MAMUTHONES E LE ALTRE CREATURE DELL’ANTICO MITO SARDO: ALLA SCOPERTA DELLE MASCHERE DELL’ISOLA

di BENEDETTA PIRAS

Pensando alle tipiche tradizioni della Sardegna subito viene in mente la folla di creature dalla forma umana e una maschera caprina dalle lunghe corna che danzano in corteo al ritmo dei campanacci che le ricopre. Certo, raccontata in questo modo sembra quasi una visione inquietante e a volte è proprio questo l’effetto che fa ai turisti vedere dal vivo i mamuthones e le altre creature del mito sardo. Le maschere sarde però sono molto più che semplici mascherate dalle fattezze bizzarre. Ogni volta che ne osservi una, infatti, stai assistendo a un racconto recitato dal vivo, alla rievocazione di un mito fatto di creature dell’altro mondo e mitici eroi-dei che li hanno affrontati in tempi ignoti. La parte più bella? A seconda della zona in cui ti trovi, le maschere della tradizione sarda cambiano, perché ogni area dell’isola ha una storia diversa da raccontare.

Il variare delle storie dipende spesso dallo stile di vita delle popolazioni che le abitano da millenni e dalla provenienza di questi miti. Per esempio, scoprirai che nelle zone più interne dell’isola, come il Nuorese e l’Ogliastra, molti rituali hanno origine dagli antichi riti dionisiaci dedicati all’abbondanza dei raccolti e alla fertilità, mentre in altri essi hanno radici cristiane e spesso mirano a bandire il maligno da case e paesi.

Vediamo insieme alcuni dei rituali più suggestivi e antichi ancora oggi celebrati durante le feste isolane, dal nord al sud dell’isola.

Boes e Merdules, Ottana. Benvenuto al Carnevale di Ottana, dove ogni anno in questo periodo viene messo in scena un mito che parla di rinascita, buoni auspici e, come spesso accade in queste rappresentazioni, un’eterna lotta. Su Boe (il bue) e Su Merdule (il pastore suo guardiano) sono i due protagonisti della sfilata, accompagnati a debita distanza da Sa Filonzana, una figura misteriosa probabilmente introdotta più tardi e si pensa legata alle antiche Parche greche. La sfilata mette in scena una sorta di lotta tra il bue e il suo pastore, il primo che, mentre viene condotto per le strade dal secondo, cerca di sfuggire al suo controllo saltando, sbuffando e scalciando, muovendo i suoi campanacci e cercando di divincolarsi dalla fune che lo lega indissolubilmente al suo conduttore. Il Boe, avvolto nel pelo bianco di pecora con un fazzoletto nero in capo e una maschera di legno bovina sul viso è simbolo di forza e fertilità e proprio per questo non si farà mai domare dal suo pastore nonostante le ripetute cadute e il bastone di questo. Compito del pastore, zoppo e ricurvo per il lavoro nei campi, vestito allo stesso modo del Boe se non per la maschera lignea umana, è quello di tenere a bada la bestia, che di tanto in tanto caricherà la folla gettandovisi contro fino a quando qualcuno non gli offrirà da bere. Si pensa che questo mito derivi da quelli dionisiaci o pastorali, messi in scena millenni fa per propiziare la fertilità della terra e la salute dei pastori, ai quali con questo rituale si augura di non trasformarsi mai nelle bestie che sorvegliano. L’abbigliamento del Merdule e del Boe infatti è simile perché il pastore della rappresentazione sta per andare incontro a questo destino, scongiurato solo tramite il rito.

Mamuthones e Issohadores, Mamoiada. Chi non ha mai visto Sos Mamuthones? Forse la maschera più conosciuta della Sardegna, li rituale a loro connesso ha origine a Mamoiada, dove ogni anno nel periodo carnevalesco si tiene una grande rappresentazione sacra del rito che li coinvolge. Quando arriva il momento infatti, le strade del paese iniziano a riempirsi di uomini adornati di pelli e campanacci, i loro visi nascosti da maschere che li rendono sovrumane figure danzanti. Sono due le figure principali del carnevale di Mamoiada: Sos Mamuthones e Sos Issohadores. I primi sono immediatamente riconoscibili: portano sul volto una maschera nera in legno di pero e il tipico fazzoletto femminile in capo. Sulle loro spalle il peso di una tradizione sacra esistente da secoli si concretizza con un manto di pelli di pecora nero e ben trenta chili di campanacci assicurati con un sistema di cinghie di cuoio. Gli Issohadores invece hanno fattezze più umane: li distingue una maschera bianca, la giubba rossa sopra una camicia di lino anch’essa bianca e una fascia di sonagli sul petto che faranno risuonare insieme o in alternanza a quelli dei mamuthones. Completa la loro figura una berritta da pastore sulla testa e la soha, una corda molto resistente da cui prendono il nome, impugnata in mano. Terminata la vestizione, il rituale può finalmente cominciare. Seguiti da otto Issohadores, dodici Mamuthones sfileranno per le strade facendo risuonare i propri campanacci in una coreografia di salti e scatti che conoscono a memoria, mentre le loro controparti, tra un risuonare e l’altro di sonagli, “intrappoleranno” con le loro funi una persona dal pubblico. Si pensa che questo rituale abbia origini dagli antichi riti dionisiaci per via delle figure dei Mamuthones. Questi infatti, impossessati dalla divinità e intrappolati in uno stato mostruoso e semi-divino, dovranno andare al sacrificio danzando in modo macabro per lasciare le proprie fattezze mortali e per fare questo dovranno essere guidati dagli Issohadores. Se dovessi finire vittima del lazo di un Issohadore comunque, sappi che per liberarti dalla loro fune dovrai offrire in cambio un bicchiere di vino o un bacio dai poteri magici!

S’Urthu, Fonni. Figure di orchi e guardiani affollano le strade del paese di Fonni nel periodo di Carnevale.Tra questi vicoli infatti, ogni anno s’Urthu (la figura dell’orco) cerca di scappare dalle catene dei suoi guardiani. Si dimena, corre per i vicoli, si arrampica con agilità sovrumana su lampioni e balconi perché s’Urthu è un demone astuto e vivace, ma il suo destino sarà sempre quello di restare sotto il controllo dei suoi eroici conduttori. Non sempre però costoro riusciranno a trattenere a belva bianca: ogni tanto infatti s’Urthu scapperà al loro giogo “scagliandosi” giocosamente su una ragazza nel pubblico, che abbraccerà e sporcherà di fuliggine prima di continuare la sua fuga. Il rituale che circonda queste due figure è davvero affascinante. Gli orchi, vestiti di pelli di pecora bianca, hanno il volto completamente ricoperto di fuliggine e sono scelti tra gli uomini più imponenti e agili della comunità per rappresentare al meglio la creatura. Non sono da meno i loro guardiani, che vestiti di nero, incappucciati e sporchi anche loro di fuliggine in volto, fanno risuonare i campanacci che li cingono sul petto come una sentenza di condanna per la creatura che conducono. Essendo stato riportato in vita dall’800 circa, non si sa molto sulle origini di questo rituale. Alcuni studiosi tuttavia credono che s’Urthu impersoni appunto un orco malvagio, la cui figura è presente in diverse leggende dell’isola.

Mamutzones e Urzu, Samugheo. In un continuo girotondo di creature cornute vestite di pelli di capra S’Urtzu, un Dioniso sceso sulla terra con le fattezze di caprone nero (completo di testa) resiste strenuamente al pungolo di legno di s’Omadore, il pastore dal viso di fuliggine e armato di bastone che deve proteggere gli astanti dalla creatura. Così si presenta agli spettatori la storia dei Mamutzones cornuti e del divino S’Urtzu, comandato dal suo pastore che porta fra le mani una fune, un bastone e una catena. Figura centrale è il capro nero che per tutto il rito si accascerà a terra, rialzandosi poi zoppicando mentre procede per le strade di Samugheo. I Mamutzones invece sono le vere figure danzanti della scena: vestiti di pelli di capra e di un copricapo di sughero e pelo adornato da lunghe corna di caprine, proprio come nei riti dionisiaci saranno impegnati in danze e girotondi al ritmo dei loro stessi campanacci.

Sos Tumbarinos, Gavoi. Ci spostiamo a Gavoi per lasciare i panni di antichi demoni e figure mitologiche ed immergerci in uno scenario dalle fattezze più umane. Se capiti nel paese durante il carnevale infatti preparati: ti aspettano giorni di festeggiamenti, musica, danze, buon vino e cibi locali dolci e salati. Sebbene i più famosi siano i Sos Tumbarinos che devono il loro nome al tamburo che suonano per le strade e che da il via alla processione, al carnevale di Gavoi partecipano diversi altri Sonadores, ossia musicisti. Abbiamo infatti su Triangulu, che suona un triangolo di ferro dal tono molto acuto mentre su Pipiolu accompagna la processione con un flauto composto da quattro fori e dei tasti. Su Tumborro invece porta con sé uno strumento molto particolare composto da una lunga canna e la vescica di un maiale appesa ad una corda. Passando una corda di crine di cavallo tesa su quella che tiene la vescica alla canna otterrà una melodia bassa e cadenzata. Alla fine dei festeggiamenti la scena è però di un ospite d’onore molto particolare, si tratta del fantoccio Zizzarrone, la vittima del paese e un rimando ad un rituale antico di millenni e ben più spietato di quello odierno che utilizza un fantoccio. Zizzarrone sarà accompagnato per tutto il paese dagli abitanti e dai musicisti per poi essere arso sul rogo del Mercoledì delle Ceneri.

Sartiglia, Oristano. Ultima ma non per importanza, quella che alcuni definirebbero la regina delle festività sarde, Sa Sartiglia di Oristano. Qui ogni anno, un semidio dalle fattezze androgine scende tra gli uomini cinto di bianco come la purezza che incarna e che non gli permetterà di toccare terra fino a quando l’evento non volgerà al termine. L’evento inizia proprio dalla vestizione del protagonista assoluto, Su Componidori, l’uomo che si trasfigura e acquisisce fattezze divine grazie ai vestiti e alla maschera che indossa e che lo nascondono totalmente al pubblico, lasciando in vista soltanto le fattezze sovrannaturali. Peculiarità di questo momento è proprio l’obbligo per su Componidori di non toccare mai terra: sarà infatti portato su un tavolo per vestirsi e da lì monterà poi sul suo cavallo, restandovi fino alla fine della giornata di festa.

Dopo la vestizione, su Componidori apre le danze con una rappresentazione di morte e resurrezione: uscirà infatti dalla stanza della vestizione in posizione supina sul suo cavallo, per poi tornare eretto all’uscita dalla casa. Sarà lui poi, dopo aver benedetto la folla insieme a su Sottocomponidori, ad aprire la gara lanciandosi per primo al galoppo e provando ad infilzare la famosa stella della Sartiglia. Dopo di lui anche gli altri cavalieri personalmente selezionati potranno competere per raggiungere la stella, se riusciranno ad infilzarla ne riceveranno una in premio e, come vuole la credenza popolare, il raccolto dell’anno sarà più abbondante. Chiude nuovamente la gara su Componidori, che tenterà nuovamente di infilzare la stella ma stavolta con un semplice stocco. Dopo la competizione la scena andrà alle Pariglias, uno dei momenti più spettacolari dell’evento. Ogni Pariglia è composta da tre cavalieri che, lanciati al galoppo sui loro cavalli finemente adornati da fiori e drappi, si cimenteranno in acrobazie da lasciare senza fiato. Queste sono solo alcune delle tante maschere che ogni anno popolano le strade dei paesi sardi e li portano, per poco tempo, in una realtà sovrannaturale e magica. Prima di visitare un paese dell’isola prova a fare qualche ricerca sui suoi maggiori eventi: scoprirai che ogni piccolo borgo e cittadina ha una leggenda diversa tutta da raccontare!

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