SCUOLA E ISTRUZIONE: LE VERE ARMI CONTRO LA DESERTIFICAZIONE DELLA SARDEGNA

di EMILIANO DEIANA

Nei giorni scorsi Openpolis ha presentato lo studio – ancora parziale – “Come sta cambiando il livello di istruzione in Italia”. Lo studio, formulato su dati ISTAT, rappresenta una realtà fortemente diversificata territorialmente: nelle aree urbane si concentra il numero maggiore di diplomati e laureati, nelle aree rurali le persone che raggiungono la sola licenza media rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione.

Dal punto di vista “macro” si evidenzia un’ulteriore specificazione: le Regioni con i numeri maggiori di persone con la sola licenza media raggiunge i livelli più alti in Sardegna (57,4%), Sicilia (56,5%) e Puglia (56,4%); mentre quello dove il dato è più basso sono il Lazio (42,3%) e le province autonome di Trento e Bolzano (43%). La quota più alta di residenti con al massimo la licenza media si registra soprattutto in 3 province sarde (Sud Sardegna, 63,9%; Oristano, 61,9% e Nuoro, 61,4%) e nella provincia di Barletta-Andria-Trani (61,9%). In questi territori il dato supera di oltre 10 punti la media nazionale, ma anche le rispettive medie regionali (57,4% per la Sardegna e 56,4% per la Puglia).

La Sardegna, come è evidente, non ci fa una gran figura: ma come è la situazione interna alla nostra terra?

Anche qui si evidenzia, in maniera inequivocabile, lo schema della concentrazione: il maggior numero di diplomati-laureati vive nelle realtà urbane, mentre le percentuali più elevate di persone con la sola licenza di scuola media inferire le rileviamo nei paesi, in particolare quelli maggiormente spopolati.

Coi numeri, si sa, si può fare quello che si vuole. Abbiamo provato a “giocarci” un po’: la media delle città sarde più importanti (Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano, Olbia e Quartu Sant’Elena) ci restituisce un’immagine con il 48,5% della popolazione con al massimo la licenza media e il 51,5% con il diploma o la laurea.

Al contrario nei comuni più piccoli (Baradili, Monteleone Roccadoria, Soddì, Bidonì, Boroneddu, Setzu) abbiamo il 75% della popolazione con al massimo la licenza media e il solo 25% con il diploma o la laurea.

Ci sarebbe da fare – ovviamente – anche per le città l’analisi fra centro e periferia, fra ZTL e quartieri popolari: per avere un quadro ancora più reale della situazione e per determinare che il problema non è (solo) città-paese, ma è una questione – marxianamente – di classe: di poveri e ricchi. Una povertà e una ricchezza che ha anche una rilevanza territoriale che si aggrava con la perifericità.

Coi numeri, per ora, ci fermiamo qui: gli studi andrebbero ulteriormente approfonditi e sedimentati.

I numeri, tuttavia, ci consentono di fare alcune valutazioni politiche. Ad esempio respingendo la semplificazione della città “istruita e aperta” e del paese “ignorante e gretto”: perché le città istruite la alimentano – in Sardegna e in Italia – le schiere di giovani laureati e diplomati che dai paesi e dalle aree rurali partono in cerca di opportunità, che tanto danno alle comunità che li accolgono e tanto tolgono ai paesi che lasciano.

Sarebbe bello, ma non è questa l’occasione, di indagare la “forma” dei giovani laureati e diplomati che “resistono” nei paesi: come vivono, cosa si inventano, quali sogni alimentano, in quale “deserto” provano ad affermarsi, quando decidono di arrendersi?

Qui, oggi, adesso, ora, bisogna porsi la domanda – pienamente politica – su “che fare?”. Ma per farlo sul serio perché non c’è più un secondo da perdere.

Serve – serviva ieri e avantieri – una “Legge sarda sull’Istruzione” in attuazione del così poco sfruttato (benché insufficiente) Art. 5 dello Statuto di Autonomia.

Una legge che dica cose chiare e di buonsenso:

1. la scuola e la pubblica istruzione sono la priorità della Sardegna. 2. studenti, insegnanti e personale non docente sono l’avanguardia di ogni forma di resistenza all’abbandono e alla desertificazione umana e civile della Sardegna. 3. ogni paese ha diritto ad avere una scuola: non ci si deve arrendere alla follia meccanicista del “parametro”. 4. occorre rendere obbligatoria la frequenza della scuola dai 3 ai 18 anni; 5. bisogna rimuovere gli ostacoli di ordine economico, sociale e territoriale, a partire dai paesi e dalle aree interne, che non consentono alle giovani e ai giovani sardi di realizzarsi tramite gli studi e la formazione; 6. rendere effettiva, a partire dai paesi a rischio di estinzione, la frequenza della scuola per l’infanzia anche attraverso modelli innovativi e forma di integrazione con altre scuole del territorio; 7. sperimentare, a partire dai paesi a rischio di estinzione e nelle aree interne, formule di istruzione 0-6 anni con investimenti altamente innovativi nell’edilizia scolastica e nella didattica producendo un’effettiva integrazione della scuola con la comunità e col territorio a partire dall’ambiente naturale; 8. armonizzare gli orari scolastici e diffondere il tempo pieno; 9. potenziare i servizi digitali e la digitalizzazione nelle scuole con particolare riferimento a l’e-learning e trasformare la DAD in una piena opportunità; 10. introdurre, a partire dalla scuola primaria, moduli per l’insegnamento della lingua sarda, delle sue varianti e della storia della Sardegna; 11. favorire l’integrazione degli alunni di altra nazionalità negli istituti e nelle classi per contrastare i fenomeni di razzismo e di discriminazione; 12. specializzare e incentivare gli insegnanti che si trovano ad operare nei contesti delle pluriclassi nei paesi e nelle aree interne; 13. ridurre al minimo il fenomeno del pendolarismo e rendere totalmente gratuiti per le famiglie i servizi di trasporto degli alunni dalla scuola per l’infanzia e fino alla secondaria superiore; 14. rilanciare l’istruzione e la formazione per gli adulti; 15. sperimentare esperienze sociale dei così detti “maestri di strada” per bloccare i fenomeni di abbandono e dispersione scolastica.

Bisogna, cioè, passare dalla scuola come “corollario” delle politiche pubbliche alla scuola come strumento fondamentale per l’organizzazione di una società.

Vale dappertutto. In Sardegna in particolare dove se non si ritorna ai “fondamentali” non ci sarà più niente da ricostruire: perché non ci sarà più nulla né nessuno.

Solo macerie. Case vuote. Paesi fantasma.

Ciò che a parole tutti dicono di non volere, ma su cui si continua a tergiversare senza – appunto – tornare ai fondamentali delle politiche pubbliche come l’istruzione pubblica.

Un’ultima deviazione sui numeri. Abbiamo simulato i dati sull’istruzione di Openpolis sui Comuni sardi individuati dalla Sogin per la costruzione del Deposito Nazionale delle scorie nucleari.

Mediamente nei paesi di Siapiccia, Albagiara, Assolo, Usellus, Mogorella, Villa Sant’Antonio, Nuragus, Nurri, Genuri, Setzu, Turri, Pauli Arbarei, Tuili, Ussaramanna, Gergei, Las Plassas, Villamar, Mandas, Siurgus Donigala, Segariu, Guasila e Ortacesus la percentuale di persone con al massimo la sola licenzia media è del 70,5%, mentre il 29,5% ha la laurea o un diploma.

C’è ancora qualcuno disposto a credere che quei territori siano stati scelti a caso e non dopo un’accurata valutazione politica – molto prima che di fattibilità tecnica – su economia, demografia, istruzione e lavoro/disoccupazione?

Questo il link di Openpolis per gli approfondimenti: https://www.openpolis.it/come-sta-cambiando-il-livello-di-istruzione-in-italia/

https://www.focusardegna.com/

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Un commento

  1. Lo dico sempre anch’io. La dispersione scolastica è il primo problema della Sardegna, da cui derivano tutti gli altri.

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