UNA STORIA CHE PROFUMA DI PANE: INCONTRO CON ANGELO ALTEA E GIAMPIETRO SECCHI A NUORO

di LUCIA BECCHERE

Il Tettamanzi, storico caffè d’Italia e sede dei martedì letterari, ha ospitato un incontro sul tema Sulla rotta del pane da Carloforte a Nuoro.

«Il pane – ha detto nel suo discorso introduttivo Angelo Altea, giornalista e intellettuale nuorese – è un elemento importante che testimonia l’evoluzione di una civiltà e la sua storia testimonia il livello socioeconomico e socio-culturale delle società, dalle primitive alle più evolute. Storia che ha contrassegnato anche la società nuorese che per sua naturale diffidenza è sempre stata restia al cambiamento».

Nuoro, nel secolo scorso contava 7000 abitanti distinti in due classi sociali, i pastori di Santu Predu e i contadini di Seuna che avevano in comune il pane carasau, un’assoluta priorità per tutte le famiglie le quali, una volta al mese, davano vita ad una piccola società che produceva dai 30 ai 50 chili di pane da suddividere fra loro secondo norme stabilite.

Dopo il 1927, anno in cui Nuoro venne dichiarata provincia, con l’arrivo di numerose persone destinate al settore impiegatizio, è avvenuta una piccola rivoluzione economica. Nel 1930 una immigrazione di panettieri provenienti da Carloforte, impiantarono a Nuoro diversi forni di pane continentale, il cosiddetto coccone. Erano i Baghino, i Parodo, i Censi e i Granara che contribuirono alla trasformazione di una economia pastorale in terziaria perché il denaro, con cui anche il ricco pastore doveva pagare la benzina per l’automobile o il gasolio per il trattore, si stava sostituendo al baratto.

I Carlofortini, popolo di migranti genovesi scappati dall’isola di Tabarca, arrivarono a Nuoro dove si stabilirono definitivamente per dedicarsi in seguito ad altre attività, mentre i loro operai, grazie alla esperienza acquisita, diventarono panificatori titolari. «Uno fra questi – ha ricordato Altea – è Giampietro Secchi, attuale vice presidente nazionale dell’associazione di categoria e proprietario di un’attività che a Nuoro vanta circa 80 anni di esperienza e che ha vinto le sue battaglie per l’affermazione della qualità del pane. Suo anche il merito di avere ottenuto il marchio del pane fresco prodotto artigianalmente, le cui caratteristiche niente hanno a che vedere con quello standardizzato e surgelato oggi immesso sul mercato».

«Non soltanto i Carlofortini hanno determinato il cambiamento a Nuoro, ma anche i Businchi, i Macomeresi, i Sassaresi e tanti altri che, da tutta la Sardegna si riversarono nel più importante centro barbaricino » ha precisato Giampietro Secchi nel suo intervento, ricordando anche il padre Pino, venuto da Bosa nel 1933 per lavorare nel panificio Devoto che contava già trenta dipendenti. In quel periodo la città aveva cominciato a dotarsi di forni a vapore, forni a riscaldamento indiretto che consentivano di panificare in continuazione a differenza di quelli tradizionali ad alimentazione diretta. Suo padre, dopo aver vinto nel 1938 una controversia con Devoto che lo retribuiva come operaio benché svolgesse mansioni da capoforno, nel 1943 aveva aperto un forno a Oliena. Ma la guerra, il pane contingentato, l’obbligo di apertura alle quattro del mattino e la concorrenza serrata di altri panificatori, avevano reso la situazione così difficile che nel 1965 fu costretto a chiudere l’attività.

Secchi ha ricordato anche quando, nel febbraio del 1956, a soli 17 anni, aveva cominciato a lavorare da apprendista, alle dipendenze di Parodo fino al ’58 e di Devoto fino al ’65, con contratto provinciale e retribuito a quintalaggio – ogni quintale di pane veniva diviso a percentuale con la squadra, rimarcando con orgoglio come dopo un anno appena gli venne riconosciuta la qualifica di operaio. Erano gli anni in cui a Nuoro ogni richiesta di licenza veniva respinta perché i componenti della commissione deliberante della Camera di Commercio erano parti interessate e solo quando, a seguito di nuove elezioni, avvenne il ricambio dei componenti della commissione, le licenze furono concesse a tutti.

«Fu così che, nel 1965, io e mio fratello Ignazio abbiamo intrapreso l’attività di panettiere – ha ricordato ancora Giampietro Secchi – come la maggior parte dei dipendenti che, appreso il mestiere, decisero di mettersi in proprio costringendo i vecchi titolari a chiudere, ultimo Devoto che nel 1968 ha regalato la licenza al panificio 1° maggio». Secchi, dopo aver ricordato che il prezzo del pane oggi è libero, determinato dalla qualità e dalla concorrenza, ha messo a confronto il prezzo del pane dal 1968 ad oggi, rapportato ad altri beni di prima necessità come il latte e la benzina.

Nel 1958 il pane costava 220 lire al kg, il latte 210 lire al litro e la benzina a 200 lire, mentre oggi un chilo di pane costa intorno ai 4 euro, il latte 1 euro e venti al litro e la benzina 1 euro e 60 centesimi.

A differenza di altre famiglie di panificatori dove non è avvenuto il ricambio generazionale perché i figli si sono dedicati ad altre attività, quella di Giampietro Secchi è la terza generazione che panifica da imprenditori. Nel suo appassionato intervento ha ricordato anche come oggi il lavoro di panificio sia facilitato dalle macchine, ma pur essendo il pane carasau apprezzato in tutto il mondo, si ha a che fare con la piaga dell’abusivismo che sfugge ad ogni controllo.

Occorre il marchio per tutelare anche i diritti del consumatore, rispettare il regolamento e organizzarsi in consorzi. Poiché tutto dipende dalla materia prima, bisogna seminare il grano sardo in quanto quello tenero arriva dal Canada, Ucraina, Polonia, Francia e dalla Libia, mentre produciamo solo il 20% di quello duro.

Cosa fare dunque? «Essere imprenditori ha sottolineato Secchi – e puntare molto sulla formazione che fa la differenza».

In conclusione una curiosità, a chi tra il pubblico chiedeva come mai il pane carasau abbia perso il gusto particolare di un tempo, Sechi ha replicato dicendo che «in origine veniva cotto sulle pietre roventi, poi nel forno con legna di olivastro e mirto da cui il pane prendeva il profumo, il grano era più sano e c’era anche una buona dose di appetito. Ritornare all’antico? Non si possono fermare le macchine. Il problema è produrre bene e sano pur assecondando le esigenze del mercato».

per gentile concessione de https://www.ortobene.net/

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