UN PUGNO DOPO L’ALTRO SOGNANDO LE OLIMPIADI: IL TALENTO PUGILISTICO DI FEDERICO SERRA E L’OBIETTIVO DI TOKYO 2020

ph: Federico Serra e Domenico Mura

di Antonio Ledà

Il sogno è un biglietto per le Olimpiadi di Tokyo nel 2020, il modo per ottenerlo è continuare a menare le mani come sta facendo. Federico Serra, 24 anni, è uno dei talenti più puri del pugilato sardo. Un ragazzo che rischiava di perdersi come tanti coetanei meno fortunati e che ha trovato la sua strada salendo sul ring. Il merito è tutto di Domenico Mura, a sua volta boxeur di livello, che l’ha convinto a scaricare rabbia e frustrazione in palestra seguendo le regole di uno sport duro ma anche capace di regalare grandi soddisfazioni. Federico ci ha messo impegno e tante, tante ore di lavoro. Così quel biglietto non è più utopia perchè Serra è diventato un punto di forza della nazionale e Tokyo non è mai stata così vicina.

Cosa si prova nel vestire la maglia azzurra? «E’ un sogno che si è realizzato. Mi sono avvicinato alla boxe solo quattro anni fa e non pensavo di poter arrivare dove sono arrivato così in fretta. Le convocazioni in nazionale mi riempiono di orgoglio».

Siete appena rientrati da Firenze dove avete battuto la Croazia nel primo turno delle World Series. Un bel modo per cominciare la stagione. «Non è stato facile ma è andata bene. Abbiamo vinto per 3-2 e io ho portato il primo punto all’Italia. Adesso ci aspetta la seconda gara a Liverpool contro l’Inghilterra e poi chiuderemo il girone in casa contro la Francia. Non saranno match comodi ma valgono il passaggio ai quarti delle World Series e il pass per i campionati del mondo del prossimo anno».

Nelle World Series combattono insieme dilettanti e professionisti. Le è mai venuta la tentazione di trasformare la sua passione in mestiere? «In realtà il pugilato è già il mio mestiere. Da maggio dello scorso anno sono un effettivo dell’Esercito e faccio parte della sezione sportiva alloggiata alla Cecchignola».
Questo significa che non la vedremo mai sul ring a torso nudo. «Voglio essere sincero. Oggi nel nostro paese il professionismo non paga. Ci sono troppe incertezze e troppi rischi. E allora è meglio seguire altri percorsi. L’Esercito è una garanzia ed è anche una bella scuola di vita».

Ci racconta la sua giornata tipo. «Dormo in caserma, mi sveglio alle 7,30 e alle 9 sono già in palestra. Alle 12 c’è la sosta per il pranzo e alle 15 siamo di nuovo sul ring. Dalle 16,30 siamo liberi, ma alle 19,30 viene servita la cena. Io ho preso l’abitudine di andare a letto molto presto e così alle 21, spengo la luce e recupero energie per l’indomani».

Un’altra vita rispetto a quella – a volte anche spericolata – che conduceva a casa, tra Sassari, Ossi e Porto Torres. Decisamente diversa. Ma non mi pesa. Amo troppo la boxe è voglio arrivare il più lontano possibile. Il mio traguardo è Tokyo. E non per fare la comparsa».

Riesce a trovare il tempo per tornare a casa? Adesso sono qua. Torno più o meno una volta al mese e mi trattengo una settimana. Però non mi fermo del tutto. Domenico Mura non mi dà tregua e così continuo ad allenarmi nella sua palestra, il Boxing Club, con i compagni di sempre».

Federico che cosa conserva in bacheca. «Conservo due guanti d’oro vinti nel 2015 e nel 2016 e i titoli italiani categoria Elitè conquistati negli stessi anni. In carriera ho disputato una quarantina di incontri con un bilancio decisamente positivo. E so di poter crescere ancora».

Non ha disputato gli ultimi campionati italiani. C’è un perchè? «Perchè l’asticella si è alzata. I tricolori servono per mettersi in mostra e io ho già ottenuto la maglia azzurra. Adesso voglio di più. Il mio prossimo traguardo sono le Olimpiadi».

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