UN UOMO, UN GIGANTE: LO STILE ELEGANTE E ARMONIOSO DI SALVATORE FARINA, AUTORE SARDO DELL’OTTOCENTO

Salvatore Farina

di MATTEO PORRU

Il più grande di tutti non lo ricorda nessuno, o quasi. Perchè Salvatore Farina, in settantadue anni e quasi altrettante opere e con infiniti sgambetti del destino, è stato davvero il più grande e prolifico autore sardo dell’Ottocento. Di più: Farina è riuscito, con coraggio e uno stile elegante e armonioso, a raccontare l’uomo, le sue crisi e le sue contraddizioni, senza la scienza verista ma con una profonda coscienza umana, scavando dentro il mondo e dentro se stesso riga dopo riga. È un’arte per l’arte, la sua scrittura, e un gigantesco atto di fede e di rivalsa.

Mamma Chiara lo mette al mondo a Sorso, dieci giorni dopo capodanno: è il 1846 e in Paese fa freddo, tanto, e da lì si ha addosso il mare. Papà Agostino ha la toga sulle spalle da abbastanza anni per aver girato tre quarti del Nord Sardegna come procuratore regio, ma si vede già che è sveglio, che farà carriera. Salvatore arriva ultimo dopo cinque fratelli, che hanno la fortuna di godere del benessere economico degli Oggiano, la famiglia della madre, e delle attenzioni di nonna Caterina, ma la terribile sfortuna di sparire dal mondo uno alla volta, in ordine sparso, in pochi anni. Poi il colera, che devasta l’Italia e gli porta via la nonna. E ha undici anni quando perde mamma Chiara, a trentasei anni, stroncata da una paralisi che, per Salvatore, è un dolore enorme, senza fine

Papà Antonio si risposa, viene promosso al ruolo di Avvocato generale dello Stato e porta Salvatore a Casale Monferrato, dove il giovane Farina, complici gli studi classici e gli insegnamenti di Ferdinando Bosio, inizia a scrivere e scrive bene. E sì, si laurea in giurisprudenza a Torino, e sì, si sposa e si sposta a Milano, ma lui vuole vivere d’altro e l’altro è il teatro, la letteratura. Nella vita farà anche il traduttore, il redattore, il librettista, con un riguardo costante per la Sardegna, che lui ha sempre nel cuore e per la quale cura le pubblicazioni de La stella di Sardegna e Vita sarda. Scrive senza sosta, soprattutto negli anni Settanta dell’Ottocento, e sforna opere straordinarie, che indagano l’uomo fragile, morale, familiare, affiancandosi agli Scapigliati, all’esplosione culturale della stampa e dell’editoria, acclamato in Italia e oltralpe, amico di Verga e di Capuana.

Tanti sono i romanzi che restano, Care ombre uno dei suoi capolavori: un riaffiorare di frammenti, caratteristica fondamentale della sua poetica, di volti, attitudini, idee e identità passate ma attuali, cinquantuno digressioni che urlano una rinascita sociale, culturale e interiore, fra ricordi e sensazioni di una vita intensa, troppo spesso ingiusta, e straordinaria. Gli ultimi anni di vita li passa in giro per l’Europa, componendo gli ultimi testi per il teatro. E muore al freddo, a Milano, a metà dicembre del 1918. Ma non trema, non più.

È tornato in Sardegna nel 1881, a Sorso, a casa sua. E ricordava bene: da lì, si ha addosso il mare.

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Un commento

  1. Il Dickens italiano
    “È tornato in Sardegna nel 1881, a Sorso, a casa sua. E ricordava bene: da lì, si ha addosso il mare.”

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