MODERNITA’ E IDENTITA’ SARDA: IL FELICE CONNUBIO CON L’ISOLA ALLA MILANO WEEK DESIGN 2019

di SERGIO PORTAS

La letteratura, si sa, non fa che parlare del mondo,  e allora quale mezzo migliore per utilizzarne  schemi universalmente conosciuti allo scopo di prefigurare un percorso possibile in un labirinto di eventi ( migliaia) quale è la settimana del design a Milano? Dice bene Federica Brunini, scrittrice, giornalista, fotografa: “Amo il salone, odio il salone. Ogni giorno della cosiddetta Design Week milanese, mi sveglio con lo stesso dilemma: vado o non vado, resto o fuggo. Perché il Salone è come quelle feste a cui ti invitano e a cui sai di non poter dire di no, ma allo stesso tempo “Che noia, che barba”. Perché ormai, al Salone e soprattutto al Fuori Salone, vale la formula “All you can eat” dei ristoranti cinesi: butta tutto nel piatto, abbuffati, e non ti curare della qualità di ciò che ingurgiti e, nel caso del design, di ciò che vedi, tocchi, senti, immagini. Eppure siamo qui. Di nuovo. A fare code per installazioni, “atelier”, “pop shop”, “temporary store”, “temporary exhibit” e “temporary life” che, in qualunque altra settimana dell’anno, ci lascerebbe indifferenti, anzi infastiditi. Perché la creatività è bella quando è extra-ordinaria, non quando offre l’ordinario travestito da evento speciale. Ma ci sono isole verso le quali vale la pena attraversare il mare magnum della Design Week, per quanto mi riguarda, sono quelle che mi permettono di viaggiare, primo tra tutti il progetto Perdersi a Eudossia di Antonio Marras, ispirato a Le Città invisibili di Italo Calvino e realizzato in collaborazione con Saba: dodici città da decifrare esplorando mappe per decifrarle. «Nella stanza si entra in silenzio, si passa leggeri, si vola, si prega, si ama. E quello che trovi sono indicazioni per far viaggiare la mente, ognuno a suo modo,”ognuno col suo viaggio, ognuno diverso e ognuno in fondo perso dentro i fatti suoi” », racconta lo stilartista, citando Vasco Rossi”. Più che a Eudossia: “che si estende in alto e in basso, con vicoli tortuosi, scale, angiporti, catapecchie, si conserva un tappeto in cui puoi contemplare la vera forma della città…” Milano in questi giorni mi ricorda Cloe: “ grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose l’uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi.Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano…”  ( sempre dalle “Città invisibili). “Perdersi a Eudossia è facile: ma quando ti concentri a fissare il tappeto riconosci la strada che cercavi in un filo cremisi o indaco o amaranto che attraverso un lungo giro ti fa entrare in un recinto color porpora che è il tuo vero punto d’arrivo”. E, sempre guardando con gli occhi di Federica Brunini: “ La strada è tutta costellata di divani tutti diversi, grandi, piccoli, multiformi, con cuscini, guanciali e materassi. Sono quadrati, rettangolari, parallelepipedi o piatti piatti come la terra. Hanno i colori della città della gioia e alcuni di quelli della melanconia. Ci sono stampe, tante stampe, jaquard, damaschi, fiori, quadri, pois e pieddepoule e tutto è abbinato con tutto per accordo o per contrasto. Puoi dormire, sognare, sonnecchiare e infine visitare la dodicesima città di Terranea, la città di terracotta. I nomi stessi delle collezioni di divani -Voyage, Limes New, Baby Geo-che segnano il mondo di NonostanteMarras (Via Cola di Rienzo, 8) sono un invito a lasciare il cammino conosciuto per avventurarsi oltre le convenzioni di spazio predefinito e scoprire l’abito come un luogo da abitare, e viceversa”. Ma ci sono altri sardi capaci di sogni arditi. L’anno scorso il premio al “Miglior design nuovo arrivato” era stato assegnato a “Pretziada”: queste le motivazioni: “ Rispetto per il patrimonio e le tradizioni locali insieme al desiderio di portare cambiamento, modernità e innovazione. La storia di Pretziada è una storia d’amore per la Sardegna, una terra ricca di cultura ma povera di risorse. Fondata da una coppia sarda, dalla designer americana Kyre Chenven e dall’artista italiano Ivano Atzori, la pratica interdisciplinare esplora le tradizioni culturali e artigianali mediterranee- un’autenticità che vale la pena preservare in tutte le sue particolarità. Nel 2017 Pretziada ha iniziato con alcune delle produzioni più iconiche e ha presentato raffinati rifacimenti dei classici dell’isola: stivali da pastore, vasi nuziali, coltelli, set di caminetti e tappeti fatti a mano. Viene utilizzato uno storytelling visivamente bello, in quanto è difficile decifrare il modo di vivere sardo”. Quest’anno sono al “Lucio Vannotti House”, il nuovo spazio espositivo multifunzionale situato in una fabbrica restaurata risalente al 1938 nell’aria Nord di Milano ( due passi da casa mia, a Turro).  Per gli autori, Pretziada è come una “residenza antropologica” nella quale i designer coinvolti arrivano per conoscere la cultura, il linguaggio e le persone e spesso l’ispirazione finale del prodotto arriva da qualcosa di inaspettato. La contaminazione è la parola chiave che determina la definizione di oggetti “narranti” capaci di rappresentare cultura e storie del luogo seconda nuove forme di memoria delle proprie radici. Dicono gli autori “vogliamo portare il mondo in Sardegna per preservare tutte le particolarità di quest’isola. Perché lavorando con il pieno rispetto per il patrimonio e le tradizioni locali, possiamo portare cambiamenti, modernità e innovazione senza perdere autenticità.” Ivano Atzori, dopo svariate esperienze di lavoro che lo hanno portato in giro per il mondo, ha deciso di scommettere il suo futuro, e quello della famiglia, nella sua terra d’origine, il Sulcis. Lui è di Nuxis e a Santadi, località “ Is Aresus”, in un vecchi “furriadroxiu” ha iniziato a restaurare un gruppo di casette diroccate ( architetti Casciu & Rango di Cagliari), facendone il fulcro del progetto che mette insieme artigiani diversi, insieme nel proporre le loro opere secondo una narrazione capace di unire tradizione a modernità, iniziando innanzitutto a vendere anche sul web. Provare per credere: il “Pretziada boot”, scarpa tipo i “cosinzos” di barbagia, più morbidi, con una scelta di materiali particolari, una suola di gomma 100%, pelle concia toscana, federa in pelle di vitello giovane, viene alla modica di 420 euro. Qui a Milano vieni accolto da due arazzi progettati da Roberto Sironi e realizzati da Mariantonia Urru, che ha fabbrica a Samugheo, rispettivamente “Nuragic White” e “Nuragic Black”, sono in lana sarda, lino, cotone e seta, trapuntati a mano, con frange annodate a mano. Sul web a 4.560 euro ciascuno. E poi ceramiche create dal duo Valentina Camoranesi Sgroi e Walter Usai. Gli Usai, padre zio e figlio sono ad Assemini, paese di ceramisti per antonomasia. E un “portatutto” a mò di scala creato in collaborazione da Valentina Camoranesi e i fratelli Argiolas, fabbri di Cagliari. Sedie impagliate realizzate da “ Su Maistu de Linna”: Pierpaolo Mandis arredamenti a Mogoro. Per vedere le foto di Gianluca Vassallo tocca scendere al metrò di san Babila, la sua mostra, che ritrae diversi attori del mondo del design mentre indossano gli occhiali pret-à-porter del marchio parigino IZIPIZI. Di origini campane, Vassallo fa parte di quel numero di persone che con andare dell’età “vogliono farsi sardi”, vive e lavora a San Teodoro e, dice lui, nel mondo. E’ artista globale: si esprime sia con la fotografia sia con video e suono. I suoi lavori presentati all’estero tra New York, Stoccolma, alla biennale di Venezia. “Ci sono voluti 44 anni e 11 mesi esatti e una serie di errori precedenti, prima che incontrassi le donne e gli uomini che ho ritratto qui. E ci sono voluti gli anni che hanno vissuto loro, il caso che ha prodotto la loro esistenza, la volontà che ha determinato il loro presente, per arrivare a queste fotografie”. La sua campagna di “guerrilla”: Vota per me, una serie di manifesti raffiguranti migranti che venivano affissi (in spazi vuoti) accanto a quelli dei partiti della campagna elettorale dell’anno scorso era diventata virale: partita a Olbia si era estesa a Treviso, Roma e Milano. Il suo White Box Studio di San Teodoro lavora con le aziende di tutto il mondo nel campo della produzione di senso applicata alle immagini, al video, alle istallazioni. “Le Botteghe su Gologone” presenta una collezione di complementi per la casa e la tavola che riproducono la potenza espressiva della Barbagia in Sardegna, terra d’origine di Giovanna Palimodde, collezionista d’arte e artista, in via Palermo 1 a Milano. Giovanna è barbaricina dagli occhi chiari, mi dice che aveva previsto di rimanere a Milano un paio di giorni, ma ha mutato parere visto l’impressionante via vai di gente che viene a visitare le sue opere esposte qui. E della difficoltà a spiegare ai visitatori giapponesi dove si siti la Sardegna e poi la Barbagia nella cartina d’Italia. Solo per questa volta ha delegato un designer “di grido”: Enrico Pompili, nell’allestimento dell’esposizione. Studi a Firenze (villa del Poggio Imperiale) Giovanna ha rilevato l’attività paterna nell’hotel che lui negli anni ’60 aveva messo su a Oliena. “Su Gologone” è oggi un “experience hotel” a quattro stelle, con quelle che una volta erano scuderie per cavalli trasformate in stanze d’albergo. Un “terrazzo dei sogni” con una vista del Sopramonte da lasciarti senza fiato. Così la piscina. Ogni stanza curata fino alla maniacalità con oggetti della tradizione artigianale barbaricina. E naturalmente lo spazio per “Le Botteghe su Gologone” con esposti i lavori artistici di Giovanna, “attu a manos”. Qui a Milano anche un video con canoisti che pagaiano sul Cedrino, scorci che sembrano mutuati dalle Montagne Rocciose del Colorado. Ad alimentare il fiume è la sorgente carsica di Su Gologone da cui sgorgano le limpidissime acque oligominerali che nel corso dei millenni hanno scavato la loro via attraverso le rocce calcaree della montagna. Con una portata media di 500 litri d’acqua al secondo (quella di piena è stimata in 8.000 litri)  è al primo posto tra le sorgenti sarde. Andando avanti per la valle del Lanaittu, con ai piedi un buon paio di “cosinzos”, salendo tra chine pietrose e radi boschi di lecci, a premio della fatica un posto unico e magico, nascosto in un’immensa dolina: il villaggio nuragico di Tiscali.

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