IO SONO ANNA, HO ATTRAVERSATO IL MARE: SULLO SFONDO LA SARDEGNA NEL LIBRO DI GIOVANNA NIEDDU PRESENTATO AL CIRCOLO “MONTANARU” DI UDINE

nella foto da sinistra: Carmelo Spiga, Giovanna Nieddu e Agostino Maio

di PAOLO CERNO

Nemmeno le traversie pandemiche e un domani disincagliato dal sovrapporsi dei contrastanti pareri politico/tecnico/massmediatici per un vaccino efficace, hanno impedito al Circolo dei Sardi “Montanaru” di Udine di presentare il 17 ottobre, il bellissimo libro di cui al titolo sovraesposto, della prof Giovanna Nieddu, nata a Olbia e trapiantata da molti anni a Ovaro in Carnia.

Alla presenza di pochi intimi soci, debitamente distanziati ed imbavagliati, il presidente Mannoni ha presentato l’autrice, il presentatore del libro il prof Carmelo Spiga e l’interlocutore ufficiale, un vecchio amico del Circolo e vecchio amico del fratello dell’autrice, ex politico (per sua spontanea ammissione) Agostino Maio.

Il libro, ampiamente introdotto e puntualmente indagato, fino all’ultima pagina, col paventato rischio di svelamento finale, abilmente evitato dal prof Spiga, e la delicata storia di Annuccia/Anna, bimba sarda che viene allontanata dalla sua famiglia, dai suoi trastulli, dal suo cuginetto, dal suo paesello natio e mandata lontano, a sette anni! ad assistere una zia prossima a partorire. In quei tempi si cresceva alla svelta!

L’intervento di Agostino Maio prende un respiro più ampio, socio ambientale, che intende indagare comparativamente fra il mondo arcaico chiuso dell’economia pastorale sarda del vetero padre/padrone, avaro, pur se non privo, d’affetti e la similare situazione carnica. L’autrice ammette che la posizione del mondo carnico, pur egualmente rustico e di poche parole e scarno di slanci affettivi, e molto diverso dalla situazione sarda.

La donna carnica, mai “subiecta” anzi, per le note vicende dell’emigrazione stagionale dei mariti, rinomati muratori o fornaciai, oppure dei famosi “cramars” =venditori ambulanti ante
litteram, che giravano tutta l’Europa, era la vera detentrice delle sorti economiche e sociali della famiglia, dovendo, per buona parte dell’anno, provvedere all’uopo: negli statuti delle “vicinie”,
assemblee comunali del tempo, venivano formalmente nominate “capofamiglia”.

Il romanzo, confessa l’autrice, e in parte autobiografico e in parte inventato; come tutti i
romanzi che prevedono la presenza di diversi personaggi e l’autore spesso si lascia trasportare dalle vicende degli stessi: vedi i “Cento personaggi in cerca d’autore” di Pirandello; e uno spaccato vivo e sofferto di un’epoca ormai trascorsa che lascia però trasparire i valori mitici tradizionali non privi di riscontri superstiziosi universali, forse arcaici, ma pur sempre umanissimi, in quanto l’uomo e
uguale, nei suoi bisogni, nelle sue paure, nei suoi slanci, nelle sue miserie tante, o grandezze poche, sotto tutti i cieli e tutte le latitudini.

Il libro merita una lettura attenta e meditata e ripagherà il lettore, non necessariamente sardo, con il sapore delle cose buone, o meno buone, di ogni casa o nuraghe o capanna del mondo degli uomini declinati al femminile, poichè l’Anna che attraversa il mare e la bambina che attraversa una delle innumerevoli “januae” porte, che ogni donna attraversa per diventare grembo di vita.

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