L’ORA PIU’ BELLA: IL DELICATO PULP DI CATERINA SANNA

ph: Caterina Sanna

di Luca Mastinu

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“Tra le montagne sarde si espande, in un certo periodo dell’anno, un profumo di elicriso misto a una tramontana dolcissima e violenta che si abbatte tra le vette innevate dei cuori”.

Un tavolo immacolato, provato dagli anni ma immacolato. Una luce timida come un piccolo schianto di speranza nel buio di una sala silenziosa, avvolta in una notte che impera all’esterno come una madre forte, mai distante. In quella sala, al centro di una realtà creata dalle sinusoidi di un pensiero vivo e costante – quello incantevole che gli scrittori amano definire come il proprio mondo, custodito gelosamente nel labirinto di un cuore che pulsa più del solito – una tisana di salvia e limone adorna un suono. Sono battiti alternati a un fruscio. Una penna scrive, punteggia e scorre, guidata da una mano mai stanca di disegnare nuove storie. Inventarle, riscoprirle. A osservare quella mano incapace di fermarsi è l’autrice. Per un istante solleva lo sguardo da quei fogli, probabilmente accortasi della nostra presenza. Noi resteremo in silenzio.

L’AUTRICE  Caterina Sanna nasce nel 1991 e da quel lieto evento vive la sua Sardegna, la sua Orune, al centro della Barbagia. Muovendo i suoi primi passi tra i monti e gli alberi della sua terra si accorge, sempre di più, che un giorno dovrà raccontarla. Studentessa di Lettere all’Università della Tuscia di Viterbo, già dal 2011 aveva dato prova del suo talento da scrittrice partecipando al Certamen Deleddiano Nazionale e conquistando il primo posto con il racconto A Gonario, la nave che dava i passaggi a tutti. Nel marzo 2016 vede realizzata la sua prima opera, L’ora più bella, con Zènia Editrice. La Sardegna di Caterina è differente. La titanica importanza del classico, della Storia e del folklore, tra le sue mani, si rielaborano e si reinventano. Lo sguardo volge ora a Grazia Deledda, Premio Nobel per la letteratura nel 1926 che l’autrice omaggia ergendola a madre ispiratrice della sua arte; ora al vento di una terra che non è solo spiaggia, costa e mare, ma soprattutto roccia. Una roccia fiera e coraggiosa, una roccia che si scopre donna, grembo che accoglie e catechizza.

L’OPERA

Venus lughente ses istella,
sichi a mi facher alluma finas de arribare a bidda.
Ca su coro tenzo tanadu de timoria,
e candidu de dolores
.

Caterina accompagna il lettore e svela i suoi segreti, con inserti in cui racconta in quali circostanze sono nate le sue storie. Lo fa rendendosi amica e confidente, offrendo fiducia e confessandosi. L’ora più bella si struttura in quattro racconti. Il primo, La strana storia di Giorgio Bayre baronetto di Caputerra, nan’chi!, è una prosa composta e morbida, con schianti acuminati come la tempra severa di Bibiana, protagonista della narrazione. Personaggio romantico e donna di sangue blu, Bibiana decide di fuggire da un destino che il padre, Tziu Tòmas, ha già scelto per lei: sposare Gervaso Monne, uomo facoltoso che chiede la sua mano. Bibiana non ci sta, e una notte sale in sella alla sua cavalla Murribajia e decide di fuggire dalla sua sorte.

A tale ordine si divincolò come un’anguilla tra le mani del pescatore inesperto.

Le tiene dietro Lena, il suo cane, «amica e favoreggiatrice di ogni sua azione». Fuggire dalla sua Nuoro, subito. Bibiana è l’amazzone, l’eroina che sfida il mondo per salvarsi e rinascere. Parte così, in una notte, alla volta di Orune. Dalle prime luci del mattino alcune persone incrociano il suo cammino. Ella chiede loro informazioni, incenerendo con un “non è affar vostro!” chiunque le rivolga domande indiscrete. Prosegue algida e appassionata, Bibiana, fino a giungere alla locanda presso la quale cambierà la sua vita, grazie all’incontro con Natoreddha. Intanto, da Nuoro, già sono partite le ricerche per la figlia smarrita di Tziu Tòmas. Il passato remoto della scelta cronologica, delle antiche leggi e della toponomastica non impediscono di usare il vocabolo pulp per parlare di questa storia. I dialoghi tra Bibiana e i suoi interlocutori sono fluidi, feroci e intrisi di sentimento. Si ascolta la sua voce e si incontra il suo sguardo. Uno sguardo difficile da sfidare e sostenere. Il lettore assapora ogni scena, percorrendo assieme a Bibiana una Sardegna battuta palmo a palmo e descritta da Caterina come un universo fatato. Assistiamo ad albe e tramonti, chiudiamo gli occhi per lasciarci assalire dai profumi; li spalanchiamo, poi, per scorgere i colori genuini e incontaminati. C’è di più. L’autrice fa uso di apporti linguistici corredati con note a pie’ di pagina per facilitare il lettore alla fruizione della lingua sarda. Le espressioni in limba (lingua) rafforzano la forma e la sostanza della narrazione, senza lasciare spazio all’equivoco: Caterina vede i personaggi e li mostra a chi legge. Le 113 pagine non hanno resa, perché dopo il primo racconto si prosegue con La vita sempre sognata. Dal Diario di Annedda L. e Pensieri di una farfalla morta in un giorno d’ottobre. L’amore, in queste due novelle, è proposto da un singolare atto di dolore ridisegnato ora da parole imprigionate in una straziante risma gravida, ora da una farfalla. Un amore empatico, sofferto e intenso. L’amore che dà dolore, che toglie il respiro e che si disegna in sorrisi malinconici, accompagnati da silenti lacrime che solcano ogni ricordo. Un vento che irrompe sul viso, senza pietà. Caterina scrive di questo amore straziante con la sua eleganza. Parole da leggere lentamente, per non perdere alcun segno. L’opera si chiude con A Gonario, la nave che dava i passaggi a tutti, il tributo dell’autrice alla sua musa, Grazia Deledda, e la piccola perla che le ha conferito il primo premio al Certamen Deleddiano Nazionale. Una rivisitazione piena di affetto e venerazione della vita del Premio Nobel sardo. Il rispetto e l’ispirazione si manifestano nell’incipit, quando Caterina scrive direttamente a Grazia augurandole una buona lettura.

La sua delicatezza conquista e affascina e con essa la forma curata, la trama condotta in una salita dolce, anche quando si fa impervia.

LA SARDEGNA DI CATERINA Dalla lontana Viterbo, Caterina volge il suo sguardo verso l’isola e può scorgerla. Chiude gli occhi e ne sente i profumi; si concentra sull’udito e può ascoltare il mare, il vento e il suono della sua gente. Tutto ciò che la terra offre, tutto ciò che la terra vive lo si scorge tra le pagine dell’opera. Una Sardegna lontana dallo stereotipo delle cartoline, realtà digiune delle bellezze e del fascino dell’entroterra. Alle rocce e agli alberi, Caterina aggiunge un universo che diventa fiaba. Costumi, leggende e consuetudini di un tempo sono riproposte nelle gesta dei suoi personaggi. Forti, reali e unici. Un’opera singolare, che rende l’autrice una promessa della letteratura sarda destinata a una meritata elevazione. Si chiude l’ultima pagina e ci si sente completi, nutriti. Soprattutto, non ci si sente più soli.


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Un commento

  1. Antonella Sanna

    Ho letto il libro ed è veramente bello, mi piacerebbe avere altri lavori .
    Nuova promessa della letteratura sarda.
    Complimenti Caterina.

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