IL SIMBOLO MILLENARIO DEL CULTO DELLE ACQUE: IL POZZO SACRO DI SANTA CRISTINA NEL TERRITORIO DI PAULILATINO (OR)

di FRANCESCA BIANCHI

Rappresenta il culmine dell’architettura dei templi delle acque. È così equilibrato nelle proporzioni […], studiato nella composizione geometrica […], così razionale […], da non capacitarsi […] che sia opera vicina all’anno 1000 a.C. Con queste parole Giovanni Lilliu, decano dell’archeologia sarda, descrive il Pozzo Sacro di Santa Cristina, in territorio di Paulilatino (OR), il più rappresentativo e misterioso pozzo nuragico della Sardegna. Ho avuto il piacere di visitare l’area archeologico-cultuale di Santa Cristina, accompagnata da Massimo Muscas, presidente della Società Cooperativa Archeotour, che gestisce il sito archeologico del Pozzo di Santa Cristina, e dall’archeologo Mauro Mariani. Sono rimasta in estatica contemplazione al cospetto di questo capolavoro architettonico: è forte il senso di fascino, suggestione, magia che il Pozzo Sacro emana e trasmette a chi si mette in ascolto del suo mistero e si lascia pervadere dalla sua straordinaria energia e dalla sua potenza millenaria. L’equilibrio, l’imponenza, la solenne perfezione di questo gioiello dell’architettura sacra sarda sono la manifestazione del sublime che si respira in questo antico luogo di culto.

Mauro Mariani ha raccontato che il Parco archeologico di Santa Cristina comprende anche un antico villaggio cristiano costruito intorno a una piccola chiesa campestre risalente al 1200 circa. Proprio questa chiesetta ha dato il nome all’intero parco e ai monumenti di età nuragica. Nel parco è inoltre presente un villaggio abitativo che ha conosciuto più fasi di vita, senza soluzione di continuità, dal 1500 a.C. fino al VI sec. d.C. circa. L’archeologo si è soffermato molto sull’importanza del pozzo dal punto di vista religioso e ha parlato degli scavi condotti dal prof. Enrico Atzeni negli anni Sessanta, nel corso dei quali è stato possibile portare alla luce statuine in bronzo e in ceramica raffiguranti degli offerenti che portano in dono offerte alla divinità o che si toccano alcune parti del corpo in segno di ringraziamento per la guarigione da una particolare infermità. Da questo si intuisce che all’acqua i Nuragici attribuivano anche capacità di guarigione. Questo non deve stupire, se consideriamo che sin in dai primordi dell’umanità l’acqua ha assunto un forte valore simbolico. L’acqua è fonte di vita, è attributo e massima espressione della Madre Terra; all’acqua veniva attribuita una valenza magica: aveva la capacità di purificare, guarire, rigenerare, far rinascere. Lo studioso si è infine soffermato sull’importanza astronomica del pozzo, un aspetto su cui si è indagato molto, soprattutto in questi ultimi anni.

Ringrazio di cuore il gentilissimo Massimo Muscas, Presidente della Cooperativa Archeotour, per aver organizzato la mia visita a Paulilatino, pianificando nei minimi dettagli le varie tappe del mio reportage, e l’archeologo Mauro Mariani, guida preziosa che con professionalità, passione e grande coinvolgimento ha rievocato la storia di uno dei luoghi più misteriosi e affascinanti di tutta la Sardegna.

Dott. Mariani, cosa sappiamo del Parco archeologico di Santa Cristina di Paulilatino? Come è strutturato? Quali caratteristiche presenta? All’interno del Parco archeologico di Santa Cristina di Paulilatino, esteso per circa 14 ettari, si può fare una sorta di viaggio nel tempo, dal momento che ci sono diversi monumenti legati alla storia della Sardegna. La parte più recente del complesso è quella del villaggio cristiano, dove sorge la chiesetta costruita intorno al 1200 dai frati Camaldolesi di Santa Maria di Bonarcado. A dare il nome all’intero parco e quindi anche al Pozzo Sacro e al nuraghe è la chiesa, questo perché non abbiamo fonti scritte sulla civiltà nuragica; quindi, a dare il nome ai monumenti di età preistorica è il monumento più recente. Dedicata a Santa Cristina, la chiesa è costruita in basalto, pietra di origine vulcanica presente in tutto il territorio, che è utilizzata sia nel pozzo sacro che nel nuraghe e anche nelle casette che sorgono intorno alla chiesa, i cosiddetti “muristenes”. Questi edifici risalgono all’incirca al XVIII secolo, con restauri avvenuti in tempi recenti, ma probabilmente riprendono nella loro planimetria le cellette dei monaci che vivevano qui in età medievale. I muristenes vengono utilizzati ancora oggi per accogliere i pellegrini due volte l’anno: in occasione della festività di Santa Cristina, che si celebra la seconda domenica di maggio, e per San Raffaele, celebrato la quarta domenica di ottobre. Nei dieci giorni che precedono queste due feste si svolgono le novene, che prevedono una messa serale. Tra i partecipanti alla messa, c’è chi si ferma anche a cena e a dormire e trova ospitalità nei muristenes.

Cosa sappiamo del villaggio abitativo presente nel parco e degli scavi ivi condotti? Nel parco è presente anche un villaggio abitativo che ha conosciuto più fasi di vita dal 1500 a.C. fino a circa il VI sec. d.C., quindi dall’età nuragica alla prima età medievale, come attestano gli scavi svolti a più riprese: i primi, risalenti agli anni Settanta, hanno interessato il nuraghe; altri scavi risalgono agli anni Duemila, mentre gli ultimi, ripresi nel 2018, sono ancora in corso. La maggior parte del villaggio è ancora da scavare, è stata scavata soltanto la parte recintata attorno al nuraghe. Nell’ultima fase di frequentazione dell’abitato la parte a ridosso dell’ingresso è stata interessata da un’area di necropoli; gli scavi hanno infatti permesso di portare alla luce alcune sepolture a inumazione di età medievale. Alcune sepolture furono ritrovate anche all’interno del nuraghe.
A proposito del nuraghe, come è costruito? Quale funzione aveva? Il villaggio comprende anche un nuraghe monotorre, che ha un’altezza residua di circa sei metri e probabilmente all’origine era alto almeno sui 12-13 metri. Questo secondo livello era raggiungibile attraverso un vano scala realizzato nell’intercapedine della muratura. Costruito con la classica tecnica a tholos, il nuraghe era legato al controllo del territorio in una zona, come appunto questa, ricca di risorse legate non solo all’agricoltura e all’allevamento, ma anche risorse idriche e minerarie. Siamo a ridosso del Montiferru, zona ricca di miniere di ferro. Nello scavo svolto negli anni ’70 furono ritrovate tre sepolture nelle nicchie disposte a croce all’interno del nuraghe. In questa fase di età medievale il nuraghe venne trasformato quasi in un mausoleo, in una tomba monumentale.

Da chi era frequentato il villaggio santuario di Santa Cristina? Quale funzione avevano le strutture disposte attorno al pozzo? Che tipo di informazioni ci forniscono i rinvenimenti portati alla luce nel corso degli scavi? Il villaggio santuario di Santa Cristina si colloca tra XI e IX sec. a.C. Era frequentato non solo dall’abitato che si trova qui a poca distanza, ma da tanti villaggi sparsi nel territorio e non solo: possiamo immaginare un luogo centrale legato a diversi aspetti, non solo religiosi, ma anche relativi al commercio e alla politica, come si può intuire dalle strutture che si trovano attorno al tempio stesso. Attorno al pozzo, infatti, ci sono diverse strutture disposte quasi a comporre un semicerchio attorno al tempio. Queste strutture sono interpretate come botteghe, come luoghi commerciali dove i pellegrini potevano acquistare oggetti di culto, gli ex voto da dedicare all’interno del tempio, ma anche luoghi dove fermarsi per trovare ristoro e trascorrere la notte. Non è da escludere, infatti, che queste strutture avessero la funzione di accogliere i pellegrini, la stessa funzione che ancora oggi svolgono i “muristenes”. Sono rivolte verso il pozzo e si affacciano su un grande piazzale che prende il nome di “piazzale delle feste”, nome che gli è stato attribuito grazie al ritrovamento, in diversi santuari presenti nell’isola, di statuine di bronzo, i cosiddetti bronzetti nuragici, raffiguranti suonatori di flauto, scene di lotta, giochi equestri, che ci fanno pensare che questi ampi spazi fossero quasi come una sorta di grande teatro all’aperto per canti, balli, giochi sacri in onore della divinità. Questi piazzali, poi, saranno stati senz’altro anche luoghi di fiere di bestiame, mercati. Statuine di probabile produzione locale, ma di iconografia fenicia, fanno pensare a stretti rapporti commerciali con le città fenicie del Golfo di Oristano, come Tharros e Othoca. Viene, quindi, spontaneo pensare a mercanti fenici che, attirati da questo luogo commerciale, hanno dedicato quella che era la loro divinità, una statuina assisa in trono. Una grande capanna circolare era la capanna delle riunioni. Ha un sedile all’interno che scorre lungo la parete. Aveva una copertura in pale e frasche di legno che non si è conservata. All’interno della capanna si discuteva in merito alle sorti del santuario stesso, alla definizione di schieramenti tra villaggi, a come utilizzare le risorse del territorio. C’è chi ipotizza che in luoghi come questi si decidessero anche i legami matrimoniali per stabilire determinati rapporti tra i villaggi

Ora veniamo al Pozzo Sacro, considerato il più rappresentativo e misterioso pozzo nuragico della Sardegna e anche quello che si è conservato meglio. Dal punto di vista architettonico, come si presenta il Pozzo Sacro di Santa Cristina? Le testimonianze portate alla luce dagli scavi ci forniscono qualche indicazione in merito alla funzione che dovette ricoprire presso i Nuragici? Qual è, inoltre, la differenza tra un pozzo sacro e un pozzo semplice? L’aggettivo “sacro” differenzia il pozzo di Santa Cristina dai pozzi semplici che troviamo nei pressi dei nuraghi o dei villaggi abitativi. Qui la struttura è monumentale nelle forme e nelle dimensioni. Esternamente un tèmenos, un recinto di forma ellittica, lo circonda per intero. Si accede attraverso un atrio pavimentato che conduce verso un vano scala di forma trapezoidale: 25 gradini permettono di accedere a una camera sotterranea costruita a tholos, come quella che si trova all’interno dei nuraghi. Qui si trova subito la perfezione architettonica: i blocchi sono perfettamente squadrati e levigati; le pareti della scala sono aggettanti, ovvero si chiudono gradualmente verso l’alto. Questa chiusura aggettante, questa forma trapezoidale che si vede dall’alto, è ottenuta attraverso uno spazio, una risega di 2 cm che separa un filare dall’altro man mano che sale. Altra particolarità è la copertura della scala, realizzata con una serie di undici architravi che vanno a realizzare una scala rovesciata. Alcuni studiosi di storia delle religioni dell’antichità hanno ipotizzato che in età nuragica, all’interno dei templi a pozzo come questo, avvenissero dei riti di discesa, di purificazione, di immersione, una sorta di abluzione nell’acqua e infine di risalita, simbolicamente indicata da questa scala al contrario. All’interno si trova la fonte sorgiva, che è stata sempre presente, anche nei periodi di estrema siccità che hanno colpito l’isola.  Gli scavi, iniziati a partire dalla metà degli anni Sessanta dall’Università degli Studi di Cagliari e diretti da Enrico Atzeni, hanno permesso di riportare alla luce statuine in bronzo e in ceramica raffiguranti degli offerenti: figure umane che portano in dono offerte alla divinità o rappresentate nell’atto di toccarsi la testa, il petto, il ventre, raffigurate, quindi, nell’atto di ringraziamento. Si tratta di devoti che ringraziano in forma di ex voto per la guarigione da una particolare infermità. Questo ci dice che l’acqua era vista dalle genti nuragiche non solo come fonte di vita e massima espressione della Madre Terra, di una divinità femminile venerata nel tempio, ma anche come foriera di guarigione.

Alcuni studi condotti negli ultimi anni hanno cercato di fare luce sull’importanza astronomica del Pozzo Sacro di Santa Cristina. C’è chi ha sostenuto l’ipotesi che il pozzo fosse un osservatorio astronomico a carattere lunare. Inoltre, in occasione degli equinozi e del solstizio d’estate si verificano importanti fenomeni lunari e solari. Cosa possiamo dire dell’importanza dal punto di vista astronomico di questo posto magico? C’è una tripla valenza astronomica da considerare. A marzo e a settembre, nei giorni degli equinozi, il sole illumina interamente il vano scala e la camera sotterranea in cui si trova l’acqua. Se ci si posiziona nell’ultimo gradino in fondo alla scala, in posizione centrale, con il sole alle spalle, la propria ombra si specchia nell’acqua centralmente e poi si riflette a testa in giù nella parete frontale della camera a tholos, quindi si creano due ombre che quasi si toccano con la testa. Un altro fenomeno che si è iniziato ad osservare negli ultimi anni avviene nei giorni del solstizio d’estate, quando il sole entra dal foro della camera a tholos, andando a creare quasi una cascata di luce nei primi anelli della camera sotterranea.
Uno studio portato avanti negli anni Settanta da Carlo Maxia e Lello Fadda, con il supporto dell’astronomo Edoardo Proverbio, è stato ripreso negli anni Duemila dal prof. Arnold Lebeuf dell’Università di Cracovia. Lebeuf nel 2005 si è recato a Santa Cristina; in base alle misurazioni effettuate personalmente è riuscito a concludere che qui, ogni 18 anni e sei mesi, la luna si trova nel punto più alto del meridiano passante per il sito e va a specchiarsi nella vasca dell’acqua, passando sempre per il foro che si trova alla sommità della camera sotterranea. Questi 18 anni e sei mesi riprendono un moto millenario della luna conosciuto ancora adesso dagli astronomi contemporanei con il nome di “rotazione della linea dei nodi”, utilizzato per la previsione e il calcolo delle eclissi di luna. Lebeuf interpreta la camera sotterranea del pozzo con il suo foro come uno strumento, una macchina astronomica in grado di prevedere i moti lunari. Nel 2011, dopo anni di studi, l’accademico francese ha pubblicato il libro Il pozzo di Santa Cristina, un osservatorio lunare.

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