LE TESSITRICI DI SOGNI: LA PRIMA RACCOLTA DI VERSI DI FRANCA BILLA, POETESSA DEL ‘VICOLO CIECO’

Franca Billa

di CARMEN SALIS

Franca Billa ha presentato al Lazzaretto di Cagliari la sua prima raccolta di poesie: Le tessitrici di sogni – Edizioni Amicolibro. Un libro che riesce a esprimere, attraverso il linguaggio poetico, emozioni e sentimenti che fanno parte del vissuto di tutti.

Franca, ti definisci una poetessa del vicolo cieco… Sì, mi definisco una poetessa del Vicolo Cieco. Il vicolo cieco come metafora della metacomunicazione, perché quando crediamo di essere con le spalle al muro, in una situazione di stallo senza possibilità di uscita, dietro di noi il muro, l’ostacolo, il nulla e davanti l’unico ingresso che sembra lontano e irraggiungibile, diamo per scontato che il vicolo sia impenetrabile alla luce. E allora ci coglie il timore del buio, avanziamo cautamente con circospezione con il rimbombo della tachicardia nelle orecchie, immaginando pericoli di ogni sorta. Ma se ci fermiamo a osservare, possiamo alzare gli occhi in alto e vedere il cielo con le sue stelle, le nuvole, l’immensità. Possiamo sentire il nostro cuore che batte calmo e forte all’unisono con il firmamento. Possiamo ascoltare il nostro respiro che è uguale a quello di ogni creatura vivente, il canto di un uccello, l’abbaiare di un cane distante, l’assolo cristallino di una fuggevole risata di felicità, l’urlo di gioia di un bambino. Suoni isolati che si trasformano in canto corale magistralmente orchestrato dalla vita. Quella vita che è attorno a noi, dentro di noi. Ed ecco allora che ciò che era cieco si trasforma in misterioso, in un chiarore che progredisce lentamente e l’inaspettato ci sorprende e si accende la meraviglia che spegne il timore e accende la speranza. La conferma di come nulla, o quasi, sia mai come appare. Ne consegue che possiamo trovare poesia ovunque, anche in un vicolo cieco, perché la poesia non è solo bella, aulica o eterea, ma è anche soliloquio, sofferenza, lame che trafiggono, lacci che stringono, coscienza del dubbio, voce incalzante che ci trascina. Un altro modo di misurare il tempo, una preghiera muta che possiamo recitare nel nostro animo per noi stessi, in un bel palco per i presenti o in un vicolo cieco per il divino, per l’eterno umano.

Quale pensi che sia senso della poesia nel nostro mondo? Come ho detto prima, penso che il senso della poesia nel nostro mondo, passato, attuale e futuro, sia quello di offrirci delle opportunità. Per cosa? Per educarci a sperimentare differenti posture, anche quelle complicate o scomode. Per aiutarci a superare la quotidianità che ci travolge o ci anestetizza con le sue parvenze di comodità. Per risvegliare la nostra capacità di vedere oltre il banale, oltre le categorie generali. Serve a ricordarci che abbiamo una mente capace di pensare anche l’astratto, di afferrare realtà diverse. La poesia è una spinta incommensurabile, capace di farci abbandonare la corrente per orientarci nella direzione contraria, fuori dai confini delle sicurezze dove spesso ci vorrebbero rinchiusi, dove spesso noi stessi tentiamo di rinchiuderci. Un garbato e deciso tentativo di contrastare l’ineluttabilità del fato. Ecco che la poesia, da canto sulla bellezza della rosa e descrizione dell’incanto dell’astro d’argento, diviene sguardo sociale sulla natura, grido di dissenso, dito puntato sulla luna, parole scomode che calano come mannaie. Qualcosa di vivo che si muove assieme a noi.

Si evince, in questa raccolta, che per te scrivere poesie non è una questione di scelta ma una necessità. Dato che mi definisco la poetessa, o una delle tante, del vicolo cieco, ne consegue che per me scrivere poesie non è una scelta ma una necessità. Un’esigenza per superare l’oscurità e offrire il viso alla luce. Non so se sono io che ho scelto di scrivere poesia o e lei che mi ha scelto come sua menestrella; so che ora non posso farne a meno e quindi non c’è scelta. Posso solo assecondarla in un presente che non ha un tempo preciso, in uno spazio che non ha una collocazione esatta, in una forma fluida che cambia continuamente. Esiste solo lei e questo porta i miei occhi a vederla in ogni luogo e non luogo, in ogni sguardo umano e non, in un oggetto abbandonato, nel disegno dell’infinito, nel bordo dell’abisso. La mia anima è sua, la mia penna tramuta in immagini, in versi quello che lei mi detta. Non potrei essere me stessa senza di lei perché lei è il mio senso della vita. Il mio freno quando l’anima stanca cerca di innalzare bandiera bianca.

La poesia è un bene prezioso di tutti? La poesia è personale e impersonale. Utilizza un linguaggio che è del poeta ma racconta di tutti. Potremmo definirla come un cibo buono per tutti, ma bisogna avere la volontà di cibarsene oppure, prendendo a prestito le parole del Postino di Neruda, possiamo ripetere che “La poesia non è di chi la scrive, è di chi gli serve”.

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