LA STORIA DEL BREVETTO SCOMPARSO: L’OPERA PRIMA DI SILVIA LIDIA FANCELLO E LA STORIA DELL’OLBIESE CHE INVENTO’ IL CINEMA SONORO

Silvia Lidia Fancello

di CAMILLA PISANI

L’incredibile storia di un genio dimenticato: questo racconta “Il brevetto scomparso” opera prima di Silvia Lidia Fancello; un romanzo familiare, che ripercorre la tortuosa ricerca di un’importante invenzione, quella del cinema sonoro, rimasta sepolta tra le ceneri dei ruggenti anni Venti.

L’autrice, la cui famiglia è originaria di Dorgali, racconta così l’affascinante genesi del suo romanzo: “la storia di questo brevetto viene vagheggiata, in famiglia, da decenni, ma se n’è sempre parlato più come una sorta di segreto malcelato che come una verità oggettiva, forse anche per il timore di essere presi per matti. Senonché un giorno, quando sono diventata grande, ho deciso di chiedere lumi a mia zia Pasqualina, depositaria di memoria storica inestimabile. È a lei che ho chiesto di rivelarmi la storia di mio nonno e delle sue invenzioni; quella che fino a quel momento era stata una leggenda di famiglia, è diventata qualcosa di tangibile”.

A corredo dei racconti, infatti, arriva nelle mani di Lidia Fancello la prova incontrovertibile che quell’invenzione geniale è da attribuire davvero a suo nonno: “mia zia mi portò alcuni disegni, realizzati dal nonno, in cui si distingueva chiaramente il progetto, rudimentale ma innovativo, del cinema sonoro; in uno dei progetti si può vedere un enorme proiettore con una sorta di tromba da grammofono, dotato di una serie di ingranaggi a supporto della pellicola, mentre in un altro c’era proprio il disegno di una pellicola cinematografica con una sequenza e accanto una striscia, la colonna sonora”.

Ma è un dettaglio in particolare a catturare l’attenzione dell’autrice: a margine dei disegni, riconosce una serie di cifre e di sigle, protocolli da decifrare, depositati presso l’allora Ministero dell’Industria; è la prova lampante che quella che fino ad allora era stata una leggenda familiare nasconde un fondo di verità.

“A quel punto mi sono detta che avrei dovuto indagare e cercare di riportare a galla questo fantomatico brevetto. La cosa si faceva seria – racconta Fancello – e ho cominciato a scavare. La ricerca sin da subito si è rivelata difficile, innanzitutto perché il Ministero presso cui era stata depositata la pratica non esiste più dal dopoguerra, poi perché fino agli anni ’90 inoltrati, gli archivi non erano affatto digitalizzati. Tutto quello che faceva riferimento al Ministero dell’Industria era stato trasferito presso l’Archivio di Stato”.

Passano circa due anni, dall’inizio della ricerca, e l’autrice riesce finalmente a scoprire che i brevetti erano conservati all’Eur, presso l’Archivio di Stato: la prova di quanto raccontato dagli anziani della famiglia è diventata realtà, e le viene consegnata, sotto forma di fotocopie autenticate, dagli archivisti.

Ma il viaggio è appena cominciato: a partire da quel momento, nasce in Lidia l’urgenza di mettere nero su bianco la storia di suo nonno, il desiderio di risarcire quel vuoto di memoria che non ha reso il giusto onore ad una mente piena di talento.

Scrive così, sull’onda dell’entusiasmo, il racconto di questo travagliato ritrovamento: “ho buttato giù ciò che avevo scoperto, senza immaginare che quelle prime pagine avrebbero costituito poi l’incipit del romanzo – ricorda l’autrice – da lì in poi si sviluppa la storia di mio nonno, del suo contesto storico e delle sue amicizie. Lui era un fotografo, appassionatissimo della materia, e attraverso la sua vicenda ho potuto raccontare uno spaccato storico di Olbia, in un difficile dopoguerra, tra quadretti comici e quadretti tragici. Aneddoti ed episodi molto significativi di un’Olbia che non esiste più, di una città che ha sofferto molto, che è stata anche bombardata, e che sopravvive nei ricordi dei più anziani. Per la realizzazione di questo romanzo sono stata fortemente incoraggiata dalla casa editrice Taphros, che si è anche incaricata della pubblicazione e della promozione, e che ha creduto molto nell’importanza di questa storia”.

Scrivere un romanzo non è mai un’azione puramente narrativa, ma nasconde risvolti emotivi e psicologici che molto spesso fungono anche da terapia.

È anche il caso del romanzo in questione: “durante la stesura del libro, mi sono resa conto che raccontando questa storia, oltre a restituire legittimità ad una mente geniale, stavo anche ricostruendone le dinamiche psicologiche e caratteriali. Nel mio ricordo, il nonno era una persona burbera, a tratti dura, e solo conoscendolo a fondo attraverso questa ricerca, sono riuscita a comprendere le motivazioni celate dietro a questo carattere, le enormi difficoltà vissute da quest’uomo. Nascere in un luogo in cui la creatività, la genialità e l’anticonformismo non potevano trovare terreno fertile, dev’essere stata una prova durissima e una fonte di frustrazione. Scrivere questo libro non mi ha aperto gli occhi solo sulla figura di mio nonno, ma sull’intera famiglia. Nell’esercizio della riflessione e della scrittura ho compreso e accolto moltissime sfumature caratteriali relative ai membri della mia famiglia, e con commozione ho portato avanti questo viaggio introspettivo per tutti noi. La ricerca è stata quindi benefica anche per questo.”

Una trama avvincente, una storia incredibile ma vera: “Il brevetto scomparso” è questo ma anche molto altro, e i suoi livelli di lettura viaggiano dalla ricostruzione storica all’indagine psicologica, fino a distillare una grande, a tratti amara, verità: il genio in sé vale solo per sé stesso, e quando non accompagnato, coccolato, incoraggiato, è destinato inevitabilmente a perdere la direzione e il senso.

Valevole due volte, quindi, lo sforzo letterario di Lidia Fancello, che riabilita la memoria di uno di quei geni perduti e allo stesso tempo lancia l’amo perché la storia possa essere completata: “penso ci siano ancora alcuni tasselli oscuri, da rivelare, e sono felice di questa pubblicazione proprio perché, con la divulgazione di questa storia, penso possano venire a galla gli aspetti ancora nascosti”.

https://www.olbia.it/

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2 commenti

  1. Grazie a Camilla Pisani che ha colto l’essenza di questo libro.

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