RICORDO DEL “RE DEL CEMENTO ARMATO”, L’INGEGNERE SARDO GIOVANNI ANTONIO PORCHEDDU, A 160 ANNI DALLA NASCITA (ITTIRI, 26 GIUGNO 1860 – TORINO, 17 OTTOBRE 1937)

ph: Giovanni Antonio Porcheddu

di ANGELO MANCA

Piero Scarpa, un anziano socio del Circolo “Sarda Tellus” di Genova, tempo fa, mentre parlavamo di poesia e di poeti sardi, mi fece conoscere il libretto di un poeta, Michele Pinna di Codrongianus, attivo fra gli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Il testo trattava di “Arti e personaggi che hanno dato lustro all’Italia”.  Il nostro discorso si concentrò su una personalità oggi poco conosciuta, l’ing. Giovanni Antonio Porcheddu, ricordato nei libri specialistici di architettura per essere stato il realizzatore, fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, di opere architettoniche molto importanti.

Giovanni Antonio Porcheddu, nato ad Ittiri nel 1860, orfano dall’infanzia, allevato da uno zio, fu avviato alla professione del padre, che aveva fatto il muratore. Volendosi emancipare, da lavoratore studente dimostrò delle qualità che gli valsero una borsa di studio che lo portarono all’Università prima a Pisa e poi a Torino. Si laureò ingegnere civile nel 1890, poi elettrotecnico infine industriale, intravedendo la possibilità di impegnarsi nel settore minerario sardo.

La sorte lo portò ad incontrare François Hennebique,  un geniale costruttore (poi ingegnere) francese che nel 1892 depositò un suo brevetto per costruzioni in calcestruzzo armato. Hennebique cercava un concessionario per l’Alta Italia che non riusciva a trovare, a causa  della diffidenza che l’ardita novità ovunque suscitava.

Fino ad allora le costruzioni abitative e quelle industriali erano tradizionalmente costituite da strutture verticali portanti in muratura piena e da solai e coperture che poggiavano su travi di legno o di ferro. Hennebique, introducendo il nuovo sistema del conglomerato cementizio armato internamente con profilati di ferro disposti razionalmente, rivoluzionò i moduli costruttivi precedenti, considerata la maggiore compattezza e sicurezza degli edifici, contribuì a dare un forte impulso alla straordinaria evoluzione urbanistica e industriale sviluppatasi in Europa tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento.

Le prime notizie sul Sistema Hennebique in Italia si ebbero  nel giugno 1894, quando gli ingegneri Ferrero e Porcheddu, titolari dell’omonimo Studio Tecnico in Torino, diffusero  un loro stampato presentandosi come titolari della rappresentanza dei “solai incombustibili Hennebique”. Ma è solo nell’anno successivo che si trovano tracce di lavori sviluppati dal “Concessionario Giovanni Antonio Porcheddu”; nel 1896 nei documenti comparve per la prima volta l’intestazione “Ing. G.A. Porcheddu, Studio Tecnico Hennebique ed Agenzia Generale per l’Alta Italia – Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto”. Secondo i termini della concessione, la Société Hennebique elaborava la progettazione e il calcolo delle strutture, successivamente, col progredire e l’affermarsi dell’impresa torinese, questa assorbì le competenze progettuali ed esecutive.

La Società diretta dall’imprenditore sardo finì per risultare una fra le più prestigiose e meglio organizzate imprese edili del Paese. Essa contava, oltre la sede principale di Torino, palestra per molti ingegneri, anche la sede di Genova dove si dotò di una propria ferriera, e le sedi di Milano e Roma.  operò nel settore dei ponti, nel settore civile e industriale. Nel periodo di grande sviluppo, arrivò ad occupare 20 ingegneri, 50 impiegati e circa 1500 operai, e una fitta rete di agenti e rappresentanti sparsi per tutta la penisola. Comprendeva due settori distinti ma strettamente collegati: quello della progettazione e quello della messa in opera. Il tutto è rimasto documentato da un vastissimo “Archivio Porcheddu” conservato presso il Politecnico di Torino. L’ingegnere Porcheddu operò fino al 1933 realizzando circa 2600 opere documentate, prevalentemente in Piemonte, Liguria, Lombardia e Veneto, pochi lavori vari in altre zone d’Italia.

Nel 2020 ricorrono i 160 anni dalla nascita.

LE PIÙ IMPORTANTI OPERE

Dell’attività costruttiva della Società Porcheddu, alcune meritano di essere qui sommariamente descritte per la loro importanza ed esemplarità:

— A Genova il silos granario 1899-1901, situato in calata Santa Limbania (che, per i sardi che arrivano con la nave a Genova, è quella costruzione lunga più di 200 metri con centinaia di finestre sulla destra della stazione marittima). Costruita per ospitare i traffici delle granaglie, rappresenta una tappa importante sia della società Porcheddu e di Hennebique, ma anche dell’evoluzione del cemento armato, essendo stata, per quei tempi, la più grande costruzione al mondo realizzata con tale tecnica. Contribuì a dissolvere i dubbi che ancora esistevano sul cemento armato. Complessivamente nella sola Genova, dove Porcheddu disponeva di una propria filiale, realizzò 457 opere, e 219 nel resto della regione.

— A Venezia la ricostruzione integrale del famoso campanile di Piazza San Marco, crollato improvvisamente nel 1902. La municipalità veneziana aveva deliberato di ricostruirlo integralmente riproducendo esattamente  le medesime linee architettoniche: i paramenti esterni, la cella campanaria e la bellissima cuspide dovevano apparire non modificati, mentre all’interno la costruzione doveva risultare ampiamente alleggerita e compattata con strutture portanti in cemento armato secondo il sistema Hennebique. Il progetto di ricostruzione integrale comportava il sostegno di quattro grandi pilastri interni di cemento armato legati alle murature perimetrali e a una scala di accesso le cui rampe erano anch’esse di cemento armato. Alleggerita e rinforzata risultava la cella campanaria, formata da adeguate strutture metalliche, mentre l’ardita ed elegante cuspide piramidale, alta 20 metri, era resa rigida da nervature verticali e da travature orizzontali di collegamento, tutte in conglomerato cementizio armato. Alla fine dei lavori (1911) l’intera opera, opportunamente stabilizzata e rinforzata alla base con un’ampia piattaforma cementizia poggiante su oltre 3.000 pali, segnò una consistente diminuzione di peso con un sensibile abbassamento del centro di gravità, con notevole vantaggio per la solidità e la staticità dell’insigne monumento. Il progetto generale portava la firma del celebre ing. G. Donghi, mentre il progetto delle strutture portanti e dei relativi calcoli era dovuto ai tecnici della Società Porcheddu, con in testa il più attivo e valido dei collaboratori dell’imprenditore sardo, l’ing. Arturo Danusso.

— Altra grande realizzazione di Giovanni Antonio Porcheddu, il Ponte Risorgimento a Roma, fu condotta a termine nello stesso anno 1911. Essa è stata sempre considerata, nella storia mondiale dell’architettura e della tecnica viaria, come uno dei più significativi prototipi in cemento armato. La progettazione di massima fu fatta negli studi parigini della Hennebique in collaborazione con i tecnici torinesi della Società Porcheddu; questa curò i calcoli del cemento armato e la direzione dei lavori. Fu il primo grande ponte al mondo ad unica campata (100 metri di lunghezza e 10 metri di freccia) ed a minimo spessore nella chiave di volta (85 centimetri complessivamente tra la soletta e la carreggiata). il Ponte Risorgimento è degno di menzione per la sua importanza urbanistica. Esso si inquadrava in pieno nel grandioso disegno di razionalizzare organicamente l’espansione edilizia della Capitale, fino ad allora sviluppatasi senza alcuna regola: il nuovo ponte funse da elemento di raccordo tra il quartiere Flaminio, sulla parte sinistra del Tevere, e la zona opposta, allora priva di insediamenti abitativi, destinata poi a gravitare su Piazza Mazzini attraverso il viale omonimo e sul Piazzale Clodio, quasi ai piedi di Monte Mario; esso avrebbe dovuto regolare l’accesso alla Grande Esposizione celebrativa del primo cinquantenario dell’Unità d’Italia (1861-1911), allestita con grande fasto e notevole ampiezza di mezzi.

–Stabilimento Fiat Lingotto di Torino, progettato nel 1914,quando la fabbrica era un complesso verticale, costruita in due fasi, dal 1916 al 1926. Nato dal sogno americano di Giovanni Agnelli, esempio di nuova architettura modernista, appare come la produzione spaziale di un processo produttivo nuovo dettato da criteri scientifici di organizzazione del lavoro. Il ciclo continuo della produzione sale nei piani sino ad arrivare al collaudo delle vetture nella pista di prova sulla copertura del fabbricato. Però già negli anni Trenta si fa strada l’idea di fabbrica orizzontale e si prospetta l’ipotesi di riconversione.

ALTRI NOTEVOLI INTERVENTI:

Edifici residenziali di via XX Settembre,  Genova: 1896-1904.

Mercato Orientale di Genova: 1898-1899.        

Palazzo Assicurazioni Generali Venezia, Milano: 1898.

Palazzo Gonzaga, Milano: 1898-1900.

Fabbrica Termotecnica e Meccanica, Torino: 1900.

Padiglione Magazzini Ansaldi Milano: 1903.

Casa Marangoni, Torino: 1904.

Fabbricati di molitura Soc. Molini Alta Italia, Sampierdarena: 1904-1905.

Officina Grandi Motori Fiat, Torino: 1905-1906.

Stabilimento Soc. Anonima Automobili Alessio, Torino 1907.

Palazzo Nuova Borsa, Genova: 1907-1910.

Case economiche, Messina: 1910-1916.

Stadium, Torino: 1911.

Magazzini Generali Piemontesi, Torino: 1914.

Stabilimento Grandi Artiglierie Campi, Genova: 1916.

Hangar per dirigibile, Parma: 1918.

Case della Compagnia Anonima di Assicurazioni, Torino: 1929-1931

BIBLIOGRAFIA

– “Avvento ed evoluzione del calcestruzzo armato in Italia: il sistema Hennebique”; autori: Riccardo Nelva e Bruno Signorelli, Edizioni di Scienza e Tecnica per AITEC, Milano 1990.                                        

– “Architettura e Industria” – Il caso Ansaldo (1915-1921); autori: Paolo Cevini e Beatrice Torre, Sagep Editrice, Genova 1994.  

– “Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna, volume primo, a cura Cecilia Dau Novelli e Sandro Ruju,  AIPSA Edizioni, Cagliari, 2012.

– “L’ingegnere G.A. Porcheddu ‘Re del cemento armato’” (1860-1937) di Carlino Sole,  a cura del Lions Club di Ittiri giugno 2005.                                                                                      

– “La Nuova Sardegna”, sabato 25 giugno 1960, terza pagina, con articoli di A. Danusso, V. Giglio e uno redazionale.

– “Cronache nuoresi”, articolo di Michele Pintore. Link: https://www.cronachenuoresi.it/2018/08/22/giovanni-antonio-porcheddu-lingegnere-sardo-autore-del-piu-grande-ponte-al-mondo-in-cemento-armato/

NOTA

Desidero ringraziare il dott. Paolo Pulina per avermi convinto a riprendere e a riordinare gli appunti di una ricerca da me fatta su un personaggio importante della Sardegna, quale è stato l’ingegnere Giovanni Antonio Porcheddu.

PORCHEDDU CELEBRATO IN OTTAVE DA MICHELE PINNA DI CODRONGIANUS

Per finire propongo il canto in ottave trascritto con una grafia non coerente, secondo la stampa originale. Pinna erroneamente considera Banari e non Ittiri il paese natale di Porcheddu.

Da “Cantones sardas in ottava rima a tema: Arte e iscultura” de Michele Pinna de Codrongianus

                       …   48

A parte de ogn’antigu monumentu

Chi Roma s’hat testadu a contu sou,

B’handat Porcheddu su Sardu elementu

E fatt’hat unu monumentu nou,

De cuss’arte su primu fundamentu

Banari [sic!] bantadinde chi est su tou,

Arte sa chi dogn’arte hat superadu

Su grande ponte de su cimentu armadu.

                              49

Cuntempla cara Sarda patria mia

Cantu s’arte de Porcheddu hat produidu,

Cun cimentu, cun rena e cun laddia*

Mondiale unu ponte hat costruidu,

De chentu metros e una arcada ebbia

Fatt’a cimentu mai si fit bidu,

E oe s’arte fattu hat cussu puru

Un’arcu de chentu metros e securu.

                             50

S’arte est ch’at dadu sas cosas proadas

Cando su ponte l’hant collaudadu,

milli e chentu battordighi tonelladas

De ghiaia b’ant supra piazzadu,

Inoltre sette macchinas de istradas

B’haiat, ma su ponte no hat crolladu,

E senza cussu a cursa sunt passados

Un’isquadra de milli sordados.

                              51  …

*laddia = ciottoli, pietra di fiume

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3 commenti

  1. Non lo sapevo, grazie condivido.

  2. Posso raccontare un aneddoto riguardante il Ponte Risorgimento di Roma. Esso mi fu riferito da un Assistente di “Costruzioni in Legno Ferro e Cemento Armato”, quando frequentavo questa materia nella seconda metà degli anni quaranta del secolo scorso presso la Facoltà di Ingegneria di Roma. L’assistente era nipote di un ingegnere che aveva lavorato con l’ing. Porcheddu. Quindi credo sia credibile. Eccolo. Ultimati i lavori di costruzione del ponte, si doveva procedere al Collaudo. Questo veniva eseguito una volta con carichi fissi e poi con carichi mobili (automezzi di peso noto, folla compatta). Pare che l’ing. Porcheddu trovasse delle difficoltà in quanto ancora molti degli eminenti tecnici non avevano completa fiducia nella teoria di Hennebique e perciò, quando furono interpellati per l’incarico, dettero delle risposte o negative o ambigue. Allora l’Ingegnere, tramite un uomo politico sardo, si rivolse al Re Vittorio Emanuele III chiedendo di mettergli a disposizione i Granatieri di Sardegna, che erano di stanza a Roma, perchè sfilassero a folla compatta sul ponte e poi lo attraversassero su mezzi di trasporto che avevano in dotazione e anche con altri mezzi forniti dal Reggimento di Artiglieria anch’esso di stanza a Roma. Il Re accettò la richiesta e fu stabilito il giorno del Collaudo. Prima che iniziassero i movimenti sul ponte l’ingegner Porcheddu si mise sotto di esso in una barca con i figli e la moglie fino alla fine della prova. Pare che qualcuno della famiglia per tutto il tempo facesse musica suonando una fisarmonica. La prova di Collaudo ebbe esito positivo ed il ponte Risorgimento, dopo quasi 110 anni, è ancora lì bello, elegante e intatto. Guardarlo da una certa distanza è una cosa meravigliosa perchè lo spessore nella sezione centrale, che è di 80 (ottanta) centimetri, sembra un foglio di carta. Ai miei tempi, quando vi transitava il tram Circolare Rossa (esterna destra ed esterna sinistra) si aveva l’impressione che il ponte si abbassasse e si rialzasse. Danzava per la gioia.
    Informo infine che a Porcheddu la Città di Sassari ha dedicato una via, nella zona di Serra Secca.

    • SALVATORE DERUDA

      Piccolo aneddoto che in pochi conoscono. Nel suo paese natale, Ittiri, vi è una via dedicata a lui, Via Ing. Porcheddu, appunto. Una via importante, in cui vi sono due scuole dell’infanzia ed una scuola primaria. In questa via abitano circa 80 persone ( o meglio abitavano, prima che tutti i figli dei residenti si siano trasferiti in proprie case e molti anziani siano morti). Di queste 80 persone, ben 6, sono ingegneri. Credo che sia una percentuale altissima rispetto al numero degli abitanti e mi piace pensare che non sia una caso…
      Ing. Salvatore Deruda (Via Ing. Porcheddu, Ittiri)

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