SESSANT’ANNI DI VERSI: GIOVANNI FIORI, UN “GRANDE VECCHIO” DELLA POESIA SARDA CONTEMPORANEA

ph: Giovanni Fiori
di TONINO OPPES

 “La sua vita sembra un romanzo”. Quante volte avete sentito questa frase?

Ascoltate la storia dell’ittirese Giovanni Fiori, uno dei grandi vecchi della poesia sarda contemporanea, vincitore di numerosi premi e che,ancora oggi, all’età di ottantaquattro anni, ci regala versi che sgorgano da un’anima profonda. Ascoltatela e vi sembrerà di leggere la storia di un protagonista di un romanzo russo.  Sarà perché Giovanni Fiori- un passato, mai dimenticato, di lavoratore della terra –  conosce bene la Russia e la storia dei suoi grandi scrittori: alcuni li ha letti perfino nella loro lingua originale. E questo appartiene, se così si può dire, alla sua vita romanzata che mette insieme l’impegno civile, con la lotta per gli ultimi, il desiderio di non fermarsi mai, e l’amore profondo per la poesia.”

Ma partiamo da Ittiri, dagli anni dell’infanzia, perché è lì che tutto ha inizio.

“Provengo da una famiglia di contadini, in domo fint massajos mannos”, mi dice nel suo bel logudorese. “Mio padre aveva i buoi e andava ad arare. Molta gente allora viveva grazie al prodotto della campagna, e il lavoro non mancava. Lo aiutavamo io e i miei fratelli. Finita la quinta elementare sono stato costretto a fermarmi, ma non per molto. A casa leggevo in continuazione e studiavo. Tre anni dopo ho sostenuto l’esame, in un’unica sessione, per la licenza della Scuola di Avviamento: in paese non c’erano alternative per chi voleva proseguire gli studi, ma io sentivo dentro di me che dovevo continuare e, quando ormai avevo superato i vent’anni, mi sono iscritto a Sassari al biennio della Scuola tecnica commerciale. Dopo il diploma ho cominciato ad avere il mio piccolo stipendio. Mi davano cinquemila lire per fare l’impiegato in sa Sotzietade de sos caddos e dosboes, era una società di mutuo soccorso che era stata costituita per aiutare i contadini vittime di una disgrazia, tale era considerata la perdita di un bue o di un cavallo. Quelli erano beni inestimabili, allora.”

Giovanni Fiori parla con emozione di quel periodo. Gli anni Sessanta sono stati, in Sardegna, di grande fermento ma anche di grande formazione per molti. “Mi piaceva la politica, ero stato eletto segretario provinciale dei giovani comunisti.  Poco tempo dopo, con altri tre o quattro giovani sardi, siamo stati inviati alle Frattocchie, a Roma, alla Scuola di formazione nazionale e, da lì, alcuni di noi sono andati a Mosca a seguire un corso che è durato tre anni all’Istituto di Scienze economiche e sociali.”

A Mosca, Giovanni Fiori deve confrontarsi prima di tutto con la Lingua, e gli inizi sono tutt’altro che facili. “Per un anno abbiamo fatto lezioni continue per la conoscenza del russo, poi abbiamo frequentato un corso ancora più avanzato: quello per traduttori simultanei. Un’esperienza bellissima che mi ha portato a leggere nella lingua originale autori come Tolstoj, Cechov, Gorky… Ricordo: quello che leggevo in russo lo traducevo in sardo che, nel nostro piccolo gruppo, restava ancora lo strumento di comunicazione. Parlavamo con gioia la nostra lingua madre e io scrivevo le mie poesie, ho anche composto qualche quartina in russo… lì, in quegli anni, ho conosciuto Tania” mi dice mentre con un sorriso dolce e ricco di affetto, quasi cambiando tono di voce, guarda sua moglie; dura solo un attimo questo momento di tenerezza perché Giovanni Fiori riprende a parlare subito.

“Quando sono rientrato ho lavorato alla CGIL, nella Federbraccianti. Poi ho diretto l’istituto del nostro Patronato per venticinque anni, finché sono andato in pensione. Questa è la mia vita, brevemente.”

Ora parliamo di poesia, del poeta Giovanni Fiori. Tu scrivi da quasi sessant’anni, e hai vinto decine di premi. I più importanti? “Scrivo da tanto tempo, vuol dire che invecchio. Ho vinto decine di premi. Ogni premio ti regala gioia immensa ma non posso dimenticare il Premio di Ozieri, del 1974, con Avreschida s’alba, e il premio mondiale Nosside, riservato alle lingue minoritarie, nell’86.”

Che momento vive la poesia sarda? “Dopo la grande svolta del 1956 con la nascita del Premio di Ozieri c’è stata una grande selezione. Negli ultimi anni sono sorti molti premi e il livello non sempre è altissimo, anzi avverto che c’è un po’ di stanchezza. Alcuni poeti vivono di rendita, però vedo, con grande piacere, che si sta affermando qualche giovane.E’ un bel segnale.”

Dopo tante poesie, alcune raccolte nei volumi Camineras, Terra mia, Istanotte mi ses cara, Bisos e chertos, e Tempos, due anni fa, per la Soter, hai scritto il tuo primo romanzo, Sas Primas Abbas. La storia è ambientata a Bonifaghe, un nome che può ricondurci a Ittiri, dove intorno agli anni Cinquanta c’è stata una intensa lotta politica per l’occupazione delle terre. Cosa ricordi di quegli anni, e quali insegnamenti si possono trarre? “C’era tanta fame, ma anche voglia di costruire qualcosa di nuovo e di importante. C’era voglia di sperare in un mondo migliore, più giusto, ma c’era anche la consapevolezza che per cambiare le cose bisogna impegnarsi in prima persona. Non si può aspettare. E questo vale anche per l’oggi. Balet puru pro sos tempos chi semus vivende…” mi dice il poeta, mentre mi saluta, rigorosamente in limba, e mi regala, improvvisando, alcuni versi bellissimi.

Giuanne Fiore sa bene che la vita, a volte, è anche poesia.

per gentile concessione della rivista LACANAS

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Un commento

  1. Bello, vero e completamente condivisibile questo “racconto” di Tonino Oppes su “uno dei grandi vecchi della poesia sarda contemporanea” . Biografia di una lunga ma ancora attiva e sorgiva vita, intrisa di impegno civile e di grande poesia.
    Ammiro e stimo da sempre Giovanni Fiori, sul quale avevo segnalato nel 2017 proprio su questo giornale in occasione della pubblicazione del suo romanzo in sardo “Sas primas abbas”, che considero poeta e scrittore elevatissimo per il raffinato e meritorio utilizzo, da impareggiabile maestro, della lingua sarda, e per il contenuto importante dei suoi versi e dei suoi scritti impregnati d’amore per l’umanità e non solo per la sua Sardegna. Versi e scritti ricchi di memorie e di ammonimenti e di rispetto per i diritti civili, per i deboli e gli ultimi della terra. Versi e scritti, i suoi, all’insegna, sempre, di una poesia di primaria qualità, solare, melodiosa e avvolgente. Concludo parafrasando un po’ Torino Oppes: la sua vita è poesia!

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