IL FASCINO DELLE MINIERE DI SARDEGNA: “LA REPUBBLICA” DEDICA UNO SPAZIO AI LUOGHI DA SCOPRIRE, AL DI FUORI DEL MARE

La Sala Azzurra della palazzina della direzione di Montevecchio (foto Alberto Monteverde)

di PAOLO RIBICHINI

Mare, ma non solo. Le esclusive località del nord come Porto Cervo, Porto Rotondo e Santa Teresa di Gallura hanno reso la Sardegna un’isola esclusiva, famosa in tutto il mondo. Apprezzata anche per le meravigliose spiagge a sud di Alghero e nei pressi di Cagliari, la Sardegna è però poco conosciuta per la sua storia. Al di là dei nuraghi, tipiche costruzioni preistoriche di forma circolare, l’isola racchiude un importante Parco Geominerario Storico e Ambientale. Il Parco è nato per tutelare e valorizzare non solo la memoria della straordinaria epopea mineraria che ha contraddistinto l’economia dell’isola prima dell’avvento del turismo di massa, ma anche il contesto naturale nel quale i minatori lavoravano per estrarre metalli dalla roccia. Per questo motivo nell’ottobre del 1997 l’UNESCO ha riconosciuto il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna quale “Primo Parco della rete mondiale dei geositi-geoparchi”.

Storia di miniere e minatori. Argyròphleps Nesos, “Isola dalle vene d’argento”, è questo il nome con il quale gli antichi esploratori e mercanti Micenei, Fenici, Greci ed Etruschi indicavano la Sardegna, già al tempo attirati dalle abbondanti risorse del sottosuolo. Per questo la storia mineraria dell’isola si perde nella notte dei tempi. Oltre settemila anni fa già si estraeva, lavorava e commerciava l’ossidiana del Monte Arci, pietra vulcanica nera e lucente, in antichità molto preziosa. Nel terzo millennio prima di Cristo si sviluppò sull’isola la civiltà nuragica, che non solo estraeva il rame, ma aveva affinato anche le tecniche della lavorazione del bronzo. Successivamente, giunsero sull’isola prima i Fenici e poi i Cartaginesi che iniziarono a sfruttare intensamente le ricchezze minerarie della Sardegna, soprattutto nell’Iglesiente e nel Sarrabus, ricco – quest’ultimo – di giacimenti metalliferi costituiti da minerali composti da ossidi e solfuri di ferro, rame e piombo. Con la conquista romana nel 238 a.C., l’attività mineraria crebbe notevolmente con l’estrazione del piombo e dell’argento. Nel medioevo, i Pisani riscoprirono le vecchie miniere dei Romani e riavviarono le attività estrattive, soprattutto nella zona di Villa di Chiesa, l’odierna Iglesias, divenuta – a quel tempo – un vero e proprio polo industriale. Le attività estrattive entrarono poi in crisi con la dominazione spagnola, mentre la moderna epopea mineraria si svilupperà solo nella seconda metà del XIX secolo, quando il ferro servì al neonato Regno d’Italia per avviare un lungo processo di modernizzazione.

Tra villaggi e gallerie. La secolare attività mineraria ha lasciato importanti segni in Sardegna. Il Parco racchiude appunto importanti testimonianze dell’archeologia industriale come vecchi villaggi di operai, pozzi di estrazione, migliaia di chilometri di gallerie, impianti industriali, antiche ferrovie e preziosi archivi documentali. Alcuni di questi siti compresi nel parco sono aperti al pubblico talvolta su prenotazione.

La Miniera di Serbariu. La Miniera di Serbariu racchiude in sé la storia del Bacino Carbonifero del Sulcis a Carbonia. Attraverso percorsi in galleria si può tornare indietro nel tempo e scoprire le attività estrattive del carbone in Sardegna. Il sito minerario di Serbariu, attivo dal 1937 al 1964, è stato il fulcro economico-sociale del Sulcis e ha rappresentato tra gli anni trenta e cinquanta dello scorso secolo una delle più importanti risorse energetiche d’Italia. L’opera di recupero e valorizzazione del sito ha reso fruibili al pubblico gli edifici e le strutture minerarie che oggi costituiscono il Museo del Carbone.

Un tour nella Sardegna preistorica. Accanto al Museo del Carbone, è possibile immergersi in un vero e proprio tour geologico-paleontologico all’interno del Museo PAS/MARTEL. Questa struttura  nasce dall’esigenza di trasmettere le conoscenze scientifiche sugli ambienti del passato geologico del territorio sulcitano e valorizzare il patrimonio culturale geo-paleontologico. Sarà così possibile scoprire i bioeventi e i geoeventi “registrati” all’interno delle rocce presenti nel sud-ovest della Sardegna. Sono inoltre esposti numerosi fossili e la ricostruzione di un Tirannosauro Rex a grandezza naturale.

La Miniera di Montevecchio. Altra miniera imperdibile è quella di Montevecchio, dove apprezzare in un tour edifici e strutture di archeologia industriale della Sardegna tra il XIX e il XX secolo. Fra i vari tour, non perdetevi il Percorso “Palazzina della Direzione” che si snoda all’interno dell’omonimo edificio. Doveva inizialmente ospitare gli uffici direzionali della società mineraria e l’abitazione della famiglia del progettista Giovanni Antonio Sanna, ma poi fu destinato esclusivamente all’attività amministrativa. Al suo interno è possibile rivivere, grazie a un attento lavoro di ricostruzione degli ambienti originari, i fasti della borghesia ottocentesca e, allo stesso tempo, le modeste condizioni di vita della servitù. Imperdibile, inoltre, la visita al fiore all’occhiello dell’edificio: la Sala Blu. Il suo nome si deve alle decorazioni che ricoprono completamente le pareti e la volta, È stata prima sala dei ricevimenti e poi sala riunioni. Altro interessante percorso è quello che si snoda tra le officine, cioè le strutture che supportavano le attività estrattive nella manutenzione dei macchinari. Ammirate i modelli in legno necessari per la riproduzione in fonderia di pezzi di ricambio dei macchinari e di altri oggetti metallici di utilizzo comune in miniera.

Viaggio nelle miniere di Villaggio Rosas. Per capire le vere e difficili condizioni di lavoro dei minatori, è d’obbligo una visita al Villaggio Minerario Rosas. Qui è possibile visitare il museo con il supporto di una guida. Dopo un’introduzione geo-mineralogica e storica dell’orogenesi del Sulcis, l’itinerario didattico prosegue con l’origine dell’attività industriale mineraria in Sardegna sino agli anni della chiusura della Miniera di Rosas. Non manca, poi, una sezione che spieghi le fasi del recupero e riconversione a museo. Qui sarà possibile scoprire il funzionamento dell’impianto ma anche i rischi per la salute dei minatori e le storie di chi è morto in miniera. L’edificio del museo è una struttura di fine ottocento che accoglieva le rocce asportate dal sottosuolo. Qui le donne, chiamate cernitrici, e i bambini dovevano separarle e lavarle dalle incrostazioni e impurità con acidi corrosivi e tossici. In seguito vennero introdotti sistemi di automazione che limitavano il lavoro umano. Oltre al museo, è imperdibile una visita nel sottosuolo, dove i visitatori, con un caschetto in testa, ammirano le gallerie per circa 20-30 minuti, così da comprendere meglio le condizioni lavorative dei minatori.
Alla scoperta delle macchine da miniera. Scoprite, infine, il Museo dell’Arte Mineraria, realizzato nel 1998 da alcuni “uomini di miniera”. Lo scopo del museo è quello di conservare e far conoscere la cultura mineraria che per secoli è stata il centro della vita sociale ed economica della Sardegna. Qui sono conservate alcune macchine impiegate in miniera già alla fine dell’ottocento, come la perforatrice BBR 13 della Ingersoll-Rand, e le celle di flottazione ancora oggi impiegate negli impianti di arricchimento dei minerali. Inoltre, si possono ammirare circa 400 metri di gallerie che, realizzate nel 1934 come laboratorio per gli studenti, diventarono sicuro rifugio antiaereo durante la seconda guerra mondiale.

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