LA CURA DEL MONDO: MARIA CHESSA LAI, VOCAZIONE PER L’INSEGNAMENTO E L’AMORE PER LA POESIA

Maria Chessa Lai

di MATTEO PORRU

A Monti non arriva il rumore del mondo. Ma arriva l’inverno e arriva febbraio.

Maria nasce lì, nel freddo e nel 1922, con il Monte Limbara alle spalle, coperto di neve. Ma c’è solo nata. Perché l’infanzia, quasi tutta, la vive in Toscana, seguendo i tanti movimenti e le caserme del padre maresciallo.

Torna in Sardegna, a Tempio, quando è già ragazzina, gli studi classici li inizia bene e li finisce meglio. L’insegnamento le piace, la appassiona, ha la vocazione, la testa, l’empatia per farlo. E lo sa. Sulla laurea conseguita a Sassari c’è scritto Giurisprudenza, ma diventa maestra elementare poco tempo dopo. Il primo anno scolastico lo fa a Uri: in paese la chiamano tutti la “maestra in pantaloni” perché lì, un’insegnante vestita così, non si è vista mai.

Ma la sua vita è ad Alghero, il posto del cuore, con suo marito Giovanni e i cinque figli, dietro la cattedra dell’Escola Vella, le elementari del Sacro Cuore della città catalana, e lo sarà per più di quarant’anni, davanti a tantissimi bambini con gli occhi grandi e belli che la vita non sanno ancora che cos’è. E lei, da buona insegnante, lo spiega.

Ma mica è facile: perché ad Alghero, in quegli anni, l’Italiano non si parla ancora abbastanza. E Maria, che l’intelligenza acuta ce l’ha, capisce che serve un modo per aumentare il contatto, per entrare più a fondo nella realtà algherese, per capire meglio i bambini a cui insegna ogni giorno. E un modo c’è: il dialetto.

In città lo impara piano piano e piano piano se ne innamora. Capisce la sua bellezza, la versatilità. Di poesie ne ha scritte tante, saltuariamente, fin da bambina, complice il suo innato cuore buono e la cura per gli altri. Ma questa volta è un’altra storia, ben più grande, più costante. Il piacere di scrivere, per Maria, cambia forma e diventa un bisogno, uno sguardo sul mondo. Usa il catalano in poesia e ci gioca bene, benissimo.

Nel 1983, con “El temps de la mare”, uno straordinario e struggente viaggio di anime madri che vanno via, vince il Premio Oizieri. Per la prima volta: bissa nel 2002 con “Port Nimfeu”, una lirica intensa sulla natura, sul tempo e sul vero senso del ricordo nel mito; e per la terza volta nel 2009 con “Altre cant”, che racconta la fine del mondo di ognuno e la vita fragile che ci attraversa, che il tempo consuma presto e senza sconti.

Il dialetto catalano è delicato e prezioso. Va protetto, custodito, tutelato ma mai allontanato dagli altri suoni e dalle altre forme dialettali isolane.

Questo equilibrio Chessa Lai lo conosce bene e lo mostra in ogni occasione, negli anni di intensissima attività letteraria in giro per la Sardegna fra salotti, palchi e conferenze. Il Premio Rafael Sari, in quest’ottica, è perfetto. E infatti lo vince due volte, nel 1984 e nel 2008, rispettivamente, con “El Dia de Dèu” e “La Raò”.
Sono due le raccolte di poesie che raccolgono le tante liriche inedite: “Paraules” ma soprattutto “La mia mar”, del 1994 e del 2005, due pietre miliari della poesia sarda e soprattutto algherese. Con traduzione a fronte in italiano. Sillogi robuste, importanti, parti integranti e fondamentali del percorso di riscoperta e di valorizzazione della limba e incentrate sui temi cardine della poetica di Chessa Lai: affetti, tempo, ricordo, natura. Tante le collaborazioni, quelle con Guido Sari e con Claudio Calisai su tutte, nella stesura di raccolte e antologie.
A febbraio nasce e a febbraio muore, Maria, nel 2012. Tanti i riconoscimenti postumi che le vengono dati. Tante le generazioni di algheresi che sono andati nella sua casa vista mare per cercare conforto, aiuto o cultura. Tanto il rumore del mondo che lei ha ascoltato in silenzio e messo in versi, per renderlo un suono.

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