LA SARDEGNA HA PERSO OLTRE CENTOMILA GIOVANI DAL 2001: LA FASCIA PIU’ PENALIZZATA E’ QUELLA D’ETA’ TRA I 15 E I 29 ANNI

Difficile immaginare un quadro più fosco, per la Sardegna, di quello tratteggiato da Frantziscu Sanna, uno dei principali animatori del Sardinian Socio-Economic Observatory. La piramide demografica, rappresentazione ideale di una società in salute, è destinata a rovesciarsi: e se ci sono pochi giovani a sostenere il peso di una società sempre più vecchia, è chiaro che ci sono poche possibilità che la piramide resti in piedi. Quello della Sardegna è un tracollo previsto dagli istituti di statistica: «Nel 2001 in Sardegna c’erano 343 mila giovani fra i 15 e i 29 anni – spiega Sanna –, erano il 20% della popolazione. Oggi sono 229 mila: il 30% in meno in vent’anni. Le politiche sociali che conosciamo non possono affrontare la situazione che ci sarà in Sardegna fra qualche decennio». Più anziani e meno giovani significa, guardando i freddi numeri, l’insostenibilità delle spese sanitarie e previdenziali, ma non c’è solo questo aspetto. I dati, terribili, vengono snocciolati da Sanna in un convegno sul cambiamento sella realtà giovanile sarda organizzato dal Movimento dei Focolari e dall’Azione Cattolica Diocesana tenutosi ieri a Oristano: «Quando avevo 18 anni, nel ’94, in tutta l’isola c’erano altri 26 mila coetanei. Oggi un diciottenne ha solo 8 mila coetanei e il numero è destinato a calare». Il risultato è evidente: «Mancano le possibilità di socializzare, ma è proprio all’interno di queste fasce di età che generalmente nascono le idee innovative: le società, da sempre, vengono cambiate dai giovani». Senza giovani non ci sono boccate d’aria in politica, nell’impresa o nella cultura e allora il problema diventa un circolo vizioso. Il corollario è noto a tutti: «In Sardegna non ci si sposa più, non si hanno più figli, non ci sono laureati e non si trova lavoro. Si potrebbe pensare a un problema legato alla natura insulare della nostra terra – spiega Sanna –, ma non è così: quasi tutte le isole europee hanno risultati anche molto migliori della Sardegna». E non saranno nemmeno gli immigrati a tenere in piedi la società sarda: «I dati dimostrano che il tasso di fertilità delle donne straniere che risiedono qui è paragonabile a quello delle donne sarde: assolutamente insufficiente per un buon ricambio demografico». Insomma, uno scenario tragico, ma non senza speranze: «Non è un destino segnato, tutto dipende dalle politiche pubbliche». A dimostrarlo ci sono proprio le altre isole europee: partite vent’anni fa da condizioni simili a quelle sarde, oggi surclassano l’isola in quasi tutti i campi. «Il primo cambiamento deve arrivare dai cittadini: solo per l’8% dei sardi l’istruzione è un problema centrale del nostro sviluppo. La politica riflette le priorità dei cittadini e allora c’è bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica per cambiare i programmi di chi ci governa» conclude Sanna, lasciando in fondo un piccolo barlume di speranza.

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2 commenti

  1. Che tristezza….un passo sempre indietro….🙄😑

  2. E’ un’osservazione che faccio da anni. Riguarda in particolare i paesi dell’interno. Se confrontate i censimenti di fine ottocento con quelli attuali, si può verificare che comuni come Bitti, per fare un esempio, si ritrovano con gli stessi abitanti di allora. Quindi questo significa che negli ultimi quarant’anni tanti comuni hanno perso il 50% degli abitanti. E soprattutto è cambiata la composizione socio-professionale della popolazione. Il punto è sempre lo stesso: una classe politica più che miope, priva di qualsiasi visione oltre che attaccata alla poltrona e agli interessi di bottega ha affondato la Sardegna nella marginalità economica, nella solitudine culturale con servizi e trasporti inadeguati se non scandalosi. Eppure, anche in Italia, ci sono esempi virtuosi dai quali trarre insegnamento.Evidentemente manca la volontà di imparare.

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