IL CINQUANTESIMO ANNIVERSARO DEL ’68: ANCHE LA SARDEGNA A MILANO ALLA MOSTRA FOTOGRAFICA DI FAUSTO GIACCONE

Bono, comizio on. Del Rio

di Sergio Portas

Impazza e continuerà per tutto l’anno il cinquantesimo anniversario del’68. E chi se lo scorda più quell’anno? Ero militare di leva a San Giorgio a Cremano, ma Massimo Troisi che è di lì non l’ho mai incontrato, in libera uscita si andava a Forcella dove si mangiava la pizza più buona del mondo, e quella più a buon mercato, certe “entraneuse” dopo un paio di “lenti” si lasciavano baciare sulla bocca ( niente lingue però) anche dagli “aciesse” come me, l’acronimo ACS stava per allievi comandanti di squadra, due galloni neri sul braccio della divisa di panno grigioverde: caporalmaggiore. Sai che roba! Ma parafrasando l’Enzo Jannacci di “Per un basìn”, “alòra gàvevi vint’ann” (21 appena compiuti, per essere precisi) e anche io per un bacino: per on basìn/ mi saria partì soldato/ sarei andato a Como in moto/ poi saria tornaa a cà a pee. Il terremoto di magnitudo 6,4 colpì nella notte tra il 14 e il 15 di gennaio una vasta area della Sicilia occidentale. Scrive Paolo Rumiz:  “Belìce si chiamava la valle che da Salaparuta scende fino all’acropoli di Selinunte sul Canale di Sicilia. Belìce con l’accento sulla “i”. Poi venne il terremoto e la tv nazionale disse Bèlice, con quell’arretramento sulla “e” che divenne sinonimo di fallimento, e così la valle perse il nome, dopo aver già perso la memoria. Oggi, nemmeno i siciliani chiamano più il posto nel modo giusto, all’araba, dal nome antico del fiume – U-Bilìk – che scende con due affluenti gemelli dalla Piana degli Albanesi e Corleone”. Nostri reparti andarono a portare soccorso, quando rientrarono si portarono dietro i germi delle malattie di ogni disastro naturale, del sovraffollamento, della scarsa igiene, a me toccò in sorte la meningite. Passai l’anno a venirne a capo. La Galleria EXPOWALL di via Curtatone a Milano intitola una mostra fotografica di Fausto Giaccone: “ ’68 ALTROVE” e poiché quell’altrove sta per la Sardegna nostra corro all’inaugurazione il 25 gennaio scorso, una pioggia fastidiosa che rende sdrucciolevoli le rotaie del tram, e alle 17, 30 è già buio. Corro che credo di essere in ritardo ma ho sbagliato nell’annottarmi l’orario e quando arrivo non c’è letteralmente nessuno, tranne ovviamente i curatori della mostra e l’autore. Non avete idea di che specie di magica frase sia: “scrivo per un giornale sardo”: un interruttore che accende sorrisi. Alberto Meomartini e Pamela Campaner sono i padroni di casa ( e compagni nella vita), lui è membro del Consiglio di Amministrazione della LUISS Guido Carli di Roma e Presidente dell’Istituto di Economia e Politica dell’Energia e dell’Ambiente (IEFE) dell’Università Bocconi ed è Vice Presidente del MIP, la business school del Politecnico di Milano.Dal settembre 2012 è Vice Presidente della Camera di Commercio di Milano e dal gennaio 2013 è Presidente del Consorzio Speed Mi Up (Università Bocconi e Camera di Commercio di Milano). Dal 2009 al giugno 2013 è stato Presidente di Assolombarda. Del gruppo “Reviglio boys”, con i vari Tremonti, Siniscalco, Bernabé, alto dirigente di numerose aziende di Stato quali Snam, Eni, Italgas e Saipem. Mi chiede delle miniere di carbone del Sulcis e quando gli rispondo che sono oramai del tutte chiuse e che al carbone oramai crede solo Donald Trump, mi fa notare che i tedeschi si tengono ben stretti le loro miniere, con cui ancora alimentano le loro centrali. Fortunati che il loro  non sia pieno di zolfo, come il carbone sardo. Mi accenna ad uno dei tanti piani mai messi in opera nel Sulcis per la scarsa lungimiranza della classe politica isolana: “Noi (Snam, Eni, Ministero delle Finanaze?) pensavamo si dovesse investire nell’industria turistica, c’era un piano dettagliato che comprendeva nuove strade, anche un aeroporto, alberghi naturalmente, investimenti per miliardi seppur di vecchie lire… “. Tra un consiglio di amministrazione  del “Sole 24 ore” e la presidenza di Museimpresa, con Pamela Campaner dal dicembre 2015 apre Expowall, lei laureata in filosofia (Meomartini in “Bocconi” off course) ha sempre lavorato nel settore della comunicazione, anche visuale ,ufficio stampa e relazioni istituzionali per Confindustria negli ultimi dieci anni, a ridosso dei 40 anni decide che  è ora di cambiare vita. Da qui il progetto di fare della fotografia un prodotto che potesse attirare un pubblico colto, che trattasse la singola riproduzione, anche ad alta tiratura, un po’ come un prodotto di design: se tu ti compri una lampada di Artemide non ti poni il problema di quanti la possiedono, la compri perché ti piace. Dice Pamela. Rivolgendosi ad autori affermati, disposti a produrre fotografie da vendersi intorno ai 50 euro, un prezzo alla portata di tutti per un prodotto originale e di qualità. Quelle che espone oggi Fausto Giaccone sono emozionanti, specie per chi in Sardegna sia nato. Lui nasce nel ’43 in un paesino toscano vicino Livorno, ma cresce a Palermo, nel ’65 è a Roma alla facoltà di architettura di Valle Giulia, e il ’68 con l’esplodere della contestazione studentesca muta quella che prima era solo un hobby, la fotografia, in una scelta di vita e una professione. “Quando  “L’Astrolabio” (diretto allora da Ferruccio Parri) mi ha mandato in Sardegna nell’autunno del ’68 era la prima volta che ci mettevo piede. Viaggiavo su di una “cinquecento” e ci rimasi per tre o quattro giorni, non di più. Debbo dire che ne ricavai un’impressione che non si è mai più sbiadita, avevo 25 anni ed ero reduce da un viaggio nei paesi arabi, Egitto e Palestina, e  la fortuna dei principianti volle che i miei scatti fossero pubblicati da “Paris Match”, del resto era la prima volta che si potevano vedere in foto i campi di addestramento dei fedayn palestinesi. In Sardegna c’era lo stesso clima di “disperazione attiva”, la stessa tensione”. Titola l’Astrolabio: “Sardegna l’Autunno Rosso dei Pastori, da due mesi è esplosa nel Nuorese la collera popolare contro la violenza dello stato e l’inettitudine della classe dirigente regionale. Dalla Barbagia alla Baronia, dal Goceano alla Bassa Gallura, pastori operai e studenti sono scesi nelle piazze , hanno occupato i municipi, si sono scontrati con la polizia. Un fatto rivoluzionario, che rompe il cerchio del malgoverno e della repressione.” E poi le foto che oggi sono appese alla galleria di Porta Romana: la più bella di tutte: i visi in primo piano di ragazzi a capo scoperto che sfoggiano ciuffi di capelli neri e sopraccigli aggrottati, gli sguardi rivolti in alto, in secondo piano gli uomini, tutti con in capo “sa berritta”, espressioni ancora più serie, labbra strette all’ingù, a destra si intravvede anche qualche “muccadore” di donna. Stanno seguendo il discorso che dall’alto del balcone del Municipio di Bono sta tenendo il Presidente della Regione Giovanni Del Rio. Non sembra che stia riuscendo a placare gli animi. Tutt’altro. Poi due donne in nero sulle strade bagnate di Orgosolo, coi muri bianchi delle case a fare da quinta per un teatro del silenzio. I ragazzi del circolo giovanile di Orgosolo, il pastore che al circolo sfoglia il giornale Politico (L’unione Sarda ne avrebbe fatto la copertina del supplemento: “Album Sardo” la Sardegna raccontata dai grandi fotografi 1960/1970), una processione religiosa a Fonni, un uomo in costume con la mano a sorreggere il capo chinato, dietro di lui un muro con la modernità sbrecciata dei manifesti elettorali: la falce e martello del PSIUP (Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, per i più giovani) e siamo ad Oliena. Scrive Marco Delogu, direttore dell’”Italian Cultural Institute” di Londra: “…Cosa rimane del ’68 in Sardegna nelle fotografie di Fausto Giaccone? Per me la risposta è semplice, nessuna borghesia che scende in piazza contro i “celerini” del proletariato o sottoproletariato, per citare la famosa disputa pasoliniana, ma persone reali che cercano di capire come il lavoro e la società possono cambiare e come i beni di pochi possano diventare beni comuni: le scuole, la sanità, la redistribuzione dei redditi, la lotta alla mezzadria. Esiste un DNA sardo diverso dai tre DNA italiani…E’ un DNA alle volte difficile ma mai inafferrabile. Siamo sempre gli stessi sia in piena e deserta Barbagia, sia nelle varie città del mondo…”. Quel ragazzo che girava la Sardegna in 500 Fiat ne ha fatta di strada, e non solo in senso figurato, in cinquant’anni di professione, se ne è andato per mezzo mondo collaborando per le testate più prestigiose e disparate, italiane ed estere. Per lui veri e propri “luoghi d’anima”sono diventati il Portogallo dove ebbe il battesimo della Rivoluzione dei garofani nel ’75 e che rivisitò più volte in seguito, Berlino, scoperta quando cade il Muro, la Colombia rivista attraverso l’opera letteraria di Gabriel Garcia Marquez. In breve la galleria si riempie di professionisti della macchina fotografica che si fa fatica a girarsi, c’è il tempo di sentire Roberto Mutti, critico fotografico, giornalista e curatore indipendente di mostre fotografiche (ha firmato oltre 200 libri fra saggi, cataloghi e monografie), dire che nelle foto sarde di Giaccone si riesce ad intravvedere tutta la “testardaggine, dignità e orgoglio di un popolo”. Delle stesse aveva scritto tra l’altro: “ Leggere oggi queste immagini come documenti di un’epoca passata è senza dubbio lecito ma in fin dei conti riduttivo. Molto meglio considerarle come uno sguardo intenso e profondo sulla vita, sulle persone, sulle speranze che gli hanno accompagnati e che ancora gli accompagnano”.

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