INCONTRO AL CIRCOLO “SARDEGNA” DI BOLOGNA CON IL REGISTA GIOVANNI COLUMBU PER IL LUNGOMETRAGGIO “SURBILES”

di FRANCA MENNEAS

Dopo Arcipelaghi e Su Re, Giovanni Columbu torna con un nuovo lungometraggio, Surbiles, presentato al Festival di Locarno nella sezione Signs of Life. Attingendo dalla ricchissima tradizione orale, Columbu ricostruisce il mito radicato nella Sardegna più profonda dove creature femminili, in seguito a un inconscio processo di trasformazione, durante la notte, succhiano il sangue ai bambini. Un immaginario nel quale spiritualità e credenze pagane, miti e sogni si mescolano in una tradizione che si perde nei secoli. In occasione della presentazione bolognese del film, abbiamo chiesto al regista i significati più reconditi del suo nuovo lavoro e della leggenda delle Surbiles.

Il film muove da un’inchiesta antropologica effettuata tanti anni prima per un altro documentario dal titolo Visos che aveva, appunto, come tema i sogni. Più nello specifico cosa era emerso sulle figure de sas Surbiles? Più di trent’anni fa, negli stessi paesi della Sardegna Centrale in cui oggi ho ambientato questo documentario, assieme ad alcuni collaboratori assunti allora dalla RAITV con l’insolita qualifica di “cercatori di sogni” raccoglievo racconti di sogni per un altro documentario, quello che tu hai citato, Visos, che significa “sogni”, ma anche “avvisi” e “visioni”. In quella occasione erano emerse anche testimonianze inattese. Racconti strani e inquietanti di donne e uomini che conversano durante il sonno, o che hanno la coda, o che provano a riflettersi dentro specchi stregati che non riflettono la loro immagine. E poi racconti di metamorfosi in lupo, in asino, in serpente, in bue, in aquila e in mosca. Da questi racconti, di cui non sempre era chiaro se si trattasse di sogni, di leggende o di fatti dotati di qualcosa di vero e reale, era emersa anche la figura del boe muliache; il bue in cui tra la mezzanotte e l’alba si trasferisce lo spirito di un uomo colpito da una sorta di dolorosa malattia o di fatale condanna: s’ustinu, il destino. Un bue che appare la notte, scalpitando e muggendo paurosamente nel luogo in cui avverrà una sciagura. E poi racconti di donne che nelle ore notturne abbandonano il proprio corpo fisico e si sdoppiano, a volte si incarnano nel corpo di un insetto o di un gatto e penetrano nelle case in cui ci sono dei bambini per succhiare loro il sangue. Queste erano le Surbiles a cui oggi, dopo tanto tempo, ho voluto dedicare questo nuovo lavoro.

È possibile datare la nascita di questo mito? Credo che sia difficile risalire all’origine del mito. Certamente è molto antico, anche se nel tempo ha verosimilmente subito influenze e parziali riformulazioni. Il fatto ad esempio di ritenere che i bambini più esposti alle aggressioni delle Surbiles fossero quelli non battezzati non può che dipendere dall’incontro tra la cultura più arcaica e la più recente tradizione cristiana. Un tempo a cui il mito è connesso è certamente quello in cui era molto alta la mortalità infantile. Oggi possiamo affermare che “purtroppo” i bambini non muoiono più. “Purtroppo” perché la ragione per cui non muoiono è che non nascono. Infatti in Sardegna come in altre regioni italiane ed europee hanno grande rilievo i cosiddetti fenomeni dello spopolamento. Dunque è possibile che la morte di molti bambini venisse in passato attribuita alle Surbiles, forse per alleggerire le responsabilità delle madri. Ma il mito delle Surbiles è più complesso e non è detto che sia del tutto frutto della fantasia. Di questo potremo parlare, se ne avrai piacere e se il pubblico sarà interessato, quando ci incontreremo in occasione della proiezione del documentario a Bologna. Anticipo solo che stando al mito la donna Surbile non solo è spesso inconsapevole di esserlo e pertanto è soggettivamente innocente, ma sconta un peccato che grava sulla comunità a cui appartiene.

Quali sono le zone della Sardegna in cui si è radicato? Soprattutto nei paesi della Sardegna Centrale. Ma la radice del mito è assai più diffusa e ha punti di contatto con il mito universale dei vampiri e degli sciamani. Come i vampiri le Surbiles possono essere fermate disponendo all’ingresso delle case o nelle stanze in cui ci sono dei bambini degli oggetti dentati, falci o seghe, o sedie o trippodi rovesciati, o grani di semola o di corallo, o di riso o di sale. Le Surbiles, come si dice anche dei vampiri, sono attratte da questa pluralità di elementi sequenziali e irresistibilmente li conta, ma non riesce a contare oltre il numero sette. Così contando si incanta e ricomincia a ogni volta da capo, quanto basta affinché sopravvenga l’alba quando è costretta a rientrare nel proprio corpo fisico. Lo sdoppiamento tra il corpo fisico e quello cosiddetto “astrale” ha invece corrispondenza più diretta con il mito o forse con la realtà dello sciamanesimo.

Si può fare qualche ipotesi sull’etimologia della parola Surbile? Per quel che ne so allude all’azione del “sorbire” o “succhiare”. Oppure al verso simile a un fruscio e a un fischio che si attribuisce alle Surbiles. In sardo fruschiare o surbare.

Nella Sardegna di oggi se ne parla ancora o si tende a rimuovere questo mito, e si può dire definitivamente superato? A differenza di quando avevo realizzato Visos, direi che se ne parla poco, che molti hanno dimenticato o preferiscono dimenticare. La ragione credo che abbia a che fare con la generale rimozione del passato, con la volontà di prendere definitivamente le distanze da tempi in cui come sappiamo vi era una grande povertà. Quei tempi sono stati oltretutto caricati di ogni valenza negativa per giustificare il sopravvento travolgente della modernità. In modo molto ingiusto a mio parere. Le ragioni della povertà sono state attribuite all’identità considerata come ostacolo allo sviluppo. Per crescere e stare meglio, si diceva, sarebbe stato necessario rinunciare a sé stessi e in un certo senso diventare “altri”. Il risultato è che con la modernità, che non sempre ha portato benessere e crescita, basti pensare come dicevamo allo spopolamento, abbiamo finito per rinunciare anche a un bagaglio culturale per molti versi prezioso. In quella cultura c’erano anche saggezza e civiltà. Ad esempio, stando alle Surbiles, antenate di donne di cui oggi apprendiamo dalla cronaca non solo sarda, erano certamente temute e da loro, o dai loro fantasmi veri o immaginari ci si difendeva, ma non vi era nei loro confronti alcuna condanna. C’era piuttosto un civile sentimento di compassione.

Oltre a quelle cattive, pare ci fossero anche quelle buone: che ruolo giocavano e che rapporto avevano con quelle cattive? In questo universo che noi consideriamo del tutto fantastico e irrealistico anche le anime, come le persone fisiche, sono buone o cattive, possono fare del male oppure arrecare conforto e fare del bene. Sembra tutto così inverosimile e lontano da noi e dal nostro tempo. Ma quanti di noi pur adoperandosi ogni giorno nel più concreto dei modi e pur avendo una mentalità e una cultura che possono dirsi razionali, dialogano con i morti o col ricordo di coloro che sono morti per chiedere loro conforto?

Il film è classificato come documentario, categoria un po’ stretta per le tante scene di fiction vera e propria che si alternano ai racconti delle persone che vengono intervistate. Per anni ho cercato di scrivere un film di finzione e ogni volta avevo l’impressione di perdere qualcosa della freschezza e della misteriosa veridicità dei racconti originali. Così alla fine mi sono arreso all’idea di un documentario. Poi quando ho cominciato a girarlo il lavoro è tornato a virare verso la finzione sebbene le risorse e i mezzi di cui disponevo non fossero adeguati. Ne è venuto fuori un piccolo film o “film-documentario”, come è stato definito, con molte imperfezioni ma anche motivi di meraviglioso fascino, almeno per me. In questo lavoro so di avere solo sfiorato il mistero delle Surbiles e del mondo di cui fanno parte e posso dire che sarò felice se mi sarà data la possibilità di poter riprendere questo tema e farne un’opera un po’ più compiuta.

Il film è incentrato su una figura femminile negativa, sa surbile, che succhia il sangue dei neonati. L’attribuzione della colpa a sa surbile era solo un modo di espiazione collettiva del dolore dell’alto tasso di mortalità infantile o si può leggere qualche altro significato di questa credenza popolare? Una cosa che si dice è che le Surbiles scontassero una colpa che gravava sulla comunità. Anche la surbile, dunque, non solo i bambini a cui la surbile succhiava il sangue, era in un certo senso una vittima e un capro espiatorio. Colpita da un destino terribile e costretta a subire una metamorfosi mostruosa. Ma quale poteva essere la colpa? Me lo sono chiesto più volte in passato e ho fatto delle ipotesi, anche se mai troppo convincenti. È stato solo dopo avere concluso la realizzazione che mi sono reso conto che, pur avendo operato con grande libertà e senza mai respingere le suggestioni incontrate strada facendo, qualche censura l’avevo fatta. Ad esempio avevo escluso le interviste in cui alle mie domande sulle Surbiles mi rispondevano parlando di malocchio. Che c’entrava il malocchio con le Surbiles? Mi sembrava una divagazione eccessiva. Così, nella fase del montaggio, ho escluso quelle risposte che mi sembravano evasive. In realtà, lo dico a posteriori, non solo le Surbiles possono agire a causa della propria invidia, in questo caso per i bambini altrui e forse anche per la bellezza e la vita ancora tutta da compiere che è nei bambini, ma anche a causa dell’invidia diffusa, ovvero a causa di quel sentimento che nella società umana e come noi ben sappiamo anche nelle comunità sarde è uno dei mali più diffusi, più gravi e più distruttivi. L’invidia, ovvero l’oscuro fondamento di quella mancanza di coesione sociale che rende più deboli sia la comunità che tutti i suoi singoli componenti.

Alla fine si arriva a su ballu tundu, quasi un rituale magico, una liberazione catartica. Che significato assume nella narrazione del film? Ecco, il ballo tondo sta agli antipodi dell’invidia e della mancanza di coesione. È il momento meraviglioso in cui la comunità si ritrova finalmente unita in un solo cerchio. Tutti si danno la mano, tutti danzano la stessa danza e tutti assieme, anche senza parole, si elevano e tendono verso il cielo come le scintille del fuoco. Può darsi che anche all’origine del ballo tondo come in altri riti catartici fosse necessario il sacrificio di un innocente.

Surbiles è stato presentato alla prima mondiale al Festival di Locarno. Che tipo di reazione ha suscitato nel pubblico? Fino ad oggi ho avuto l’impressione di una accoglienza festosa, per qualcosa che riemerge dei nostri antenati che non abbiamo mai smesso di amare e della nostra cultura frettolosamente e forzatamente abbandonata e, forse, più in generale, per una ritrovata dimensione di quel mistero che da sempre accompagna l’esistenza dell’umanità.

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