DAL PALCOSCENICO DI SAN SIRO ALL’ENOGASTRONOMIA: LE DUE ESISTENZE DEL CENTRAVANTI PIETRO PAOLO VIRDIS

amarcord Pietro Paolo Virdis con la maglia del Milan

di MASSIMILIANO PERLATO

L’accento sardo è consistente, non ha perso niente. Ha vinto tanto, come calciatore. Originario di Sindia, Pietro Paolo Virdis classe 1957, ha vinto tre scudetti (due con la Juventus nel 1978 e nel 1982, e uno con il Milan nel 1988), una Coppa Italia (con la Juventus nel 1979) e una Coppa dei Campioni (con il Milan nel 1989). Ha vinto la classifica dei cannonieri con 17 gol nel campionato ’86-87. Virdis, nella stagione 1973-74, debutta con la maglia della Nuorese. Nell’estate del 1974 si trasferisce al Cagliari, squadra con cui esordisce in serie A il 6 ottobre (Cagliari Vicenza 0-0). In tutto, gioca per tre stagioni al Cagliari.  Pietro Paolo avrebbe voluto fortemente restare in Sardegna per tutta la carriera. “Un giorno, dopo aver fallito gli spareggi per tornare in A, era il 1977, andai dal presidente Delogu per dirglielo chiaro: la delusione è troppo grossa, voglio restare per riportare il Cagliari in A. È una questione di orgoglio. Lui mi guardò un po’ così, poi mi disse: ragazzo, non c’è più una lira, sei già della Juve. Per me, allora, la Juventus non era un sogno: era un dramma. Mica per la società, ci mancherebbe: solo per dire com’ero fatto io”.

Anche Riva aveva detto “no” alla Juve. Ma quella è un’altra storia. “Io volevo proseguire nella squadra che era stata di Riva. Poi mi ha convinto mia madre: ‘Pietro, vai. Altrimenti non ti fanno più giocare’.  Partii per il continente malvolentieri, pieno di angosce, e feci fatica ad ambientarmi. Loro avevano appena vinto scudetto e coppa Uefa, sbalordivano: ma chi è questo qui che a vent’anni non vuole venire alla Juve e che oltretutto ti manda pure a quel paese? Difatti riapparii a Cagliari in prestito, poi di nuovo a Torino, dove andò un po’ meglio, finché non giunsero Platini e Boniek con grande spesa, così che il club decise di recuperare qualcosa liquidando proprio me, all’Udinese di Causio, di Mauro, poi di Zico”.

Con la Juventus vince due campionati. Il primo con Boninsegna e Bettega, il secondo con Paolo Rossi. “Non sono stato bene per parecchi mesi. Prima la mononucleosi, poi i reumatismi articolari. Mi allenavo poco, era tutto molto arduo. Ma a Torino mi sono trovato bene, ho conosciuto Claudia, quando lei aveva appena 18 anni, poi ci siamo sposati. Siamo stati bene ovunque: eravamo felici, lo siamo, abbiamo avuto due bambini, Matteo e Benedetta. Ricordo l’esperienza di Udine: che bella città. Realmente a misura d’uomo. Stavi bene per l’aria, per la gente, per la qualità di vita”.

Nel 1984 viene prelevato dal Milan, dove resta fino al 1989. Pietro gioca con Rossi e Hateley, ma vince con Gullit. E’ il Milan di Berlusconi e Sacchi. Vince lo scudetto del sorpasso sul Napoli. Allo stadio San Paolo il primo maggio 1988, partita del contatto con il tricolore, l’uomo decisivo è ancora Virdis. Due gol. Aveva segnato anche nelle domeniche precedenti, a Roma e all’Inter. “Indimenticabile. Come Van Basten, il più grande di tutti noi. Marco era entrato con l’Empoli, una partita destinata allo zero a zero. Segnò un gol strepitoso, quasi da fermo. Probabilmente quello della svolta”.

Al Milan è l’apoteosi, l’apice della carriera. Dopo il clamoroso scudetto, arriva anche la coppa dei Campioni. “Andò benissimo al Milan, tant’è vero che qui ho messo radici.”

L’ultima sua squadra è stata il Lecce, con cui chiude la carriera nel 1991, retrocedendo in serie B.  Terminò di giocare a Lecce, 34enne. “Avrei potuto strappare ancora qualche contratto in giro, ma non mi sentivo più all’altezza. Il mio onore e il mio orgoglio mi frenavano. Ho chiuso quando mi è sembrato il momento giusto. Nessuno sa mai quale sia: devi sentirlo dentro, sulla pelle”.

Un gran bel centravanti, sardo con la fondamentale rima di testardo, per dire ragazzo poco disposto al ruffianesimo e fermamente orientato alla schiena dritta. Poi ha provato a tornare, facendo l’allenatore a Catania, a Viterbo, a Nocera. Ma ad un certo punto, ha compreso che non era idoneo. “Colpa mia: non voglio passare per il solito genio incompreso. Volendo restare nell’ambiente calcio, era indispensabile mantenere i legami, i rapporti. Ma non puoi esigere che il mondo ti cerchi, se tu sparisci. Tocca a te starci dentro. E io, in questo, sono una frana. Anche solo alzare il telefono, per me, è un impegno”.

Ora vive a Milano e gestisce un locale con l’insegna ‘Il gusto di Virdis’, sottotitolato ‘il gusto di bere, di mangiare, di acquistare’. Qui c’è tutto il nuovo mondo, suo e di sua moglie Claudia, compagna del cuore, prima d’essere socia in affari. Lo rivela Pietro Paolo, ironizzando: “Lavorare con la moglie, solo noi due, tutti i giorni: il nostro matrimonio ne vale quattro di quelli normali”.

Due gigantografie per arredamento, un assemblaggio di immagini in movimento, gesti atletici, colpi di testa, braccia al cielo e baffi neri. Il calciatore Pietro Paolo Virdis con maglia del Cagliari. Con quella della Juve. A Udine con Zico, al Milan con Van Basten.

Ascolta moltissima musica, sogna un giorno di riuscire a tornare al cinema, legge libri che segnano, come “Lettera a un bambino mai nato” della Fallaci. Come allora, è un semplice. Ma un grande semplice. “Sto diventando un esperto di vini. Li amo, li assimilo, li apprendo. Ma il vero sommelier è un’altra cosa. Penso che i sapori autentici non abbiano bisogno di richiami, sono sublimi così per come sono in natura. E buoni sono i prodotti tipici della terra italiana, con peculiare riguardo alla Sardegna”.

Dentro il suo adorato locale, c’è l’atmosfera sottile di chi ci crede. Niente malinconia. Men che meno rimpianti. La seconda vita di Virdis, è a pieno titolo un uomo nel fulcro tra buoni sapori e gradevole armonia.  “Bisogna essere felici di ciò che si ha avuto. E poi dedicarsi subito, anima e cuore, a nuove passioni. Per me resta un’emozione magnifica fare gol, ma è ugualmente bello quando un cliente mi dice grazie, qui da lei mi sono sentito in famiglia”. 

Il ragazzo sardo che non voleva lasciare l’isola ha compreso molte cose della vita. In serenità, con la giusta ironia: “Mai guardarsi indietro malinconici. Ogni vita è piena, per chi la sa vivere. Io sarei fuori dal mondo perché sono fuori dal calcio? Ad essere sinceri, mi pare che adesso, tra tv e giornali, si parli solo di cucina: in fondo sono più che mai al centro della scena”. Ecco quel che bisogna dire di lui: è vivo, ancora sostanzialmente vivo. Tutto, fuorché un ex. Uno di quegli uomini cui non occorrerebbe mai chiedere dov’eri finito. Non chiudono da nessuna parte: stanno sempre iniziando.

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