CREATIVITA’, CULTURA, CONDIVISIONE, COMUNITA’: LA REGOLA DELLE “QUATTRO C” DI GIUDITTA SIREUS, TESSITRICE DI SOGNI

ph: Giuditta Sireus

di MICHELA GIRARDI

Laureata in Beni Culturali e specializzata in Storia dell’Arte,vanta significative esperienze presso i Sistemi Museali dell’Umbria, del Veneto presso la Fondazione Musei Civici di Venezia e presso l’Ufficio Beni Culturali di Guspini. Ha perfezionato i suoi studi con un master in Europrogettazione e con corsi manageriali di economia, marketing, strategia e gestione delle risorse economiche e umane.  Dopo un’esperienza come imprenditrice di itinerari teatralizzati e come animatrice di comunità nel Progetto Policoro, oggi si occupa di progettazione culturale e valorizzazione dei beni culturali, di didattica sperimentale e di ideazione e gestione di eventi eventi. Attualmente è impegnata nel progetto “Andando via. Omaggio a Grazia Deledda” ed è l’ideatrice del fortunato Club di Jane Austen.   Stiamo parlando di Giuditta Sireus, 36enne di Villacidro, che della cultura e della sua divulgazione ha fatto una vera e proprio ragione di vita. Una “tessitrice di sogni” che cerca di trasformare con determinazione in azioni concrete. Appassionata, creativa, sognatrice, instancabile. Conosciamola meglio.

Ti occupi di progettazione culturale e valorizzazione dei beni culturali. Prima di parlare dei tuoi progetti passati e futuri vogliamo una volta per tutte chiarire come per svolgere un mestiere come il tuo serva una grande preparazione oltre alla passione? Perché in Italia ancora oggi i mestieri legati alla cultura e alla sua divulgazione sono considerati quasi passatempi e proprio per questo spesso malpagati? Dove sta l’errore principale che poi ammorba tutto il meccanismo secondo te?  Per essere manager della cultura e dello spettacolo serve una grande preparazione che va pianificata sin dalla scelta della facoltà universitaria. Io ho sempre avuto ben chiaro ciò che sarei voluta essere e diventare, per questo, oltre agli studi accademici, ho deciso di intraprendere percorsi dedicati al management applicato ai beni culturali, allo spettacolo, alla didattica museale e, allo stesso tempo ho sperimentato sul campo le mie idee, i metodi di comunicazione, i miei progetti, le nozioni teoriche apprese. Ciò che non mi è mai mancata è la sete di conoscere, di aggiornarmi e di confrontarmi anche oltre isola. Ho appena iniziato un master a Lucca in direzione artistica e management culturale e musicale proprio perché credo che senza una mente aperta e un costante desiderio di imparare non si possa andare lontani. La figura dell’organizzatore di eventi è relativamente recente e stenta ancora oggi ad essere identificata come professione con una sua vera e propria dignità. Nonostante questo ritengo sia un lavoro quanto mai necessario e fondamentale sia all’interno di imprese profit sia in realtà no profit ed enti pubblici, perché a questo sono ricondotte capacità di tipo gestionale, relazionale e una profonda conoscenza del settore cultura e spettacolo, che aiutano in un’attività che diamo troppo spesso per scontata: progettare. Se si potesse più diffusamente valorizzare la progettazione come strumento guida si aprirebbero scenari davvero importanti: l’accesso a contributi anche internazionali, la possibilità di organizzare e coordinare attività o eventi di altissima qualità, attivare scambi a livello mondiale. C’è però una difficoltà, purtroppo, di fondo. Si attribuiscono le definizioni di “organizzatore di eventi”, “direttore artistico”, “manager” senza conoscerne il significato, quindi organizzatore è il volontario, l’appassionato di musica, di libri, che decide di creare un evento per intrattenere, con appuntamenti e manifestazioni di qualità più o meno accettabili, la comunità. Questo svilisce la figura professionale e per me e i miei colleghi diventa una “battaglia” far capire, a chi si rivolge a noi o ai clienti ai quali ci presentiamo, che è un vero e proprio lavoro e come tale va riconosciuto. Inoltre la Cultura fa rima con “gratuità”. È ancora lunga la strada che conduce a concepire la Cultura come attivatore di benessere economico. In una terra come la nostra, così ricca di bellezza, di storia, è il futuro.

Il Club di Jane Austen è nato con te a Villacidro ma ormai ha conquistato quasi tutta la Sardegna. Raccontaci come è nata questa fortunata formula, quali sono le attività proposte e come si sta evolvendo la formula del club.  Il primo nucleo del Club di Jane Austen nasce a Villacidro nel 2014 con l’obiettivo di creare uno spazio intellettuale fisico e virtuale dedicato alle donne. Donne che solitamente non hanno alternative per il proprio tempo libero e in senso più ampio donne che avevano e hanno desiderio di trovarsi, ascoltarsi e incontrarsi intorno a un oggetto semplice ma potentissimo: un libro. Sin da subito l’idea è stata quella di caratterizzarlo con una figura incredibilmente carismatica e rivoluzionaria, sebbene vissuta oltre duecento anni fa. Parlo della scrittrice Jane Austen. La decisione di scegliere lei è stata dettata da una mia analisi delle abitudini femminili all’interno dello strumento social network. Tantissime erano le condivisioni di lettura, di citazioni, di immagini dedicate a lei. Così Jane ha guidato i miei primi passi per l’attivazione di un circolo con un format dinamico, interattivo, ricco di attività, dove regnano la Cultura, il confronto, il rispetto reciproco, la Sorellanza. La nostra esperienza del club la definirei anomala, in senso positivo, perché i nostri circoli, che sono diventati cinque (con l’apertura delle filiali anche a Cagliari, Sassari, Nuoro e Sarroch), accolgono davvero molte iscritte, andando oltre il concetto di classico gruppo lettura. Noi siamo a oggi più di cinquecento. Il club è un modello da studiare e da replicare. Attivarlo è davvero semplice.

Il Club letterario è chiaramente aperto a tutti ma noto che gli iscritti sono quasi tutte donne. Perché secondo te?  Il circolo organizza incontri mensili dedicati alle iscritte in ogni sede, ma anche attività di rievocazione storica, laboratori didattici, presentazioni di libri ed eventi straordinari aperti a tutti, piccoli e grandi, uomini e donne.

L’ultimo tuo lavoro è “Andando via” è dedicato a due grandi donne sarde, che io idolatro, Maria Lai e Grazia Deledda. Raccontaci come è nato questo progetto, come sta andando a livello di risposta di pubblico e spiegaci perchè oggi sia così importante puntare sulle donne e sui loro talenti, partendo da delle figure femminili di grandissimo spessore come quelle che ti hanno ispirato questo bellissimo progetto.  “Andando via” è stata un’altra idea nata dall’incontro tra creatività e studio, dall’unione di due nomi: Maria Lai e Grazia Deledda. Il risultato è stato venire a conoscenza dell’ultima opera pubblica dell’artista di Ulassai che si trova a Nuoro vicino alla chiesa della Solitudine. Sapere dell’esistenza di questo monumento, visitarlo, cogliere l’urgenza di restituirgli dignità e significato, poiché versa in grave degrado, mi hanno portato a immaginare il progetto omonimo. L’ultimo saluto di Maria Lai e il suo omaggio alla Deledda, attraverso la celebrazione delle sue protagoniste femminili, non potevano restare inascoltati o rimanere sconosciuti. Così ho pensato, in collaborazione con l’Archivio Maria Lai, di farne una replica ma in versione tessile, passando dal cemento armato ai fili intrecciati, dal ferro battuto alla lana naturale, dando vita a un monumento trasportabile, leggero, mobile. Per fare questo non potevo che mettere insieme, sotto la guida di Lai e Deledda, venticinque tessitrici di Sardegna: la prima opera nella storia tessuta coralmente dalle artigiane di Sardegna.

È il risultato visibile di tanti valori: l’identità, il sapere innato femminile, la conoscenza antica della tessitura, ma anche la condivisione, il senso di comunità. Andando via infatti raduna anche ventitré amministrazioni comunali ed è divenuto il primo progetto di filiera del tessile riconosciuto dalla Regione Sardegna, attraverso l’assessorato della programmazione e il bilancio.  È stato un lavoro impegnativo e intenso che ha richiesto quattro anni, tanti sacrifici e un team diversificato che ha saputo raggiungere l’obiettivo. Andando via in nemmeno un anno ha incontrato tantissimi visitatori, ha compiuto tanti viaggi, anche fuori isola. Ad oggi la mostra è stata montata diciannove volte. Insieme a questa sono tante le attività e le azioni collaterali: un documentario che racconta la genesi del progetto con inediti racconti di Maria Lai a cura del regista Francesco Casu e la testimonianza delle tessitrici, uno spettacolo teatrale dedicato alle donne protagoniste dei romanzi deleddiani, gli itinerari del tessuto per scoprire laboratori e i luoghi che li accolgono, una pubblicazione a tema.

Il tuo, come dicevamo, è un lavoro complesso. Pochi fondi, molta concorrenza, a volte di persone che – anche se in buona fede – si “improvvisano” operatori culturali. Spesso anche in questo ambiente, forte la grande competizione sul campo, vengono messe da parte. Tu hai mai dovuto lavorare di più rispetto ai tuoi colleghi maschi per raggiungere i tuoi obiettivi? Ti sei mai sentita vittima di maschilismo?  Nel mio lavoro ho spesso riscontrato pregiudizio nei miei confronti, indifferentemente da donne e da uomini. Alcune volte questi pregiudizi sono stati causati per il mio aspetto, ma soprattutto per la mia giovane età, che fa pensare in automatico a un’inesperienza e incapacità professionale di base. Sicuramente grandi problemi li ho avuti perché non scendo a compromessi e sono una donna libera, ambiziosa e con le idee piuttosto chiare. Questo dà spesso fastidio o non permette di andare avanti nel percorso. Ciò che però mi crea grandi difficoltà è la mia capacità visionaria, cioè di cogliere e immaginare scenari che in un futuro saranno progetti di successo. I miei interlocutori mi pensano folle e una persona da prendere poco sul serio. È capitato anche che mi ridessero in faccia. Ho lasciato a quel punto che parlassero i fatti realizzando i miei progetti con le mie sole forze. È capitato per Andando via e anche per il Club di Jane Austen.  Una esperienza del tutto positiva arriva invece dalla cittadina di Mamoiada, la quale attraverso il Comune, l’associazione Atzeni – mamuthones e issohadores e l’associazione Ventu Pintau, ha investito davvero molto su di me e le mie idee, sostenendomi e dandomi spazi importanti. Mamoiada rappresenta una tappa fondamentale per me, per il mio lavoro e la considero come la mia seconda casa. Così devo tantissimo alla cooperativa Progetto H che è stata la prima realtà imprenditoriale a darmi fiducia totale con progetti innovativi di turismo e di didattica.

La domanda che pongo a tutte le intervistate, quella che più mi piace: cosa significa per te essere donna oggi? Quali i nostri diritti, i doveri, le peculiarità e i limiti?  Essere Donna oggi significa avere il diritto e il dovere, soprattutto verso se stesse, di essere Libere.

Cosa significa per te essere femministi? Perché ancora oggi è più che mai importante parlare di femminismo in Italia? Qual è il tuo contributo in questo senso? Quali sono i progetti per il futuro? La Donna sarà sempre al centro del tuo lavoro?  I primi esempi di femminismo li ho vissuti con i miei nonni materni e a seguire con i miei genitori che mi hanno insegnato a mettere in pratica la libertà, l’indipendenza, a valorizzare i talenti senza mai venire meno ai principi, ai diritti e ai doveri, all’insegna sempre del rispetto reciproco e prima di tutto di quello verso me stessa. Oggi per me, per il mio carattere, do poco spazio alle parole non perché siano poco importanti, anzi, ma è il mio modo di essere nel mondo. Do il mio apporto col fare. E i miei progetti sono una continua e diretta esperienza sul campo. È proprio grazie a questi che sperimento quotidianamente tra donne, donne e uomini: solidarietà, ascolto, condivisione. Le donne sono per me una ricchezza infinita e un punto di riferimento alto, mi insegnano ogni giorno che cosa è la Vita e quanto sia prezioso ciò che custodiamo. Io credo fortemente nel potere delle donne, che deve unirsi, spingersi al di là del pregiudizio, delle invidie, delle etichette sociali e delle competizioni. Nelle relazioni come nel mio lavoro metto in campo la visione del “fare squadra”, perché essere in due o più è meglio che essere soli. E porto avanti questa filosofia nonostante tutto. Nonostante questa visione non sia spesso reciproca. Quel potere di cui parlavo prima io lo sento davvero prepotentemente ed è il potere della bellezza intima e profonda, di una conoscenza innata che deve essere riscoperta e che ci deve permettere di credere in noi stesse. Per questo al centro del mio lavoro compare la Donna in tutta la sua essenza.

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Un commento

  1. Alle 4 C di Giuditta io aggiungo la 5 costanza

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