A PROPOSITO DI TURISMO E DI SARDEGNA … TRA MITOLOGIA E LEGGENDA, LA MAGIA NELL’ISOLA NON E’ SOLO IL MARE

di PATRIZIA CADAU

Provo a dire due cose anche io.
Provo a dire qualcosa, per lo più sciocchezze, ma ho un alibi di ferro: il caldo, le festività che mi rendono inquieta, e altre sciocchevolezze deliranti.
A proposito di turismo e Sardegna.
Le persone non sono mosse solo dal mare, quando pensano di distrarsi. Tante persone, per esempio, si muovono alla ricerca di miti, di emozioni collettive, di riti. Non importa poi quanto lo scenario sia storicamente attendibile. Mi riferisco per esempio a Stonehenge. In Sardegna di Stonehenge ne abbiamo parecchi. Siti che si rifanno agli equinozi, alle leggende, e li abbiamo nelle cosiddette zone interne, anche. A Sorgono per esempio i Menhir, al centro del centro della Sardegna, per non dire dei “prodigi” del pozzo di Santa Cristina a Paulilatino, e ho scelto due luoghi a caso, suggestivi, carichi di quella componente seduttiva che, appunto muove i turisti (milioni di turisti) verso Stonehenge che peraltro è pure un luogo ricostruito.

In Sardegna siamo pieni di posti magici e autentici, fatti apposta per curiosi, amanti dell’esoterico, della storia, della paleoarcheologia, parliamo anche delle città sepolte nell’Oristanese (nuragiche, puniche) come Cornus e tutto il fantastico scenario che si sta affacciando adesso con i giganti di Mont’e Prama.

Ora, io non lo so esattamente come, ma è su queste emozioni che bisogna (anche) puntare, sul fascino recondito della mitologia e della leggenda, in sentieri ben organizzati in cui siano parte integrante anche le nostre eccellenze agroalimentari. Perché tra i miti, riti e suggestioni, pure buon cibo e buon vino fanno la loro parte.

Il turismo, dunque. Ma cosa vuol dire puntare sul turismo? Significa raccontare una storia. Partire dalla nostra storia, dalla storia dei sardi che hanno scavato le domus de Janas nel neolitico, di quelli che hanno eretto l’altare preistorico di Monte d’Accoddi, e arrivare alla gloriosa civiltà dei 7/9 mila nuraghi (7 o 9 mila? Perché nessuno sa quanti siano davvero); delle tombe dei giganti e poi dei Giganti, quelli bianchi con gli occhi cerchiati concentrici di Mont’e Prama che sarebbero stati scolpiti prima delle prima statuaria greca a definire un orizzonte culturale europeo che inizia qui nell’occidente mediterraneo, nella nostra isola.

Significa raccontare la storia delle città sepolte sotto terra, da secoli, che sarebbe anche ora di rispolverare, come mezza Tharros, quasi tutta Neapolis e buona parte di Cornus. Sarebbe auspicabile raccontare la storia dell’Ardia di Sedilo partendo dall’imperatore Costantino e delle emozioni che si provano a vedere la figura di su Componidori quando sdraiato in sella al suo cavallo, benedice la folla con sa pippia ‘e maju. Sarebbe il caso di raccontare i secoli dopo la caduta dell’impero romano quando la Sardegna è stata terra di conquista per tutti e sono sorti quelle decine di fortezze e castelli che ancora ornano alcuni dei rilievi della nostra isola. Già ma raccontare come? Qui non abbiamo che l’imbarazzo della scelta. Realtà aumentata? Ricostruzioni 3D? Archeologia sperimentale? Una offerta incredibile che la tecnologia ci mette sul piatto e che dobbiamo solo cogliere. E poi: abbiamo pure un esercito di archeologi pronti a lavorare per tutto questo (ho scritto lavorare, non fare volontariato, sia chiaro). È questa la ricetta? Perché se così fosse la farina (beni culturali e storia) ce l’abbiamo, i cuochi che possono impastare pure, l’ospitalità sarda, che sarebbe proverbiale, dobbiamo farla diventare tale a livello professionale, il banco dove vendere sarebbero le fiere del nord Europa, degli Stati Uniti e del Canada, dei mercati emergenti orientali. Siamo pronti? No dimenticavo il lievito, ecco ci vuole il lievito che nel nostro caso è “l’unione di intenti”, la stessa unione sarda che fuori dall’isola sembra così forte e qui ci dimentichiamo volentieri di averla.

Utopie? Giudicate voi. Intanto non ci crederete ma mi sono inorgoglita a scrivere queste due righe ed elencare quello che abbiamo da “vendere”. E non ho avuto bisogno di sentirmi figlia dei guerrieri Shardana o Atlantidea bianca con le lentiggini. Sarà perché davvero sono convinta che qualche carta da giocare l’abbiamo davvero. Se non addirittura l’intero mazzo.

 

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Un commento

  1. Mi ero abotiato a leggere godermi le sagaci quanto geniali e coraggiose riflessioni di Patrizia, che scrive con stile asciutto, diretto, ma pervicace e corcstanziato, oltre che corretto e letterariamente gradevole. Ma questo articolo lo trovo veramente notevole e, sarà perché tocca tra i numerosi aspetti, quello dell’ archeologia che m’interessa e mi smoziona in particolare. Per che dire, Brava Patrizia, continuo a seguirti da fan le tue esternazioni che condivido per la gran parte, per cui non si lascio sfuggire la tua capacità di sintesi, ma anche lavena romanziera, la bella prosa, e la poesia. Mi congratulo e ti abbraccio.

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