“SA DOMU ‘E S’ORKU”, LA TOMBA DEI GIGANTI DI IS CONCIAS A QUARTUCCIU, UNA PREZIOSA TESTIMONIANZA DELLA CIVILTA’ NURAGICA

di ROBERTA CARBONI

Nell’area di Cagliari la presenza di strutture preistoriche è di gran lunga inferiore rispetto ad altre zone della Sardegna, forse a causa della più rapida ed intensa urbanizzazione del territorio. Tuttavia, tra i luoghi più impervii, spesso occultate dalla fitta vegetazione o protette dallo scudo dei monti, resistono ancora monumenti di grande fascino, che costituiscono preziose testimonianze dell’antica civiltà dei sardi. 

E’ il caso de “sa domu ‘e s’orku” di Is Concias, una tra le più belle e ben conservate Tombe dei Giganti dell’intera Sardegna, che si erge maestosa tra i boschi e le alture occidentali dei Monti dei Sette Fratelli, in territorio di Quartucciu. Il nome, attribuito dalla fantasia popolare a seguito della rivoluzione culturale attuata con la piena affermazione del Cristianesimo, significa “la casa dell’orco”, nella convinzione che questi luoghi così particolari ospitassero creature spaventose e malvagie.

Le tombe dei giganti sono strutture sepolcrali megalitiche risalenti all’epoca nuragica databili tra l’Età del Bronzo Medio e Recente nelle quali gli antichi padri di Sardegna seppellivano i propri morti. Tombe collettive, dunque, la cui costruzione, nell’immaginario collettivo, era dovuta all’opera di esseri sovraumani dotati di dimensioni e forza notevoli: i giganti, appunto.

Difficile affermare con certezza le pratiche ed i rituali funerari in uso. L’opinione degli archeologi, infatti, si divide sostanzialmente in due correnti di pensiero. La prima ipotizza per questi monumenti una funzione più simile ad un ossario, ritenendo le tombe dei giganti sepolture “secondarie”. In altre parole, dunque, i corpi venivano deposti nella tomba in un secondo momento, dopo la scarnificazione totale o parziale del corpo. Date le dimensioni dell’apertura d’accesso alla camera, la deposizione delle sole ossa risulterebbe più agevole rispetto a quella dell’intero corpo. A seconda delle dimensioni della camera funeraria, si è ipotizzato, infatti, che questa potesse contenere i resti ossei di oltre 300 individui.

La seconda teoria propende, invece, per la cosiddetta deposizione “primaria”, quindi con l’inumazione dell’intero corpo.

In relazione al contesto geografico di riferimento, le tombe dei giganti differiscono per il materiale utilizzato per la loro costruzione e per le tecniche costruttive, mantenendo identica, invece, la forma. 

Questa si caratterizza per l’utilizzo di una particolare planimetria longitudinale che richiama, soprattutto se vista dall’alto, la protome taurina, simbolo assai caro alle culture nuragica e prenuragica. Secondo alcuni studiosi il disegno dell’architettura sarebbe dedicato proprio al toro, animale venerato fin dai tempi più lontani dalle genti di Sardegna, come dimostra il ritrovamento di numerose statuette votive o le raffigurazioni stilizzate scolpite a rilievo, incise o dipinte presenti all’interno delle cosiddette “domus de janas”. Queste ultime sono sepolture collettive scavate nella roccia che si datano ad un’epoca precedente – tra il IV e il III millennio prima di Cristo.

Esistono due differenti tipologie di tombe dei giganti. 

La prima ha struttura ortostatica, con camera funeraria ottenuta attraverso una successione di lastre di pietra infisse verticalmente nel terreno e coperta con lastre sovrapposte orizzontalmente. In questa tipologia di tomba l’esedra è anch’essa ottenuta attraverso lastre infisse verticalmente nel terreno di cui, quella centrale che funge da ingresso, presenta una decorazione centinata. 

La seconda tipologia, invece, è realizzata con tecnica isodoma, ovvero attraverso la disposizione a filari sfalsati di conci di pietra e presenta un ingresso architravato. 

La tomba di “Is Concias” appartiene a quest’ultima tipologia e presenta una facciata a filari realizzata in blocchi di granito che si apre a formare un’esedra e un corridoio coperto che costituisce la camera funeraria, il cui ingresso è assicurato da una piccola apertura rettangolare architravata. La camera funeraria è lunga circa 8 metri e larga circa 1 metro e 30 cm. L’altezza decresce man mano che si avanza, partendo da un massimo di 2 metri e 10 cm dell’ingresso fino ad arrivare ad un minino di 1 metro e 70 cm sul fondo. La disposizione dei conci di pietra all’interno del vano funerario segue uno schema aggettante, creando uno spazio triangolare.

I primi scavi si ebbero nel corso degli Anni Sessanta sotto la direzione del prof. Enrico Atzeni, e gli ultimi interventi si datano alla fine degli Anni Ottanta. Durante gli scavi emersero alcuni interessanti ritrovamenti, tra cui statuette votive in bronzo, resti ossei umani. Furono ritrovati anche alcuni betili, uno dei quali ricollocato in tempi recenti al lato destro dell’ingresso. I betili, simboli fallici di fertilità, erano pietre sacre di dimensioni ridotte rispetto ai menhir, sui quali talvolta venivano scolpite piccole mammelle oppure due occhi.

A causa del suo lungo isolamento geografico la tomba è stata spesso oggetto di numerosi atti vandalici che, per fortuna, non ne hanno alterato la bellezza ed il fascino. Negli ultimi tempi, invece, con la diffusione di discipline spirituali e pratiche esoteriche quali lo yoga o il “neopaganesimo”, questo luogo è spesso meta di raduni a scopo di meditazione e riflessione. In ossequio a queste discipline si ritiene che le tombe dei giganti siano state costruite dalle genti nuragiche in corrispondenza di particolari punti energetici. L’energia trasmessa da tali punti verrebbe assorbita e rilasciata dalle pietre, che acquisterebbero così particolari poteri curativi.

Sebbene oggi questa pratica rappresenti una tra le tante “mode” che prendono avvio dalla suggestione esercitata dall’archeologia, anticamente esisteva una pratica rituale, detta “incubatio”, che prevedeva la connessione spirituale tra il monumento e l’uomo.

Si tratta senz’altro di uno tra temi più affascinanti connessi all’archeologia nuragica e alle tombe dei giganti. 

In tanti hanno scritto sull’argomento, da Alberto La Marmora a Massimo Pittau a Dolores Turchi. L’incubazione, documentata presso i Sumeri, i Greci e i Romani, era una pratica magico-religiosa che consisteva nel riposare per un numero variabile di giorni in un’area sacra allo scopo di sperimentare in sogno rivelazioni sul futuro oppure ricevere vantaggi curativi e benefici. 

Tra i primi a riferire la notizia di questa pratica in Sardegna è Aristotele: “La stessa sensazione dovrebbero provare quegli uomini addormentati in Sardegna, secondo la leggenda, accanto agli eroi, qualora si destassero: essi infatti accosterebbero l’istante in cui si assopirono con l’istante in cui si sono destati e ne farebbero una cosa sola togliendo via, a causa della loro insensibilità, tutto ciò che è intercorso”. Tra i commentatori di Aristotele, Filippono afferma che tale pratica durasse addirittura cinque giorni. 

Sebbene si tratti di un argomento affascinante, gli studiosi e gli archeologi ci sono avvicinati a questo tema con grande cautela, avanzando alcune ipotesi che non si discostassero da quanto fornito dai dati archeologici. Lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni propose per primo la teoria secondo cui la pratica dell’incubazione si svolgesse presso le tombe di giganti. La teoria di Pettazzoni fu avallata da un altro studioso, l’archeologo Paolo Melis, il quale affermava che nei pressi delle tombe dei giganti si svolgevano i complessi riti funerari in onore dei defunti, e che probabilmente non si limitavano al momento della deposizione ma si ripetevano più volte in determinati momenti o ricorrenze. In effetti, nella religione aveva una grande importanza il culto degli antenati, che venivano mitizzati. Sia Pettazzoni che Melis individuano nell’esedra frontale delle tombe di giganti il luogo deputato all’incubazioni rituale. In seguito il linguista e glottologo Massimo Pittau affermò che, se si considerava valida la notizia di Filippono, il rito dell’incubazione prevedeva un sonno di 5 giorni, assolutamente non praticabile all’interno di un simile contesto. Le tombe dei giganti, secondo Pittau, non erano idonee ad una pratica rituale che prevedeva una tale tempistica, avanzando a sua volta l’ipotesi secondo cui il rito dovesse svolgersi all’interno dei nuraghi complessi. 

Qualunque sia la verità, è certo che la civiltà nuragica ha giocato un ruolo fondamentale nella costruzione dell’identità del popolo sardo, lasciando ancora oggi irrisolti numerosi interrogativi che rendono la Sardegna un’isola misteriosa e affascinante che merita di essere scoperta e raccontata.

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