PAOLA MANCINI E IL SUO LAVORO DI DIVULGAZIONE DEL PATRIMONIO ARCHEOLOGICO DELLA SARDEGNA: VIAGGIO NELLA STORIA DI LOIRI PORTO SAN PAOLO

Paola Mancini

di FRANCESCA BIANCHI

Durante la mia visita a Tavolara e a Loiri Porto San Paolo, ho intervistato l’archeologa Paola Mancini, impegnata in attività di didattica e divulgazione del patrimonio archeologico della Sardegna. Laureata in Lettere Classiche con una tesi sulla preistoria gallurese e specializzata in Archeologia con una tesi sulle rotte transmarine dell’ossidiana e della selce, in particolare in rapporto all’Arcipelago di La Maddalena, nel corso della nostra intervista ha ripercorso scrupolosamente la storia dell’isola di Tavolara e del territorio di Loiri Porto San Paolo, cui alcuni anni fa ha dedicato il libro Loiri Porto San Paolo. Le origini(Taphros, 2011). Ha parlato degli scavi che ha condotto nel 2011 e nel 2013 nell’isola di Tavolara, sotto la direzione scientifica della Soprintendenza. Nel corso di quelle indagini archeologiche, finanziate interamente dall’Area Marina Protetta di Tavolara Punta Coda Cavallo, sono stati rinvenuti i resti di una frequentazione del X/IX secolo a.C. riferibile alla civiltà villanoviana, che caratterizzò l’Etruria nella prima Età del Ferro. Questo ha consentito di appurare che a Tavolara, in età nuragica, si colloca la presenza di genti provenienti dall’Etruria. Nel corso della nostra intensa conversazione, la dott.ssa Mancini ha presentato anche le altre sue pubblicazioni edite da Taphros: Gallura orientale preistoria e protostoria (2010); Gallura preistorica (2012); Alà dei Sardi. Il patrimonio archeologico (2015); San Teodoro. Storia di un comune costiero della Gallura. Il territorio e il Museo (2014), curato con Antonio Sanciu; I forni della calce a Tavolara, curato insieme ad Egidio Trainito e pubblicato lo scorso anno grazie a un progetto editoriale del dott. Augusto Navone, Direttore del Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta di Tavolara Punta Coda Cavallo.

L’archeologa ha parlato anche delle molte chiese campestri disseminate lungo il territorio di Loiri Porto San Paolo, prima fra tutte le Chiesa di Santa Giusta, e dell’impegno profuso per la valorizzazione dei sentieri storici del territorio. Al fine di promuovere la conoscenza della Sardegna attraverso il recupero degli antichi sentieri, nel 2015 ha dato vita al progetto Due o Tre Passi tra Terra e Mare e ha fondato la Compagnia dei Sentieri, un piccolo teatro itinerante che consente di conoscere la storia dei sentieri e di coloro che li hanno percorsi. Un viaggio nel tempo alla scoperta di storie remote che hanno attraversato i secoli e sono arrivate a noi ammantate da quell’alone di fascino e magia, tipico di leggende e racconti la cui memoria si perde nella notte dei tempi.
Rinnovo il mio più sincero ringraziamento alla dott.ssa Paola Mancini per la professionalità, l’entusiasmo, il tempo che ha dedicato al mio reportage. Il mio ringraziamento più sentito va a Francesco Lai, Sindaco del Comune di Loiri Porto San Paolo, per il supporto dato alla mia iniziativa, e ad Andrea Piredda, Vicesindaco del Comune di Loiri Porto San Paolo, per aver organizzato nei minimi dettagli la mia visita a Tavolara e a Loiri Porto San Paolo, rendendo possibile questa bellissima intervista.

scavi a Tavolara (foto Enrico Grixoni)

Dott.ssa Mancini, nella pubblicazione intitolata Loiri Porto San Paolo. Le origini (Taphros, 2011) lei ricostruisce con dovizia di particolari la storia di un ampio e variegato territorio in cui convivono l’anima terrestre di Loiri, sede del Municipio, e quella marittima del borgo costiero di Porto San Paolo. A quando risalgono le prime testimonianze della frequentazione del territorio di Loiri Porto San Paolo? Le testimonianze più antiche, documentate sinora a Loiri Porto San Paolo, attestano la frequentazione del territorio sin dal Neolitico. In quel periodo nacquero le prime forme di aggregazione e si sviluppò una fitta rete di scambi e relazioni tra la Sardegna e i popoli d’oltremare. In ciò la Sardegna era favorita per la ricchezza di materie prime, in particolare l’ossidiana del Monte Arci. La scintilla che ha dato origine al popolamento del territorio gallurese sarebbe connessa proprio con il transito dell’ossidiana. Le testimonianze più antiche della frequentazione della regione, infatti, sono state individuate lungo la costa prospiciente le Bocche di Bonifacio, dalla quale la materia prima, attraverso le isolette dell’Arcipelago di La Maddalena, raggiungeva la Corsica e da qui la Francia, la Spagna e la penisola italiana. Tuttavia, non si può escludere che anche la parte orientale della Gallura abbia costituito un luogo di passaggio, seppur marginale, di questo prezioso materiale. Pochi, ma chiari rinvenimenti di ossidiane lungo le coste confermano la frequentazione delle stesse nel Neolitico, ma le circostanze e la sporadicità dei rinvenimenti non permettono di individuare la natura degli insediamenti.
Quanto alla frequentazione di Tavolara, invece, cosa sappiamo? Cosa ci dicono e a quando risalgono le testimonianze ivi rinvenute? L’Isola di Tavolara è stata abitata senza soluzione di continuità dalla Preistoria ai giorni nostri. La frequentazione dei litorali da parte dell’uomo neolitico, almeno nelle fasi avanzate del periodo, è confermata dalle testimonianze rinvenute sull’isola, in particolare nella Grotta del Papa. Negli anni Novanta, infatti, sono state individuate dall’archeologo Agostino Amucano alcune pitture parietali all’interno della Grotta del Papa, oggi raggiungibile solo con imbarcazioni. Il materiale ivi rinvenuto non ha consentito di determinare con precisione una sequenza stratigrafica chiara, ma attesta che è stata utilizzata dal Neolitico medio sino all’età romana e oltre. La Grotta si articola in diverse sale, nella prima delle quali, sulla parete rocciosa di destra, sono state dipinte con ocra rossa figure umane schematizzate, alcune presumibilmente impegnate in una scena di danza. Sulla base di confronti con altre testimonianze simili attestate in altri contesti del Mediterraneo, le pitture sono state datate a una fase compresa tra la fine del Neolitico e gli inizi dell’età del Rame. Alcuni anni fa l’archeologo Giuseppe Pisanu, camminando sullo Spalmatore di Terra, nell’area vicina al cimitero dei Re, ha trovato diversi frammenti ceramici, alcuni di chiara attribuzione, altri che, invece, presentavano una decorazione fatta con un cordone plastico attribuibile a età villanoviana.
Lei ha condotto due campagne di scavo sull’isola di Tavolara, nel corso delle quali sono stati rinvenuti i resti di un insediamento del X/IX secolo a.C. riferibile alla civiltà villanoviana, che caratterizzò l’Etruria nella prima Età del Ferro. Ci racconti pure i dettagli di quegli scavi… Dove si sono concentrate le indagini? Nel 2011 ho presentato un progetto all’Area Marina Protetta, che ha finanziato interamente lo scavo e, sotto la direzione scientifica di Rubens D’Oriano per la Soprintendenza, abbiamo iniziato le indagini. In due settimane abbiamo rivolto la nostra attenzione all’area dove c’era la maggiore concentrazione in superficie di materiale archeologico, tenendo conto che quello di Tavolara è un habitat fragile con un ecosistema protetto che andava rispettato e tutelato. Gli studi sui materiali sono ancora in corso. Grazie alle due campagne di scavo del 2011 e del 2013, entrambe finanziate dall’AMP, abbiamo appurato che in età nuragica si colloca a Tavolara la presenza di genti provenienti dall’Etruria, chiamate Villanoviane. Sono state ritrovate, per la prima volta in Sardegna, le tracce di uno stanziamento attribuibile a queste genti e risalente a circa 3000-2800 anni fa. Lo studio è stato molto complesso ma finalmente abbiamo concluso e stiamo procedendo con le pubblicazioni dei dati. Pochi giorni fa è uscito l’articolo con gli importanti elementi sulle analisi archeometriche effettuate dalla collega Silvia Amicone dell’Università di Tubinga, sulla base delle quali possiamo stabilire la provenienza delle ceramiche villanoviane (“New Insights into Early Iron Age connections between Sardinia and Etruria: Archaeometric Analyses of Ceramics from Tavolara, in Journal of Archaeological Science”), a firma sua, mia, di Rubens D’Oriano, Kile Freund e Christoph Bertold. L’articolo completo relativo all’indagine archeologica, curato da Francesco di Gennaro, a cui si deve l’attribuzione delle ceramiche al Villanoviano, da Silvia Amicone, da Rubens d’Oriano e da me, sta per essere pubblicato su una rivista scientifica online.

Cosa sappiamo della storia di Tavolara nelle età punica, romana e tardomedievale? L’isola ha continuato ad essere frequentata anche in età punica, ovvero a partire dal 510 a.C., quando la Sardegna è stata conquistata dai Cartaginesi, che continuarono a riconoscere come antico luogo di culto la Grotta del Papa, come confermano alcuni ex voto in terracotta ivi rinvenuti. In questo periodo Tavolara è vista come la guida, il faro naturale dei naviganti verso le coste dell’attuale Area Marina Protetta, in particolare di Olbia, come ci testimonia la denominazione, tramandataci dal geografo greco Tolomeo, di Tavolara come Hermàia nèsos, ovvero l’isola di Ermes (rientrano tra le prerogative di questo dio greco, tra l’altro, quelle di annunciare, guidare, accompagnare). Dopo il 238 a.C., con la conquista romana della Sardegna, riprende ad essere occupato stabilmente anche lo Spalmatore di Terra, dove era ubicato un insediamento con un’area abitativa e un’area destinata alle sepolture. Lo studioso Tamponi individuò tombe di età romana nella parte finale dello Spalmatore, ma sappiamo che la vita continuò dopo il crollo dell’impero romano, come attestano i rinvenimenti di materiali databili dopo il V secolo d.C. e, la gran parte, fino all’età medievale. Bisogna dire che la maggior parte delle attestazioni proviene dai fondali antistanti l’isola, dove sono frequenti i resti di relitti di navi, di contenitori quali anfore e dolii per il trasporto di olio, vino, grano, pesce e altro. Una flessione notevole dei traffici e un declino nella frequentazione di Tavolara si registrano con la caduta dell’impero romano e l’attacco de Vandali alla città di Olbia intorno al 450 d.C. Quando, intorno al Mille, Olbia divenne capitale del Giudicato di Gallura, i ricchi commerci, soprattutto con la Repubblica di Pisa, sancirono la rinascita, attestata anche dai numerosi materiali custoditi nei fondali prospicienti Tavolara e Molara. Con la conquista aragonese della Sardegna, tra la prima metà del Trecento e gli inizi del Quattrocento, si aprì un periodo di profonda crisi per la Gallura, e Olbia e, dunque, anche Tavolara persero il loro ruolo di primo piano. Per assistere a una rinascita di Tavolara bisognerà attendere i primi anni dell’Ottocento, quando il corso Giuseppe Bertoleoni si insediò nel disabitato Spalmatore di Terra, dando origine alla “dinastia dei Re”, che ancora oggi abita l’isola.
Grazie ad un progetto editoriale del dott. Augusto Navone, Direttore del Consorzio di Gestione dell’Area Marina Protetta di Tavolara Punta Coda Cavallo, recentemente è stato pubblicato l’VIII numero dei Quaderni dell’Area Marina Protetta, da lei curato insieme ad Egidio Trainito ed intitolato I forni della calce a Tavolara (Taphros Editore, 2019). Ci racconti pure qualche dettaglio dei forni di Tavolara… Con quali finalità è nato questo testo? A Tavolara, a differenza di altri luoghi, c’è stata una fiorentissima industria dei forni, gestita dai Bertoleoni dalla seconda metà dell’Ottocento fino alla metà del secolo scorso. L’ultimo forno di Tavolara fu spento intorno al 1955-1956, ma prima di allora questa attività arrivava ad occupare, nel picco della stagione produttiva, oltre 100 addetti; era un lavoro continuo, senza soste. L’isola offriva la materia prima, ovvero calce e legna, che venivano poi portate a Olbia. Oltre ai forni tradizionali, a Tavolara si possono osservare i forni monumentali, costruiti da una ditta di Pisa. Sono chiamati Forni a Vapore, perché non bruciavano legna, ma carbone che veniva trasportato con i vaporetti.
Ho scritto questo libro con l’intenzione di far capire che la memoria storica ha un valore notevole e pensare di concentrare tutto sui Nuragici è parziale. Noi la storia vogliamo e dobbiamo valorizzarla tutta. A tal fine abbiamo creato anche un percorso, un sentiero con la cartellonistica per valorizzare l’area. Mi riferisco al “Sentiero dei Forni”. I cartelli sono delle vere e proprie opere d’arte. Sono realizzati dalla cooperativa “Gea Mammalapis” di Giovannella Monaco e Albert Vezzoni. I cartelli non hanno nulla che non sia dipinto o scolpito a mano.

Tavolara


Prima ha affermato che il popolamento del territorio gallurese potrebbe essere connesso con il transito dell’ossidiana, tanto che le tracce di più antica frequentazione sono costituite dai ritrovamenti di ossidiana sui litorali e nell’entroterra. Può dirci qualcosa dei materiali rinvenuti? Da dove provengono le testimonianze? Dall’area retrostante la chiesa di San Nicola di Bari, a Loiri, tre manufatti di ossidiana costituiscono l’unica prova della frequentazione di questo luogo in età neolitica; infatti non sono stati rinvenuti né tracce di strutture né altri reperti di età antica. Dall’area compresa tra le colline di Ovilò e i limiti meridionali del territorio comunale, ai confini con Padru e San Teodoro, provengono i ritrovamenti di maggiore entità. I materiali provengono sia da tafoni, le cavità naturali del granito adattate dall’uomo con aggiustamenti in muratura e utilizzate come ripari, sia dalle aree pianeggianti. Per quel che riguarda queste ultime, non si individuano, in superficie, strutture che consentano di chiarire la natura e la portata dello stanziamento e il contesto di provenienza dei materiali. Potrebbe trattarsi di capanne costruite con materiali deperibili, che lasciano tracce poco consistenti, e il solo zoccolo in muratura. Dai tafoni di La Sarra d’Ovilò provengono alcuni frammenti ceramici e pochi manufatti di ossidiana che attestano l’uso dei ripari sotto roccia in età preistorica.

Quanto agli insediamenti di età nuragica, invece, quali testimonianze abbiamo? Come erano dislocati questi insediamenti? Sappiamo che un esteso insediamento, in età nuragica, era ubicato sulla cima e alle pendici della collina di Lu Monti Lisciu, al confine con i comuni di San Teodoro e Padru. Si tratta di un’altura fortificata su cui era posizionato un piccolo nuraghe e di un villaggio sotto roccia nel pendio e nel pianoro sottostante. Le caratteristiche del nuraghe, in gran parte crollato, permettono di escludere la valenza abitativa e consentono di presumere che si trattasse di una postazione di controllo della piana e del mare, con i suoi approdi, sino oltre l’isola di Tavolara, che si staglia sullo sfondo. Una funzione analoga doveva essere rivestita anche dal nuraghe Punta Montiglione, ubicato su Punta Muntigghjoni. A costituire con essi un vero e proprio triangolo di torri di controllo, abbiamo il nuraghe Ottiolu, ubicato su un’altura rocciosa della punta omonima, che segna il confine tra i comuni di San Teodoro e Budoni. Di alcuni nuraghi si hanno solo le notizie fornite dal Taramelli, non sono state rinvenute le tracce: nuraghe Careddu, localizzato presso la chiesa di Santa Giusta; nuraghi Frati Falchi e Schifoni, in agro di Azzanì; nuraghe Monti Littu, situato sull’altura granitica che sovrasta il borgo omonimo, in una zona ricca di tafoni utilizzati nel tempo come ricovero di pastori e banditi e come rifugio durante i bombardamenti del secondo conflitto mondiale. Quanto ai siti noti, la loro dislocazione, in rapporto al territorio in cui sono ubicati, ha consentito di evidenziare una relazione tra questi e quelli dislocati nella parte meridionale della piana di Olbia. Tra tutti i nuraghi, il più conosciuto è il nuraghe Loiri, ubicato a 103 m s.l.m. sulla collina che domina l’abitato omonimo, del quale si individuano la torre centrale, il bastione e una struttura circolare, forse una capanna del villaggio, riutilizzata in tempi recenti come ricovero per gli agnelli. Dalla cima del Monte di Loiri lo sguardo spazia sulla piana di Olbia e su quella di Enas, sino a trovare la barriera dei monti che fanno loro corona. Durante la seconda guerra mondiale tutta l’altura è stata usata come punto di controllo da parte delle truppe tedesche stanziate in zona. Del riutilizzo dei luoghi durante questo periodo storico abbiamo un’eloquente testimonianza: una lapide in granito nella quale è incisa la svastica o croce uncinata, adottata come simbolo del partito nazista e della purezza della razza tedesca. Secondo la testimonianza di Peppino Barra, profondo conoscitore delle storie e delle tradizioni di Loiri, il cippo indicherebbe la presenza della sepoltura di uno o forse due soldati tedeschi qui deceduti durante il secondo conflitto mondiale. Un gesto di pietà e di rispetto, che onora ancora una volta la nostra cultura dell’accoglienza, anche quando si tratta di “nemici”. Loiri non ha mai avuto una campagna di scavo, per cui tutto ciò che è stato ritrovato fa parte di ritrovamenti di superficie. In assenza di indagini di scavo, non è possibile assegnare con precisione il momento di costruzione e utilizzo delle strutture protostoriche sinora individuate nel territorio. Si può, però, presumere che i nuraghi di quest’area, così come gli altri della Sardegna, siano stati costruiti in una fase compresa tra il Bronzo medio e il recente.

Qual è il legame tra il borgo di Porto San Paolo e l’Apostolo delle Genti? Secondo un racconto non suffragato da fonti documentarie, nel 63 d.C. Paolo, nel suo viaggio per mare verso la Spagna, sarebbe stato costretto, dal sopraggiungere di una tempesta o dalla necessità di rifornire l’imbarcazione di cibo e acqua, a sostare sulla riva di quello scalo a cui, in ricordo di tale circostanza, sarebbe stato dato il suo nome. A Punta La Greca, in località La Punta di la Tanchitta, di fronte all’isola di Tavolara, si trovano resti murari appartenenti a una chiesetta che la tradizione vuole dedicata all’apostolo Paolo. La presenza di questo edificio sacro o, comunque, il culto di San Paolo, potrebbe essere la causa dell’attribuzione del nome di Porto San Paolo al borgo di cui lo storico Dionigi Panedda denuncia l’ascendenza medievale, ipotizzando che fosse originariamente inserito nella curatorìa di Offilo. Il Porto di San Paolo, infatti, è segnalato per la prima volta nel Compasso da Navigare, una sorta di guida nautica redatta tra il 1250 e il 1265, nella parte in cui si descrivono le coste nord-orientali della Sardegna, più precisamente della Gallura.

a Tavolara il Sentiero Lu Caminu di Li Falchi – Stazzo La Palma_(foto di Antonella Mancini)

L’entroterra è disseminato di chiesette campestri, tra cui spicca quella dedicata a Santa Giusta, cui è annesso un piccolo cimitero. Come e quando nacquero questi edifici religiosi? Perché la Chiesa di Santa Giusta ebbe così tanta importanza in passato? La gran parte delle chiese di Loiri Porto San Paolo si deve all’opera di evangelizzazione delle campagne voluta da papa Pio XI (1922-1939). Risale a questo periodo anche la costruzione, o il restauro, della chiesa di Santa Giusta. Una chiesa intitolata a Santa Giusta c’era già precedentemente, non sappiamo se qui o poco più su, nella località di La Funtanaccia, dove era ubicato un importante insediamento da età romana. Probabilmente la chiesa dedicata a Santa Giusta originariamente si trovava proprio a La Funtanaccia e non nel punto in cui, tra l’Ottocento e il Novecento, quando ricominciò il popolamento della regione, venne edificata l’attuale chiesa, che custodisce il simulacro della martire sarda. Le persone coinvolte in un processo risalente al 1647 dichiarano di essere passate a Santa Giusta. Si tratta di una chiara testimonianza dell’esistenza, soprattutto nella memoria, di un antico luogo di culto dedicato a Santa Giusta. L’insediamento di La Funtanaccia in piena età imperiale costituiva il nucleo abitativo più importante di tutto il tratto stradale compreso tra Olbia e San Teodoro. L’ambiente della regione di Santa Giusta in età romana era costituito da un villaggio popoloso, adagiato su un lieve pendio e lambito da una strada percorsa da carri e da viandanti a piedi e a cavallo; intorno c’erano orti, qualche vigneto e campi di grano; ovunque fattorie e ricoveri per uomini e animali, pascoli con greggi e armenti e infine il bosco, dove si allevavano branchi di maiali. Il centro sopravvisse alla caduta dell’impero romano, così come la strada che lo lambiva, che fu ripristinata in epoca giudicale.

Oltre al libro sulle origini di Loiri Porto San Paolo, ha pubblicato diversi saggi di argomento archeologico, tutti editi da Taphros: Gallura orientale preistoria e protostoria (2010), Gallura preistorica (2012), Alà dei Sardi. Il patrimonio archeologico (2015), San Teodoro. Storia di un comune costiero della Gallura. Il territorio e il Museo (2014). Ce li presenti pure brevemente… Il libro “Gallura orientale preistoria e protostoria” è il censimento dei beni preistorici e protostorici (dal Paleolitico all’età nuragica) della ex Comunità Montana Riviera di Gallura, zona che va dalla Maddalena a Loiri Porto San Paolo, parte della Gallura costiera per intenderci. In queste pagine rivivono le antiche popolazioni della Gallura nel loro contesto territoriale, con spiccate caratteristiche di originalità e a pieno titolo inserite nell’ambito culturale della Sardegna preistorica e, più in generale, in quello mediterraneo. Alla base dell’opera è un complesso lavoro di censimento, reso comprensibile a un più vasto pubblico. Un piacevole viaggio tra dolmen, villaggi di capanne e di tafoni, tombe di giganti e nuraghi, nello splendido scenario ambientale della Sardegna nord-orientale. Chiudono il volume i contributi di alcuni specialisti sulla geologia e su vari altri aspetti della Gallura protostorica e storica. “Gallura preistorica” è una guida sui siti visitabili della Gallura. L’opera comprende una sintesi aggiornata delle vicende della Gallura preistorica, dal Neolitico antico, quando fu terra di passaggio delle correnti commerciali legate al traffico dell’ossidiana, fino all’età del Bronzo, con il fiorire della civiltà nuragica e l’occupazione integrale del territorio. Prende in considerazione una serie di itinerari che consentono al visitatore di addentrarsi nel cuore di una terra dove la presenza umana antica ben si inserisce in contesti paesaggistici intatti. I monumenti e le aree accessibili al pubblico sono descritti in schede ricche di notizie e corredate di un’adeguata bibliografia. Un apparato cartografico consente al visitatore di raggiungere agevolmente i siti. Il libro “Alà dei Sardi. Il patrimonio archeologico” è un censimento del patrimonio archeologico di Alà dei Sardi. Tengo molto a questo libro perché i siti archeologici di questo territorio selvaggio e incontaminato, prevalentemente nuragici, sono ancora inseriti nel loro contesto originario, intatti, perfettamente conservati, e fanno capire molto della civiltà nuragica, dei suoi usi, delle abitudini. Su Alà dei Sardi ho pubblicato, insieme ad Antonio Sanciu, anche una guida edita da Carlo Delfino (2016).  Il volume “San Teodoro. Storia di un comune costiero della Gallura. Il territorio e il Museo”, curato anch’esso insieme ad Antonio Sanciu, ripercorre la storia antica di San Teodoro, del suo territorio e del suo mare, dalla preistoria fino al Medioevo. Una parte importante è dedicata al catalogo dei reperti esposti al Museo delle Civiltà del Mare, provenienti prevalentemente dai giacimenti e dai relitti custoditi nelle acque del tratto di costa compreso tra Loiri Porto San Paolo, San Teodoro e Budoni.

Dott.ssa Mancini, lei si è attivata molto per la valorizzazione dei sentieri storici del territorio di Loiri Porto San Paolo, dando vita al progetto Due o Tre Passi tra Terra e Mare e fondando la Compagnia dei Sentieri. Come sono nate queste due realtà? Oggi di cosa vi occupate? Diversi anni fa, prima che io iniziassi a studiare la sentieristica, nel bel mezzo di un incontro in Regione un amministratore disse che a Loiri Porto San Paolo non avevamo una storia importante. Questa affermazione scatenò in me una reazione di forte disappunto, ma anche il desiderio di far comprendere che, sebbene non ci siano testimonianze monumentali di grande evidenza, abbiamo la NOSTRA storia che è comunque rilevante e meritevole di essere conosciuta. Ed è da qui che è nato il progetto “Due o tre passi tra terra e mare”, finanziato dal Comune e dalla Fondazione di Sardegna Il progetto ha portato al recupero e alla valorizzazione di due sentieri storici del territorio. Siamo riusciti a dotare di cartellonistica curata da “Gea Mammalapis” un sentiero nell’entroterra, a Monti Littu (il Sentiero di Romeo e Giulietta di Paulesa), e uno che collega l’entroterra con Porto San Paolo (il Sentiero di Lu Caminu di Li Falchi). L’amore per la conoscenza e la divulgazione del patrimonio storico e culturale della Sardegna ha portato anche a creare la pagina Facebook “Sentieri di Sardegna”, con lo scopo di promuovere la conoscenza della Sardegna attraverso il recupero degli antichi sentieri e il racconto delle storie di chi li ha percorsi e in quei luoghi ha vissuto. Nel 2015, insieme a un gruppo di meravigliosi amici, è nata la Compagnia dei Sentieri; tutto si deve all’idea di coniugare la camminata nel sentiero alla conoscenza della sua storia. Abbiamo, così, organizzato un teatro in cammino: circa 500 persone hanno percorso con noi il Sentiero di Romeo e Giulietta di Paulesa e hanno incontrato gli antichi abitanti e ne hanno sentito raccontare le loro vicissitudini. Paulesa, la collina granitica che sovrasta il borgo di Monti Littu, custodisce il luogo e la memoria della presenza di due giovani innamorati in fuga, proprio come Romeo e Giulietta, per la salvezza del loro amore osteggiato e le peripezie che la loro famiglia ha subito nel corso dei secoli, sempre a causa di un amore impossibile. Ad una famiglia del territorio, “Frati Falchi” di Tiriddò, è invece dedicato l’altro sentiero allestito, “Lu Caminu di li Falchi”, per rispettare una promessa da me fatta anni or sono alla signora Nicolina Careddu, che mi chiese di raccontare la storia del suo avo “Lu Falcu Cecu”. L’ho accontentata e ho raccontato e fatto rivivere con i ragazzi della Compagnia la storia di questo bandito galantuomo. Seguendo i sentieri, è possibile rivivere le loro storie leggendo i pannelli o, a volte, incontrando noi attori della Compagnia dei Sentieri.
Chiunque, camminando, si imbatta in noi, trova un modo nuovo di percorrere i sentieri di Loiri Porto San Paolo e dell’intera Sardegna. Un viaggio nel tempo, rivivendo le storie dei luoghi e delle persone che li hanno frequentati.

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