostituito da Urbano Rattazzi (Camera). Per quanto riguarda gli esecutivi, si susseguiranno i governi D’Azeglio I, il terzo in assoluto della legislatura costituzionale (in carica dal 7 maggio 1849 al 21 maggio 1852), seguito dal D’Azeglio II (dal 21 maggio 1852 al 4 novembre 1852) e dal primo governo Cavour ( in carica dal 4 novembre 1852 al 4 maggio 1855).  L’elezione di Giuseppe Sanna Sanna, avveniva nel collegio di Cagliari II nelle suppletive del 5 e 6 aprile 1851, nella IV Legislatura  del Parlamento del Regno di Sardegna. Per la precisione, in quel collegio, in data 21 gennaio 1851, si dimetteva il deputato Domenico Fois, consigliere d’appello in quiescenza.

L’affermazione di Sanna Sanna, con  86 voti contro 36, si registrava per l’esattezza nel ballottaggio del 6 aprile 1851 a discapito del potente consigliere d’appello Francesco Maria Serra, esponente della “camarilla isolana”, più volte avversata dal nostro dalle pagine della “Gazzetta Popolare”. Tuttavia, a seguito di quasi un anno di contestazioni, relative alla questione della gerenza del giornale (aspetto per cui Sanna Sanna si trovò realmente ad essere perseguitato), l’elezione del deputato anelese veniva, finalmente, approvata e ratificata dalla Camera il 18 aprile 1852. Anche in merito a ciò vi sarebbe molto e tanto da scrivere visto che, dai documenti esaminati dal sottoscritto, il caso Sanna Sanna del 1851-52 può benissimo essere definito come una delle primissime richieste di autorizzazione a procedere ( poi negata) della storia parlamentare italiana.

Un altro aspetto di particolare interesse, poi, riguarda, come accennato, l’oggetto ed il tema del primo intervento parlamentare fatto dall’appena eletto deputato. Ossia: che interesse aveva realmente Sanna Sanna ad affrontare questioni specifiche di diritto ecclesiastico, legate, precipuamente, ad aspetti anche economici e fiscali? Ed in questo senso entrava “in gioco” la sua prima formazione giuridica, di stampo canonista. Per l’esattezza, stando ai documenti forniti dall’ ateneo cagliaritano, facoltà di Giurisprudenza, lo studente Giuseppe Maria Sanna Sanna conseguiva il baccellierato il 27 settembre 1838 (giorno della festa patronale di Anela) all’ età di 17 anni, cui seguiranno la licenza  il 13 gennaio 1841 all’età di 20 anni e la laurea, il 28 luglio 1842, all’età  di 21 anni. Ora, se per la laurea, conseguita nell’anno accademico 1841-42, il giovane  anelese aveva svolto una tesi in diritto romano sul testamento, dal titolo “De injusto, rupto, et facto testamento”, quel che, invece, più interessa, perché strettamente legato alle tematiche oggetto del suo primo intervento parlamentare del 1853, e’ il percorso di studi svolto dal 1838 al 1841 per conseguire la licenza. Un “cursus studiorum” che , nell’anno accademico 1840-41, culminava con il conseguimento della licenza in diritto canonico, con una tesi dal titolo quantomai significativo ed attuale, anche per i tempi, ossia: ” De jure pontificis maximi in beneficiis conferendis”. Ossia, per la precisione, Sanna Sanna, per elaborare la sua tesi di licenza aveva scelto il diritto canonico (aspetto diffuso all’epoca), e di questa materia, però, ne aveva studiato un tema particolare relativo ai benefici ecclesiastici. Aveva svolto la sua dissertazione sul diritto del pontefice di conferire i benefici ecclesiastici , masse patrimoniali destinate al sostentamento dei chierici (vescovi e presbiteri) titolari di uffici ecclesiastici. Patrimoni tutti che, con la successiva legislazione eversiva del Regno Sardo, saranno, in gran parte, incamerati dallo Stato. Per spiegare e meglio delineare i “contorni” entro i quali Sanna Sanna svolgeva il suo primo solenne intervento parlamentare, non si può non prescindere, dunque, da questo aspetto. E, prima di arrivare alla discussione in aula sul progetto di legge in merito agli assegni suppletivi al clero sardo, che si concludeva nel febbraio 1853, occorre, brevemente, accennare all’annosa e centrale questione che l’aveva preceduta, per cui il più grande studioso nostrano dei rapporti tra Stato e Chiesa, Arturo Carlo Jemolo, l’ aveva definita la prima grande questione di diritto ecclesiastico moderno avuta in Italia: ossia l’abolizione delle decime al clero sardo e tutto il complesso dibattito che ne era seguito. Abolizione sancita con la pubblicazione della legge 15 aprile 1851, ma entrata in vigore soltanto il 1 gennaio 1853. Nel mezzo e prima, a partire fin dal maggio 1850, un lungo ed interessante dibattito che, naturalmente, aveva visto protagonista  Giorgio Asproni, segretario, poi, dell’apposita commissione di deputati e senatori sardi, istituita nel 1852, sul pdl di riordino e di riorganizzazione ecclesiastica dell’isola e che prevedeva anche il progetto di assegni suppletivi per il clero sardo. Un dibattito che, purtroppo, per i motivi già citati, concernenti una richiesta di autorizzazione a procedere, non poteva, al momento avere come protagonista Giuseppe Sanna Sanna, che tanto, vista anche la sua preparazione, avrebbe avuto da dire in merito. Pertanto, non si può capire la questione degli assegni suppletivi al clero sardo, se prima non si accenna alla “vexata quaestio” della decima.

In Sardegna, occorre ribadire, tale imposizione, definita “di diritto divino”, gravava principalmente sull’agricoltura.

 Pastori e contadini dovevano versare annualmente la decima parte del loro prodotto lordo. Questo doveva avvenire prima di detrarne le spese di lavorazione assorbendo una percentuale molto alta del 10% della produzione netta. Situazione insostenibile che, in annate scarse, avrebbe potuto configurare, se rapportato, un prelievo anche del 30 o 40 %. Andando, poi, ad esaminare, il lungo ed intenso iter parlamentare che aveva portato alla storica abolizione, si possono rilevare questi passaggi fondamentali di cui tener conto. Il 27 maggio 1850 veniva presentata una prima relazione del deputato torinese Giuseppe Sappa, con annesso progetto di legge dell’apposita commissione di cui lo stesso faceva parte. Il 19, 24, 26 e 27 giugno la Camera discuteva ed approva il progetto di

legge. Il 6 luglio il ministro, il cavouriano Costantino Nigra, presentava  in Senato il progetto di legge già approvato alla Camera. La camera alta lo approvava con leggere modifiche. Il 26 novembre 1850 il progetto di legge e la relazione della commissione venivano nuovamente presentati con relatori, questa volta, i sardi Francesco Sulis e Salvatore Angelo De Castro. Il 2 dicembre 1850 avveniva la discussione ed approvazione alla Camera. Il 10 dello stesso mese veniva ripresentato al Senato lo stesso progetto approvato dalla Camera. Il 27 febbraio 1851 si discuteva il progetto di legge  in Senato, a seguito di una lettura di un’altra relazione redatta da una nuova apposita commissione senatoriale avente come relatore il nobile senatore cuneense Massimo Cordero Di Montezemolo. Il progetto di legge veniva, quindi, approvato in tale assemblea il 7 marzo 1851. Il 24 marzo  il ministro Costantino Nigra relazionava alla Camera sul progetto di legge modificato ed approvato in Senato. Il 2 aprile 1851, sempre nella seconda camera, veniva presentata la relazione di un’altra commissione  di  deputati con relatore il nobile professore ozierese Bernardo Falqui Pes (altro avversario di Sanna Sanna) che raccomandava alla Camera l’approvazione del progetto votato  al Senato. Approvazione che avveniva, senza modifiche, il 5 aprile 1851. Il 15 aprile, quindi, si procedeva alla sanzione regia ed alla pubblicazione della legge che aboliva le decime in Sardegna. Legge che, però, entrava in vigore il 1 gennaio 1853.

 Nel mezzo, appunto, un periodo di quasi due anni, all’interno del quale si sarebbe dovuto discutere un nuovo progetto di legge che avrebbe dovuto sistemare e riordinare tutta la materia ecclesiastica nell’isola e di cui la questione degli assegni suppletivi da corrispondere al clero, privato della cospicua decima, rappresentava il nodo cruciale. Ed è in quest’arco di tempo, in concomitanza con l’abolizione delle decime nell’isola, che veniva elaborato tale pdl dalla citata commissione di senatori e deputati sardi , avente in Asproni il segretario, il maggiore fautore e l’elemento di spicco. Per la precisione si trattava di un progetto di riduzione e di riorganizzazione delle circoscrizioni territoriali e del personale ecclesiastico della Sardegna. Riforma, come detto, da attuarsi in concomitanza con l’abolizione delle decime la cui  entrata in vigore, per la legge 15 aprile 1851, era stata, appunto, fissata al 1 gennaio1853. Questo progetto, in cui rientrava anche la questione degli assegni suppletivi del clero sardo, veniva elaborato dalla citata  commissione di senatori e deputati sardi, incaricata dall’intero gruppo dei parlamentari isolani. La suddetta commissione, da cui, per i summenzionati motivi era assente Sanna Sanna, risultava composta da cinque membri. Il presidente era il senatore e magistrato bittese Giuseppe Musio. Seguiva il militare cavouriano cagliaritano Carlo De Candia, nel 1851 anche commissario regio durante la discussione del progetto di legge sul riordinamento delle contribuzioni prediali in Sardegna, aspetto cui accennerà Sanna Sanna nel suo intervento. Vi erano poi il nobile deputato e docente universitario ozierese di fede cavouriana Bernardo Falqui Pes e, soprattutto, due nomi sardi “pesanti” dell’epoca. Innanzitutto il lanuseino Cristoforo Mameli, zio di Goffredo, già ministro della Pubblica Istruzione nel 1849-50 nel governo D’Azeglio, avversato da Cavour e criticato anche da Sanna Sanna da posizioni differenti. Per finire, ovviamente, con l’altro deputato bittese, nonché “motore” occulto di questa commissione, l’allora canonico Giorgio Asproni. Che sia stato quest’ ultimo il vero “motore” ed orientatore della commissione é fuor di dubbio e viene confermato da una lettera “Riservatissima” ritrovata in copia nella munitissima “Collezione Musio” . Infatti,  nella missiva, datata Cagliari 8 febbraio 1848, ed indirizzata ad un non meglio identificato destinatario, Asproni  esponeva segretamente le sue idee di riforma. Ed i successivi suggerimenti della commissione non faranno che riprendere e sviluppare le “insinuazioni” asproniane, ossia: la creazione di un apposito Economato Generale al fine di raccogliere i redditi dei benefici vacanti; la riduzione delle Diocesi; la soppressione delle Chiese Collegiate; la diminuzione del numero dei canonici; il divieto di ammissione al Noviziato nel clero regolare, preludio delle successive soppressioni. “In un decennio”- chiosava il politico bittese- “la Sardegna vedrebbesi purgata di frati, ed esonerata affatto dal pagamento delle decime, sovrabbondando i mezzi di stipendiare decorosamente il clero, e di passare una vitalizia pensione ai religiosi che sopravviverebbero alla soppressione dei loro conventi”. Osservazioni che, però,  dovevano ben stonare con la reale condizione economica del clero isolano  e motivo per cui tutte le proposte rimasero tali od inserite nel più ampio e complesso processo giurisdizionalista  avviato nel Regno di Sardegna con le Leggi Siccardi del 1850, implementato dal neogiurisdizionalismo cavouriano ed acuite con la crisi Calabiana . Un disegno in cui ben s’inseriva l’altra proposta di legge, quella degli assegni suppletivi al clero sardo, argomento anch’ esso toccato dalla ricordata commissione ed introdotto alla Camera, con Sanna Sanna ora, finalmente, deputato a tutti gli effetti, da una relazione  presentata dal ministro di Grazia e Giustizia Boncompagni. Perché ,dunque, assegni supplettivi? Semplicemente  perché, ormai, la data fatidica del 1 gennaio 1853 di entrata in vigore della legge di abolizione delle decime era imminente ed ancora non si era provveduto a come mantenere il clero isolano, dal momento che avrebbe cessato la percezione della rendita delle decime. Una tematica di cui i parlamentari sardi eletti erano ben consapevoli, soprattutto in un momento in cui l’isola, dopo l’entusiasmo per la fusione perfetta con gli Stati Sardi di Terraferma, ora si ritrovava, pero’, alle prese con i suoi irrisolti e secolari problemi. C’é anche da scrivere che la relazione introduttiva al progetto di legge, sebbene non l’avesse esplicitamente citata, faceva, comunque, riferimento alla più volte ricordata commissione interparlamentare di sardi avendo con essa alcuni punti di contatto come, in questo caso: ricorso ad una fase provvisoria in attesa di un nuovo Concordato tra il Regno di Sardegna e la Santa Sede; riduzione degli assegni durante questa fase; spese per il mantenimento del clero a carico dei comuni; aumento del numero delle parrocchie. Il primo discorso parlamentare di Sanna Sanna, vista anche la sua preparazione sul tema dei benefici ecclesiastici, oggetto della sua tesi di baccellierato, non poteva non avere un ‘incipit’ più appropriato. L’ “homo novus” anelese lo pronunciava il 23 febbraio 1853, sotto la presidenza Rattazzi della Camera e nel pieno della discussione sul progetto di legge per gli assegni suppletivi al clero sardo che, iniziata il 21 febbraio, si concludeva il 28 febbraio impegnando quasi tutti i deputati isolani e vedendo presente, con più interventi, lo stesso Cavour, presidente del Consiglio.

Giuseppe Sanna Sanna, quindi, interveniva nella seduta del 23 febbraio alla fine del terzo giorno di discussione avente ad oggetto il progetto di legge per gli assegni suppletivi al clero della Sardegna. Un discorso scevro da dotti riferimenti, ma quantomai concreto e realista, frutto di quello che lui definiva un “ragionamento ordinato e semplice”. Ed il primo punto di partenza non poteva che essere quella più volte citata legge 15 aprile 1851  in cui veniva sancita l’abolizione della decima. “Una legge che, se applicata, avrebbe”- riprendeva sarcasticamente l’ “homo novus” anelese- ” provveduto alla rigenerazione progressiva dell’isola”. Sanna Sanna, infatti, con molto realismo e disillusione sottolineava come quella legge sia seguita, al momento da un altro provvedimento, ancor più gravoso e nocivo di quello delle decime. Il progetto di legge sugli assegni suppletivi al clero sardo, presentato alla Camera già a novembre 1852, partiva, quindi, con un rimando a tempo indeterminato della tanto conclamata riforma generale del clero isolano e che Sanna Sanna definiva molto gravoso soprattutto per i comuni sardi. E’ molto interessante, a questo punto, come egli, pur sostenendo in linea di massima il progetto della commissione interparlamentare sarda, da una posizione libera ed indipendente (in quanto non facente parte del predetto organo) giustificava le posizioni. Innanzitutto Sanna Sanna era stato uno dei primi deputati ad aver, in un certo senso, anticipato l’istituzione della c.d. “congrua statale per il clero ”  in Italia. E questo si coglieva bene nel passaggio in cui affermava che “il principio per cui la retribuzione da assegnarsi al clero di Sardegna s’appoggia ad un principio applicabile  a tutto lo Stato e ad un diritto speciale da applicarsi alla Sardegna”. Alla base, in sostanza, stavano l’art.1 dello Statuto e le leggi 15 aprile 1851 e 14 luglio 1852. La posizione del deputato anelese contro l’obbligo di mantenimento del clero ai comuni sardi, pertanto, assumeva una nitida conformazione, soprattutto nella parte in cui egli caldeggiava, originalmente, tale obbligo in capo allo Stato. Dopo di che Sanna Sanna passava a discutere in merito alla questione delle spese di bilancio per il Culto per cui nel conto passivo della Grande Cancelleria erano state certificate spese per 951.875 lire, “pagate indistintamente da tutti i cittadini dello Stato” . A questo, faceva poi seguito un invito a riconsiderare nel suo complesso e definitivamente la situazione ecclesiastica sarda: un paese, allora di 500 mila abitanti, 11 vescovi, 12 chiese cattedrali, 6 collegiate e 94 conventi. Una condizione che grava verso una terra che “per altri mali dello Stato suda, per versare il suo obolo nel tesoro della nazione”. Di seguito il deputato anelese , da pratico e concreto uomo di legge, passava ad affrontare la grande questione del contributo prediale dell’isola, introdotta nel 1850. Si trattava di un’ imposta unica meglio ripartita, il pagamento della quale avrebbe potuto mantenere le spese per il Culto a carico dello Stato. Posizione, che, come rilevava Sanna Sanna, aveva trovato il parere favorevole dell’apposita commissione e del ministro della pubblica istruzione, il sardo Cristoforo Mameli. Ministro che, purtroppo, a causa della sua “giravolta” doppiogiochista, veniva pubblicamente attaccato da Sanna Sanna nella seduta del febbraio 1853 in questo emblematico passaggio: “(…) Ed intanto sapete voi, o signori, chi era il ministro che pronunciava quelle parole? (…) Era il deputato Mameli, che avant’ieri (tornata 21 febbraio 1853) sosteneva che la retribuzione da darsi al clero in sostituzione delle decime dovesse gravitare principalmente sui poveri comuni sardi”. Sanna Sanna, quindi, forte delle sue convinzioni, andava avanti illustrando come il progetto di legge avesse trovato il parere favorevole al Senato e, come, una volta ritornata alla Camera, tale legge fosse stata approvata con la garanzia che al mantenimento del clero  sardo avrebbe provveduto lo Stato.  Il vero problema, per il nostro deputato era la questione fiscale legata ad un equa ripartizione del tributo prediale fra le regioni più ricche dello Stato e le più povere come la Sardegna. Un’imposizione che non aveva tenuto conto di tanti fattori e che, purtroppo, per l’isola, non tenendo conto della sua speciale condizione, con la legge 14 luglio 1852 era stato fissato nel 10%.  Imposizione da cui il governo ritraeva ben oltre l’ammontare dell’antico tributo”. “E con l’isola che”- denunciava Sanna Sanna- ” si trovava a pagare in proporzione una tassa maggiore di quella pagata dalle altre province, agendo pienamente in surroga all’imposizione della decima”. Il deputato anelese procedeva, poi, con lucidità e cognizione di causa, adducendo che il vero motivo per cui il governo non aveva provveduto per legge alla fissazione del tributo prediale, quando si doveva discutere la legge sul riordinamento dello stesso tributo, era dovuto al fatto che si dovevano attendere gli esiti dei catasti provvisori e soprattutto dell’abolizione delle decime. Posizione pilatesca che non lo aveva sottratto perfino a criticare l’atteggiamento arrendevole dei deputati sardi e dei componenti di quella famosa commissione di cui non faceva parte. Motivo per cui egli invocava, concludendo, una base di parità di trattamento tra continente ed isola in merito all’utilizzo dei beni del clero. “Un continente”- affermava il deputato anelese- “dove i beni del clero lasciati in sue mani, vengono da esso fruiti liberamente senza controllo”.  E dove, l’affrancamento dalle decime era avvenuto realmente a beneficio dei comuni. Non come in Sardegna dove, invece, a seguito dell’abolizione delle decime, si erano estesi altri gravami, contribuendo all’accrescimento ingiustificato del contributo prediale.  Molto toccante, poi, si rilevava il passaggio finale in cui si possono notare già altri aspetti salienti delle future battaglie politico-parlamentari di Sanna Sanna e che possono essere ben sintetizzate in quell’allocuzione conclusiva : “(…) Giustizia voglio e non commiserazione”. Giustizia nel senso che questa era dovuta per legge, per necessità  e per trattamento. E che la sua non fosse la solita lagnanza querula che aveva caratterizzato l’azione di gran parte dei deputati sardi di allora, ben lo dimostra il passaggio in cui, sottolineando ed auspicando la giusta partecipazione ” di tutti i cittadini dello Stato alle spese per il Culto, anche la Sardegna , che  ora potrebbe avere dei benefici dall’ abolizione delle decime, pagherebbe quello che le spetterebbe seguendo l’abolizione delle decime in altre province dello Stato”. Una dichiarazione che va’ oltre il mero rispetto di un giusto trattamento e che può essere inteso anche come sintomo di una particolare sensibilità  verso tematiche attinenti alla libertà religiosa  e di culto. Tutti aspetti da cui l'”homo novus” anelese, per estrazione sociale e formazione culturale e politica, non era estraneo.

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