GIUGNO 1918: I FANTI DELLA BRIGATA SASSARI INTERVENGONO PER FERMARE L’OFFENSIVA AUSTRO – UNGARICA ALBRECHT NEL BASSO PIAVE

Il Settore affidato alla Brigata Sassari Schizzo USSME

di DARIO DESSI’

Al mattino di domenica 16 giugno, verso la linea Gonfo – Capod’Argine si proiettarono la Brigata Sassari (33° Divisione), scesa dagli autocarri a pochi chilometri dalla linea di fuoco, e quattro battaglioni di bersaglieri ciclisti.

Il caposaldo di Croce furiconquistato per essere poco dopo riperduto.

I sardi eccitatissimi, balzavano come felini, impegnandosi selvagge colluttazioni all’arma bianca.

Più che un contrattacco pareva  una furibonda caccia all’uomo.

Con forze preponderanti l’avversario tentava di accerchiare e dilagare verso Meolo. Sull’imbrunire, dopo una giornata estenuante di attacchi e contro attacchi ifanti  sardi furono richiamati e ricevettero l’ordine di raccogliersi a Ca Tron per riordinarsi. vi arrivarono stanchi e bagnati fino alle midolla.

Là il valoroso comandante della 33° divisione Carlo Sanna, affettuosamente chiamato dai suoi soldati ‘su babbumannu’, li arringò paternamente nel loro aspro dialetto.

Il mattino dopo, le truppe italiane tenevano le posizioni a Losson, a Meolo, e a Casa Malipiero, lungo il Canale  della Fossetta.

Domenica 16 Giugno 1918.Le poche ore della notte che precedono ilcontrattacco sono passate a ridosso dello scolo Palumbo. Rientrano le due pattuglie inviate in ricognizione dal comando Divisione e riferiscono che l’Osteria di Fossalta è libera mentre Fossalta, Croce e Capo d’Argine sono In mano agli austriaci. Nessun soldato italiano si trova più nell’ansa di Gonfo e ciò rende preoccupante la situazione per la Brigata che, durante l’azione,  potrebbe essere contrattaccata sul fianco sinistro o alle spalle dalle unità austriache che si stanno concentrando in quel settore.

Viene perciò contattata la 25^ Divisione,  che presidia quel settore, per avere assicurazione che sarà fatto tutto il possibile per bloccare le truppe nemiche dislocate tra Fossalta e Case Gradenigo.

Alle ore 3 del mattino una leggera nebbia vela la pianura e le prime pattuglie sono inviate oltre lo Scolo Palumbo. Dopo pochi minuti muovono i battaglioni verso gli obiettivi: il 152° caposaldo di Croce – Argine S. Marco – Canale Mille Pertiche; il 151° caposaldo di Capo d’Argine – Canale Mille Pertiche.

Ciascun battaglione ha due compagnie avanzate ed una di rincalzo e ciascuna compagnia procede con due plotoni avanzati ed uno di rincalzo, con pattuglie in avanscoperta. Benché, sia notte, tutti si rendono immediatamente conto delle enormi difficoltà che dovranno essere affrontate su questo terreno, così diverso da quello del Carso o dell’Altopiano di Asiago sui quali la Brigata ha combattuto sino ad oggi.Totalmente piatto, senza alture che possano essere sfruttate per avere anche solo un poco di dominio. Tutta la pianura è coperta da una folta vegetazione, solcata da numerose strade, da canali grandi e piccoli, da fossi; le strade  sono fiancheggiate da filari di viti, posti a guisa di reticolati, mentre i gelsi, i salici e gli alberi da frutta crescono lussureggianti dappertutto. Nei campi che s’intervallano  fra  sentieri,  fossi e strade, sono cresciuti il grano ed altre coltivazioni, mentre numerose sono le case coloniche che si nascondono fra gli alberi e possono essere sfruttate per l’osservazione o per l’azione dei cecchini. Un terreno, insomma, difficile e complicato, in cui i reparti potrebbero perdere facilmente il collegamento, in cui non è possibile vedere ciò che capita oltre il fosso o la strada, in cui ogni cespuglio, ogni fosso, ogni canale può celare una pericolosa insidia nemica.

Verso le ore 4.20 la nostra artiglieria apre il fuoco per proteggere l’avanzata dei fanti italiani, soprattutto su quel fianco sinistro che è minacciato dalle truppe nemiche che si stanno ammassando nell’ansa di Gonfo. Alle ore 5,30 le prime pattuglie del 152° reggimento arrivano a nord di Croce, che trovano apparentemente sgombero, e proseguono in direzione di Case Gradenigo.

Alle ore 6,30 il II battaglione del 152° ha il primo contatto con il nemico a nord di Croce.

Dopo un breve combattimento con la cattura dialcuni  prigionieri, continua la sua avanzata, ma la resistenza degli austriaci, che possono usufruire anche dei  reticolati che erano stati precedentemente installati dalle nostre truppe a difesa del caposaldo, aumenta.

Contemporaneamente, anche il movimento del III battaglione trova ostacoli e resistenza sulla destra del reggimento.

Unità esploranti sono state inviate in ogni direzione per frugare ogni casa, per cercare di  individuare le terribili  mitragliatrici nemiche che sparano da ogni dove.

Una di queste unità è agli ordini di Attilio Deffenu, ufficiale addetto alla propaganda presso il Comando del reggimento. Ma,  al momento in cui la  Brigata è stata chiamata sul Piave, ha chiesto di lasciare quell’incarico ed ha rifiutato una licenza pur di assumere il comando di un  plotone.

Deffenu giunge con i suoi uomini davanti a Croce, ma si rende immediatamente conto che il reparto è accerchiato; si accorge, però, che dietro di sé il battaglione ha preso contatto con il nemico ed ha iniziato il combattimento.

La situazione è difficile ed il cerchio si sta stringendo. La pattuglia reagisce con violenza per sganciarsi, combattendo contro ingenti forze nemiche. Deffenu dirige gli uomini nel combattimento, ma una bomba raggiunge l’ufficiale che, ferito in più parti del corpo, muore.

E’ il primo degli ufficiali caduti nella giornata. Sarà insignito di medaglia d’argento al Valor Militare.

Ora anche il suo battaglione, il III/152°, si trova in difficoltà, premuto da ogni lato dal nemico. Le pallottole arrivano da ogni direzione, il combattimento è a gruppi, a squadre.

Il Comandante, Tenente Colonnello  Luigi Giusti, un ufficiale di cavalleria, che ha combattuto con la  Brigata contro le truppe nemiche durante la ritirata di Caporetto, infonde calma agli uomini ed il battaglione avanza.

Intanto il  II battaglione, che è riuscito a raggiungere Croce, procede furibondo all’  assalto. Alle ore 8.45 la posizione è conquistata.

I fanti avvanzano verso Case Gradenigo, verso l’Argine S. Marco, verso il Piave.

Un gran numero d’unità austriache, che hanno appena attraversato il Piave, investono i battaglioni ed alle ore 9 si sparge la voce che il colonnello Giusti è stato fatto prigioniero e che i resti del battaglione sono accerchiati.

Il Comando di reggimento non ha truppe di riserva da inviare in soccorso e così chiede l’intervento della Brigata, che invia immediatamente la 1372^ compagnia mitragliatrici al bivio d’ Osteria di Fossalta, per rinforzare la difesa contro le puntate austriache dall’Ansa di Gonfo.

Il III battaglione, però, dopo uno strenuo combattimento, non solo riesce a rompere l’accerchiamento,  maa rientrare, addirittura, nel caposaldo portandosi appresso un centinaio di prigionieri.

Anche il II battaglione del 152°, nel frattempo, si sta battendo con furore, nel settore a nord, contro un nemico che lo contrattacca in forze e lo costringe a retrocedere fino al quadrivio dell’Osteria di Fossalta..

Il Maggiore Musinu, comandante di battaglione, è ferito all’occhio sinistro ed altri tre ufficiali vengono anch’essi feriti. Alle ore 9.00  il battaglione è costretto a  rientrare nel caposaldo di Croce.

Il fianco sinistro del 152° reggimento ora è scoperto, mentre  le perdite sono state sensibili.  Nell’ansa di Gonfo, a Croce  e a Capo d’Argine la lotta sta assumendo una terribile violenza.

E’ impossibile andare avanti. Il Comandante di reggimento chiede che il fuoco d’artiglieria sul caposaldo di Croce venga sospeso ed invia una compagnia fucilieri a rinforzare la 1372^ mitragliatrici, che è sottoposta a forte pressione dalle truppe nemiche provenienti da Fossalta.

Il 151° reggimento, nel frattempo, è riuscito a progredire nell’avanzata  dallo Scolo Palumbo fino a Capo d’Argine, parzialmente occupato dal nemico.

Nel settore sud – est, i fanti sardi trovano un’accanita resistenza, che li costringe  ad attaccare con particolare violenza e a  prodigarsi con ogni mezzo.

Il II battaglione, guidato dal maggiore De Cataldo, assalta più volte, anche alla baionetta. Nel corso del combattimento il Comandante viene colpito a morte, così come numerosi altri ufficiali uccisi o feriti.

Fra  essi il Sottotenente Lino Fior, il “pallido valoroso ufficiale friulano della brigata, che portava i soldati all’assalto gridando W la Sardegna.

Aveva promesso che alla fine della guerra avrebbe venduto i suoi beni in Friuli per andare in Sardegna a dare una mano nella riorganizzazione di tutto ciò che era stato abbandonato in seguito all’arruolamento dei coscritti sardi.

Tra gli ufficiali, soprattutto subalterni, sempre esemplari nel comportamento,   e i soldati di truppa esisteva un rapporto di massima fiducia. Soprattutto  durante le offensive e nelle fasi più critiche di un avanzata o di un ripiegamento.

Questo spiega l’incredibile capacità di ordine e di disciplina insita tra gli uomini della Brigata.

Solo alle ore  07.00  la resistenza nemica è fiaccata ed il caposaldo occupato.

Il battaglione, però, ha subito  perdite gravissime ed il Comandante di reggimento chiede che il suo  III battaglione, sino  allora in riserva di Brigata, venga restituito al reggimento, che così si ricompone.

Un violente contrattacco nemico, alle ore 09.30, obbliga però il reggimento ad attestarsi sul caposaldo.

In quella stessa ora  il 152° reggimento è attestato nel caposaldo di Croce, mentre   il 151° occupa quello di Capo d’Argine.

La vicinanza dell’Ansa di Gonfo si fa sempre più critica,  perché da quella direzione continuano ad arrivare i rinforzi che danno man forte agli assalti nemici, sempre più audaci e  numerosi. Quegli  assalti sono respinti con sempre maggiore difficoltà.

Il fianco sinistro della Brigata è in pericolo ed anche il comando della divisione se ne rende conto.

La Brigata riceve l’ordine di sospendere l’attacco, che dovrà essere ripreso alle 12.00. Per rinforzare il fianco sinistro è inviato l’ VIII battaglione bersaglieri ciclisti con il compito di occupare Fossalta e di tenerla ad ogni costo.

Vengono anche messe a disposizione del 152° reggimento due autoblindo mitragliatrici da impiegare sempre sulla sinistra del dispositivo per incrementarne la sicurezza.

Alle ore 12.00 in punto riprende l’attacco e gli uomini della “Sassari” escono di slancio dai capisaldi di Croce e Capo d’Argine.

I soldati austriaci sono in agguato, dappertutto, nascosti dentro i fossati, nei cascinali, dietro le siepi, al riparo degli argini, con le mitragliatrici pronte a sparare da tutte le direzioni.

A poco a poco, però, sono stanati con nutriti lanci di bombe a mano e, qualora si dimostrino poco propensi alla resa, qualche fante provvede a persuaderli con l’impiego delle baionette.

“I sardi sembrano fatti apposta per questa guerra d’imboscata, per questa guerra d’agguato e d’insidia.  La preoccupazione è di avanzare.

Il 152° ha superato Case Gradenigo e avanza a cavallo dell’Argine San Marco mantenendo sempre i collegamenti col 151° che, nel frattempo, ha raggiunto la ferrovia e avanza a cavallo dello Scolo Gorgazzo. I due reggimenti hanno impegnato una gara fraterna, ma superba. Chi sarà il primo ad arrivare al Piave”?

Da “Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari” di Leonardo Motzo

 

Alle ore 12.10, l’Imperatore Carlo, dopo un lungo colloquio con il GM

Waldstaetten, invia il seguente ordine al Gruppo di armate del feldmaresciallo von Boroevic:

“La 6° Armata e l’Armata dell’Isonzo proseguiranno l’attacco in direzione di Treviso. Le riserve del Comando Supremo, delle quali non si prevede per il momento un impiego nel settore del gruppo d’Armate Conrad, verranno dislocate a cura del comando del gruppo di Armate Boroevic nella pianura veneta, in modo da consentire, in caso di necessità, un loro tempestivo intervento a ovest del Piave”.

Tale ordine genera in quel di  Udine perplessità, dovute anche alla viva impressione suscitata dall’insuccesso sul fronte montano.

Lo si comprende dal messaggio di risposta, inviato da Boroevic al Comando Supremo, subito dopo essere ritornato sulla zona del Piave.

“Considerata la superiorità numerica dell’avversario e la situazione attuale, ritengo del tutto imprudente  continuare subito l’offensiva su Treviso.

Il Montello  e l’ala sud dell’ Armata dell’Isonzo costituiranno teste di ponte offensive, quando si potrà disporre di tutti i mezzi necessari per passare nuovamente all’attacco. Al momento il gruppo d’armate non dispone di riserve, mancano le artiglierie di medio calibro, le munizioni, gli automezzi, il materiale e gli equipaggi da  ponte, i viveri e gli aerei”. Non possosconsigliare mai abbastanza dall’ordinare prematuramente un attacco con forze insufficienti e mal nutrite”.

Ma, nonostante l’urgenza della situazione, nel treno reale non si ritenne opportuno esprimere un parere definitivo sulle proposte del Feldmaresciallo Boroevic.

Domenica 16 giugno 1918“Verso le due del pomeriggio dobbiamo ritirarci per non essere sommersi e catturati, e ripieghiamo su Capod’Argine.

Arriviamo a Villa Prina dove c’è il nostro comandante di Gruppo e il posto di medicazione. La villa è già colma di feriti e tra questi non pochi austriaci assai gravi, che non si possono trasportare; il materiale sanitario è esaurito e si tappano le ferite con quello che capita sottomano.Ci mettiamo nelle trincee che sono state scavate intorno alla casa; ma poco tempo dopo cominciano  ad arrivare le raffiche dei nostri 75 che le prendono in pieno.Si sparano razzi di segnalazione per far allungare il tiro, ma si vede che la nostra artiglieria ritiene che la villa sia già stata sgombrata e i proiettili continuano a scoppiare tutto all’attorno.Le perdite della mia batteria  sono già abbastanza gravi e tanti dei nostri abbiamo dovuto lasciarli dove sono caduti, perché nell’affannoso trambusto manca assolutamente il tempo di fermarci e darci cura di loro. I feriti vanno da soli indietro, verso Meolo, dove ci sono gli americani che li caricano nelle loro autoambulanze e li portano alle retrovie. Quelli che restano della mia batteria, sempre riuniti e comandati dai nostri tenenti e sergenti, hanno potuto avere rifornimenti dai fanti della Sassari e della Bisagno, dai bersaglieri Ciclisti e dai Genieri e continuano a sparare sui gruppi austriaci sparpagliati dappertutto e che saltano fuori, si può dire, da ogni parte. Tanti pare che lo facciano apposta per farsi ammazzare e sui campi, per i fossati, sotto le viti e le siepi non ci sono che morti e feriti che si lamentano e chiamano aiuto; ma è raro che trovino qualcuno che badi loro. Abbiamo altro da pensare, noi, in quella confusione di scontri continui, di mitragliamenti, di cannonate, di fucilate e di bombe, che pareva una grande fiera per far divertire la morte”.

Da un ricordo del soldato bombardiere Giacomo Bugliolo, classe 1892 di Albenga, appartenente alla 311° Batteria che operava nell’ambito della 33° Divisione comandata dal Generale Carlo Sanna.

 

Domenica 16 giugno 1918.Villa Prina diCapodargine Cimitero di guerra nella tragica stradetta delle Contee.

Nella villa era operativo un ospedaletto da campo, il parco, invece, era stato trasformato in  un cimitero di guerra.

Alle ore 15  il combattimento si stava protraendo, furioso, da tre ore sotto la pioggia che aveva iniziato a cadere nel pomeriggio.

Gli austriaci reagivano alla pressione della “Sassari” con un  terribile fuoco di mitragliatrici e continui contrattacchi sulla fronte.

Non riuscendo, però, a contenerne lo slancio,  intensificavano lo sforzo sul fianco sinistro della Brigata con i reparti immessi nell’Ansa di Gonfo.

I fanti della “Sassari” stavano battendosi contro forze soverchianti, ma le truppe non cedettero un palmo di terreno, mentre l’ VIII battaglione bersaglieri, duramente attaccato a Fossalta di Piave, pur battendosi valorosamente, si trovava  in estrema difficoltà.

Alle ore 17 la situazione precipitava.

Nell’ansa di Gonfo i bersaglieri cedevano di schianto sotto l’urto nemico e gli austriaci si precipitavano contro il fianco del 152°.

La 3^ compagnia del  I /152°, dovendo fare fronte al nemico, contrattaccava furiosamente con l’impiego di bombe a mano e di baionette, sino a che il suo comandante, il capitano Vittorio Bellieni, vedendo il reparto ormai circondato da tre lati, disponeva gli uomini a quadrilatero e, benché ferito alla fronte, ordinava ancora il fuoco.

E ancora puntano, i sardi, sebbene sentano di essere troppo lontani, troppo isolati. Troveremo i loro ultimi morti a Casa Janna; soli, soli, soli, uno qua, uno là fucilati, accoltellati, nel verde, nei calcinacci, tra le ortiche, arenati ad una passerella, tra i rottami irriconoscibili ma eloquenti.

 I loro cadaveri depredati; la loro povera carne  sfatta, saranno il documento inoppugnabile di quel che volle e osò la Sassari in quel giorno. Casa Janna! E’ una triste casaccia sporca, poco a ovest di Boaria Soldària, al limite estremo che avrebbe potuto raggiungere una avanzata di grande fortuna.

E i piccoli sardi sono arrivati fin là.

Non importa se per morirvi. Purtroppo però la loro penetrazione non ha effetto sensibile sulla compagine nemica.

Questi balzi eccezionali di pattuglie sono come la puntura di uno spillo in un tessuto elastico: dietro la punta sottile il tessuto si riforma e il foro si richiude senza traccia”.

Da Giornate sul Piave di Ezio M. Gray.

Allorché, cominciarono a scarseggiare le munizioni, gli assalti del nemico furono respinti con le baionette.

Ricevuto l’ordine di ritirarsi, il capitano Bellieni, preoccupato della disciplina del reparto, ordinava il ripiegamento a scaglioni e, per facilitare lo sganciamento, rimaneva con gli ultimi a far fuoco sul nemico.

Mentre ormai, il reparto aveva raggiunto un rilievo, dietro il quale si poteva raccogliere per meglio difendersi,  una raffica di mitragliatrice lo uccideva.  Il suo corpo non sarà più trovato. Alle ore 18 la situazione era diventata tragica: il 152° reggimento non aveva più truppe in riserva, così, come non ne aveva il comando Brigata, e si trovava pressato da ben quattro reggimenti nemici.

L’unica possibilità era riposta nelle proprie forze e veniva perciò dato l’ordine di ritirata:

“I reparti ripieghino proteggendosi a vicenda, scaglionandosi in profondità, difendendosi ferocemente, aprendosi il passo con la baionetta, eseguendo vigorose puntate con contrassalti ostinati.

 Ogni palpito di paura è  la fine, ogni disordine  è il disonore, ogni passo che si fa senza voltare la faccia al nemico è la morte”.

 

L’ordine fu  portato ai reparti che erano lontani, quasi sul Piave, dai soldati del comando, dai ciclisti e dagli ufficiali. La ritirata non fu meno dura dell’attacco e numerosi furono gli episodi di valore. Il caporale Domenico Murtas, da Arbus, aveva preso il comando di una sezione mitragliatrici, dopo che il sergente era stato ferito.  Il reparto stava per essere sopraffatto dagli austriaci che volevano catturare le armi, ma lui riusciva a prendere l’iniziativa, lanciando un contrassalto, che non solo riusciva a respingere il nemico, ma addirittura  portava  alla cattura di alcune mitragliatrici avversarie.

La 4^ compagnia era comandata dal capitano Tito Acerbo, che nella mattinata aveva sostituito il Maggiore Musinu ferito a Croce, e quando ricevette l’ordine di ritirarsi era lontana dagli altri reparti. Il capitano Acerbo, subito, disponeva il movimento per squadre, a partire dalla sinistra,  mantenendo per sé il compito di retroguardia.

Il nemico però,  sempre più numeroso ed audace, aveva ormai circondato la compagnia, che veniva  costretta ad  aprirsi un varco con la baionetta.

Il capitano Acerbo, mentre percorreva la fronte del reparto per dare ordini, veniva colpito a morte.  Sarà decorato con una Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Protetto dai fanti della 3° compagnia del III battaglione, che scrissero una delle pagine più gloriose del reggimento, e dalla 1372° mitragliatrici, che era stata completamente annientata, il 152° reggimento riusciva ad arretrare nuovamente fino ad Osteria di Fossalta,  dove si  sistemava a difesa.

Mentre, questi fatti si sviluppavano sulla fronte del 152° reggimento, nel settore del 151° reggimento, in posizione avanzata verso il Piave, la pressione nemica aumentava a dismisura. Alle ore 16.30 i bersaglieri che proteggono il fianco destro del reggimento sul Canale Fossetta cominciarono a cedere ed alle ore 17 lasciavano le posizioni.

Poco dopo anche il fianco sinistro rimaneva scoperto, per il ripiegamento del 152°, perciò il 151°, attaccato da tutti i lati, dovette rientrare a  Capo d’Argine.

Particolarmente difficile era la situazione della 8^ compagnia, che si era spinta 800 metri in avanti dal resto del reggimento, ad est di Capod’ Argine  Il suo comandante era Emilio Lussu, un fante che aveva partecipato a tutte le battaglie sul Carso, sull’Altopiano d’ Asiago, sulla Bainsizza e durante  la ritirata di Caporetto.

Era il fante più popolare della “Sassari” ed aveva spesso comandato reparti di volontari, rischiando la vita assieme ai suoi uomini.

In tre anni di guerra la sua compagnia era diventata famosa ed aveva contribuito a rendere celebre anche il battaglione cui apparteneva, il III/151, conosciuto anche come il “Battaglionissimo”.

Il capitano Lussu, assieme alla sua compagnia, si era spinto  troppo in avanti, mentre gli austriaci erano diventati sempre più numerosi e li stringevano da tutte le parti.

La compagnia è  prigioniera.  Non ha e non può avere altra via di scampo che nella forza delle proprie armi. Meglio ancora nel volere e nel valore dei propri uomini. In simile terribile frangente, l’anima del reparto, il solutore del nodo inestricabile è ancora una volta il  più bell’ ufficiale del reggimento. Il capitano Emilio Lussu.

Nella furia dei colpi nemici, calmo, dà l’ordine alla compagnia di disporsi in quadrato. I plotoni si serrano attorno al comandante, formando il quadrato delle vecchie guerre. Così uniti in falange compatta, senz’altre armi che le baionette inastate, resistono per un ora,  tenendo l’avversario inchiodato a pochi metri. Hanno sperato nell’aiuto del 151°. Sentono che il combattimento in cui le altre compagnie sono impegnate s’allontana. Non potranno uscire dalla terribile stretta se non con le proprie forze.

S’alza un grido Sardegna,  Sardegna.  Sempre in quadrato si precipitano sugli assedianti decisi ad aprirsi un varco a colpi di baionette e coltellate e in un combattimento senza precedenti riesce a rientrare nel reggimento con una precisione di movimenti, quasi inconcepibile  nel terreno intricato della lotta”.

Dal diario del Capitano Tommasi della Brigata Sassari.

 

Più tardi, a Sequals, a guerra ormai finita, il Capitano Lussu riceverà una medaglia d’argento al Valor Militare, la quarta ottenuta nel corso di tutta la guerra.

Quella domenica di giugno fu una giornata eroica per la Brigata Sassari e come disse il capitano Tommasi, Capod’ Argine e Croce non sarebbero mai state dimenticate dai fanti sardi. E forse un giorno anche la storia  avrebbe ricordato quelle località.

Anche il caposaldo di  Capo d’Argine era, però,  in pericolo, sotto la forte pressione del nemico, ed il 151° reggimento era stato costretto a continui e violenti contrattacchi.

Alle ore 18 il II battaglione era completamente circondato da forze nemiche soverchianti ed aveva il fianco destro completamente aggirato.

Qualora gli austriaci fossero riusciti o ad impossessarsi della strada per Losson, la minaccia era di rimanere tagliati fuori dal quel caposaldo, ultimo punto di sbarramento difensivo.

Il caposaldo di Losson era costituito da una fascia di terreno a forma rettangolare, delimitata a nord dalla strada  Albera – Capo d’Argine, ad est dallo scolo Palumbo, a sud dallo scolo Correggio e ad ovest dalla strada Losson – Pralungo.

Ai lati ed all’interno vi erano trincee e camminamenti, reticolati e cavalli di frisia, mentre gli argini dei canali erano stati organizzati per la difesa, le strade sbarrate e le case occupate da mitragliatrici.

Alle ore 18,30, non riuscendo più a reggere la pressione nemica, il comandante del reggimento ordinava il ripiegamento su Losson.

I reparti  raggiungevano il caposaldo a gruppi, continuando a combattere accanitamente.

Alla fine della giornata quella località verrà a trovarsi completamente isolata dal resto del sistema difensivo.

Il suo possesso era  fondamentale  nel contesto dello schieramento difensivo, in quanto assicurava il fianco alle unità a difesa dello scolo Palumbo e contribuiva ad impedire che le forze nemiche potessero dilagare, dal Montello, alle spalle delle unità italiane che stavano cercando di contrastare la penetrazione austriaca sul Piave.

La Brigata “Sassari”, però, aveva  subito troppe perdite e verso le ore 19 il Comando di Divisione decideva di  ritirarla  dal combattimento e di inviarla a Cà Tron, dove sarebbe stata riorganizzata in base alle perdite degli uomini e degli equipaggiamenti,  in previsione di un nuovo immediato impiego.

Verso sera i due reggimenti della brigata, soprattutto con l’intento  di evitare di essere accerchiati dalla soverchiante massa delle truppe nemiche, davano inizio a una lenta e laboriosa ritirata, tale da essere, senza dubbio, più impegnativa  e sanguinosa dell’avanzata mattutina.

I fanti indietreggiavano, metro dopo metro, badando soprattutto alla difesa dei fianchi e delle spalle, costretti ad  abbandonare in tal modo,  dopo una giornata di durissima ed estenuante lotta,  le posizioni che erano state  conquistate  a costo  di tanti sanguinosi sacrifici.

Se però, gli obiettivi territoriali non erano stati realizzati, era pur vero che tutto il piano austriaco di conquista dei capisaldi di Croce, di Capo d’Argine e Losson, si era infranto contro la resistenza dei due reggimenti della  “Sassari”, che soltanto in quella prima giornata di battaglia aveva perso una parte rilevante dei suoi effettivi, quasi tutti morti e feriti, se pur a migliaia andavano conteggiate le perdite austriache, compresi oltre 500  prigionieri.

“Gli austriaci, come ebbe a scrivere  Fraccaroli, sapevano cosa fare:

  1. in caso di non resistenza alla loro offensiva da parte degli italiani,
  2. in caso che gli italiani avessero opposto resistenza”.

Ma, mai più avrebbero immaginato di doversi cimentare loro stessi in  una  lotta di resistenza contro i contrattacchi  italiani.

Si legge sulla relazione ufficiale:

 

“La marcia dallo Scolo Palumbo su Ca – Tron è effettuata con tale ordine da lasciar intendere e quanto saldamente sia radicata la disciplina in questi reparti e da suscitare l’ammirazione di tutti quelli  che hanno visto sfilare la Brigata ritraendo  l’impressione che essa, non da un violentissimo e lungo combattimento ritorni, bensì da una semplice esercitazione in tempo di pace”.

Capo d’Argine e Croce  erano diventate, da quel momento, e, pochi giorni dopo, così sarà anche per il caposaldo di  Losson,  il teatro più aspro e cruento  della battaglia del Basso Piave. Le truppe austroungariche i cui comandi, erano, spavaldamente, sicuri che Treviso sarebbe stata occupata nel pomeriggio del primo giorno dell’offensiva, non erano state respinte in quella domenica di giugno del 1918, ma fermate si, in attesa della ripresa del contrattacco delle truppe italiane nei giorni seguenti.

 

 

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