LA MINACCIA NUCLEARE RIGUARDA ANCHE NOI: NEL MONDO CI SONO 15MILA TESTATE ATOMICHE

di Marco Sarti

Viaggio in aereo da Roma a Santiago del Cile, pochi giorni fa. Papa Francesco è in volo verso la sua sesta visita in Sud America. Poco dopo il decollo il Pontefice tira fuori alcune fotografie e le regala ai giornalisti presenti. L’immagine è il simbolo del disastro di Nagasaki. Un bambino con il fratellino morto sulle spalle, vittima del bombardamento atomico, mentre aspetta il suo turno in un formo crematorio. «Ho davvero paura» rivela Francesco. «Questo pericolo esiste veramente, basta un incidente. Di questo passo la situazione rischia di precipitare. Bisogna eliminare gli armamenti nucleari». La denuncia del Santo Padre non è casuale. Una verità scomoda che apre una serie di timori tutt’altro che infondati. Anzitutto il Papa non parla per sentito dire. La sua presa di posizione è netta, segno che i rischi sono reali. La diplomazia vaticana lo aggiorna costantemente su quello che accade all’estero e al pari di molti leader mondiali conosce perfettamente la situazione internazionale. Lo scenario di una crisi atomica è uno dei pensieri che più lo preoccupano, non da oggi. Basti pensare che solo pochi mesi fa la Santa Sede ha organizzato un importante convegno sul disarmo nucleare.

Nessuno può considerarsi al sicuro. Si stima che in tutto il pianeta siano presenti circa 15mila testate atomiche. Di queste, poco meno di duemila ordigni sono pronti all’uso. Almeno nove Stati sono in possesso di armi nucleari. Stati Uniti e Russia, su tutti, che conservano nei propri arsenali oltre il 90 per cento di tutti gli armamenti. Ma anche Francia, Cina, Regno Unito, Israele. E poi India, Pakistan, più recentemente Corea del Nord. Ecco la prima grande incognita. Per anni il mondo ha vissuto all’ombra della Guerra Fredda. Eppure allora c’era una sorta di equilibrio globale: russi e americani si minacciavano a vicenda, consapevoli che l’attacco di uno avrebbe comportato la distruzione di entrambi. Una deterrenza nucleare che oggi, con il moltiplicarsi degli attori in campo, di fatto non esiste più. Intanto le armi atomiche restano veri e propri strumenti di pressione per plasmare a proprio favore gli equilibri geopolitici. Lo scenario internazionale si complica. Russia, Cina e Stati Uniti sembrano avviati sulla strada del riarmo. Preoccupano le tensioni nella penisola coreana e l’arroganza della presidenza Trump. Ma sollevano diversi interrogativi anche gli arsenali di India e Pakistan e la lunga contesa nel Kashmir. Il nucleare resta una minaccia silenziosa e tremendamente reale. A questi dubbi si aggiunge l’incognita del terrorismo. Pochi anni fa l’ex generale dell’Armata Rossa Aleksandr Lebed ha lanciato un allarme da brividi: con la dissoluzione dell’Unione Sovietica sarebbero sparite alcune armi nucleari miniaturizzate da un chilotone l’una. Ordigni della dimensione di una valigetta e dall’elevata potenza distruttiva. Drammatica verità o leggenda? E nel caso, oggi chi può mettere mano a quelle bombe? È una vicenda inquietante, resa ancora più sinistra dalla morte di Lebed, scomparso 2002 in un misterioso incidente aereo in Siberia.

In pochi ne parlano ufficialmente, ma la minaccia atomica non è mai stata così attuale. Non si spiega altrimenti la decisione di premiare con l’ultimo Nobel per la Pace l’organizzazione per il bando alle armi nucleari – Ican. Un’organizzazione no profit che raccoglie 406 partner in oltre 100 paesi del mondo, scelta proprio per «il suo ruolo nel fare luce sulle catastrofiche conseguenze di un qualunque utilizzo di armi nucleari e per i suoi sforzi innovativi per arrivare a un trattato di proibizioni di queste armi». Nessuno può dirsi al riparo, tantomeno l’Italia. Non tutti lo sanno, ma il nostro Paese ospita un gran numero di ordigni nucleari. Almeno settanta testate “parcheggiate” nelle basi di Ghedi e Aviano. Il tema non entra in campagna elettorale, gli accordi sono segretissimi. Di fatto siamo il paese della Nato che custodisce più armi nucleari americane sul suolo europeo. Senza peraltro averne in alcun modo il controllo. E non si tratta di vecchi arsenali da Guerra fredda: fonti più o meno ufficiali rivelano che l’amministrazione di Washington sta procedendo a modernizzare gli armamenti (da questo punto di vista l’avvento dei nuovi F-35 rappresenta una novità importante).

Recentemente il giornalista Jordan Foresi ha pubblicato La minaccia nucleare. Un bel libro che affronta la questione in maniera lucida e completa. «Mosca, Pechino e Washington possono trovare un equilibrio, ci sono troppi interessi in ballo» raccontava il giornalista Alberto Negri durante la presentazione del libro avvenuta pochi giorni fa al Senato. «Il problema sono quelle potenze meno controllabili». L’attenzione si sposta sulla regione del Kashmir. È il caso di India e Pakistan, due potenze nucleari che da tempo si confrontano in un crescendo di tensioni. Secondo le stime i due paesi possono contare su 100-120 ordigni nucleari. Si è già parlato del rischio terrorista e della possibilità che siano in circolazione “armi sporche”. Ma per essere preoccupati forse bastano le tante incognite sugli arsenali nucleari meno conosciuti, a partire da quello cinese. Nel frattempo, invece di diminuire, il club dei paesi atomici rischia persino di annettere nuovi soci. «Le potenze nucleari potrebbero presto diventare una decina» ha spiegato il giornalista Andrea Purgatori, anche lui intervenuto a Palazzo Madama. «Qualcuno crede che il Giappone stia seriamente pensando di dotarsi di armi atomiche. Secondo i calcoli, per produrre un’arma di questo tipo il governo di Tokyo impiegherebbe da 40 a 60 giorni. Un’accelerazione direttamente riconducibile a quello che sta accadendo nelle penisola coreana». E in effetti le ultime preoccupazioni sono tutte rivolte alla Corea del Nord. Il regime di Pyongyang è l’ultimo Stato ad essersi dotato di un ordigno nucleare. Anche in questo caso le informazioni scarseggiano. Di certo c’è la strategia di Kim Jong-un, un dittatore pericoloso ma tutt’altro che pazzo (come viene spesso dipinto dai media occidentali). La strategia del leader coreano è chiara e finora sembra anche vincente. Di fatto, ottenendo la disponibilità atomica, Pyongyang si è messa al riparo da possibili interventi militari americani. Ecco l’altra grande variabile. «La preoccupazione maggiore riguarda proprio Washington», ha spiegato il giornalista Giampiero Gramaglia, direttore di affarinternazionali.it. Il profilo del presidente Donald Trump non è particolarmente rassicurante. Una figura impulsiva e impreparata, vittima di un’evidente mania di protagonismo. «È un grande elemento di pericolo – così Gramaglia – che rende la situazione molto meno controllabile rispetto al passato». Papa Francesco se n’è accorto da tempo. E forse è il caso di prendere seriamente gli avvertimenti della Santa Sede.

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