IL CICLO DI SAN GIOVANNI: LA MAGIA DELLE PIANTE E DELLE ACQUE PER IL SOLSTIZIO D’ESTATE

di CLAUDIA ZEDDA

Il ciclo un tempo era del solstizio ma oggi Giovanni spadroneggia. E’ un fatto che tutta la magia d’inizio estate non si condensi in una sola giornata. Le nostre nonne, che sagge lo erano davvero, sapevano che la magia delle piante e delle acque durava per almeno cinque giorni. Tradizione vuole che il ciclo di San Giovanni si chiuda il 29 giugno, con San Pietro e Paolo. Una triste tradizione marinaresca nota in Sardegna, ma specie nel Golfo di Cagliari racconta che questi due santi, alla fine di questo periodo magico, richiedano un pegno, e che questo pegno sia una vita umana, spesso perduta in mare. A Cagliari è piuttosto noto il detto “Santu Pedru ‘di tirat unu dogni annu” – “Pietro Santo ne reclama uno ogni anno” e i più anziani cagliaritani mi confermano che è tutto vero, che un’anima ogni anno veniva richiesta dal santo.

Il mio interesse quest’anno è caduto sul comparatico e sui goppài / gommài de is fròris. I grandi fuochi che si accendevano in occasione dei festeggiamenti, un tempo più d’uno per ogni rione, erano utili per disparate situazioni. Scacciavano la sfortuna ed il male, proteggevano dalle malattie per l’intero anno, ma soprattutto erano saltati da giovani uomini e donne che davanti al fuoco, elemento evidentemente ritenuto sacro, si scambiavano promesse di amicizie lunghe una vita.

Ho trovato davvero affascinante leggere in Marianna Sirca, di Grazia Deledda, che il compare di San Giovanni “è più che la sposa, più che l’amante, più che il fratello,più ancora del figlio. Non c’è che il padre e la madre a superarlo”. Chi decenni fa ha realmente saltato sul fuoco, trovando un compare o una comare mi racconta che ci si dovesse preparare con estrema cura, perché saltare sul fuoco, mano presa, era qualcosa di piuttosto  difficile e molti non ci riuscivano pur provandoci. Mi ha fatto sorridere sentir raccontare questa tradizione che oggi, con molto entusiasmo, stiamo tentando di riscoprire.

L’uso, antichissimo, non era visto un granché bene dalla chiesa che a più riprese cerca di vietarlo. Nel 1566 ad esempio, risulta dal Sinodo di Ales e Terralba che chi conseguiva il comparaggio nel falò di San Giovanni, non poteva ottenere il sacramento cristiano del matrimonio e pure nel 1633 il Concilio Provinciale di Sassari ribadisce che “comari e compari non si chiamino se non coloro che hanno contratto un comparatico spirituale attraverso il battesimo o la cresima”. Trovo davvero interessante una filastrocca / brebu /formula un tempo recitata prima di saltare il fuoco in Tertenia.

Goppàris seus

figliur de Deus,

a ‘ndi torrài bònus còntus

de santu Giuanni

de santu Giuanni ca seur goppàris

ca seur goppàris, Deur bògliada

E questa non è la sola. Ogni località aveva la propria formula. Ancora per Tertenia è interessante riportare questo uso: la notte della vigilia se un ragazzo era interessato ad una ragazza questo poteva saltare il fuoco per tre volte (impresa evidentemente non da tutti) e infine porgere un fazzoletto ben annodato alla ragazza. Avrebbe potuto trascorrere con lei del tempo, fintanto che la giovane non fosse stata in grado di sciogliere i nodi. Altrove il fazzoletto era usato per saltare: anzichè darsi la mano i compari o le comari tenevano strette le estremità di un fazzoletto.

A te che leggi auguro di trascorrere una serata magica, fatta di natura e tramonti, fuochi sacri e amicizie interminabili.

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