UNA SARDA A BAMAKO: ANNA LICIA MELIS RACCONTA LA SUA ESPERIENZA NELLA CAPITALE DEL MALI

ph: Bamako


di Brunella Scalabrini

I sardi sparsi nel mondo, per lavoro sono circa un milione e mezzo, nei posti più impensati e lontani. Anna Licia Melis è una di loro, attualmente traduttrice ufficiale presso il Console onorario italiano a Bamako, capitale del Mali. Il 19 novembre 2015, giorno dell’attentato terroristico in pieno centro, si è trovata, suo malgrado, in una situazione drammatica. Quella mattina mi chiama al cellulare: “Ciao sono Licia, fuori sparano, c’è molta confusione, sono al consolato e sto bene, ti darò notizie a breve”. Seguono giorni di confusione e apprensione, poi tutto finisce per lei senza complicazioni. Alcuni giorni dopo rientra a Cagliari, sua città natale. Ci incontriamo davanti ad una invitante tazza di the.

Anna Licia parlami della tu avventura. Perché proprio a Bamako? Cosa ci facevi? Sono andata in Mali nel 2013 per dirigere la scuola internazionale “Grain d’Eveil”per insegnare l’inglese come supporto della lingua ufficiale parlata in Mali, il francese, anche se la popolazione parla normalmente nella quotidianità il bambara.

Che dire di quei giorni? Eravamo all’erta da qualche tempo: il 1° aprile c’era stato un attacco terroristico in pieno centro a Bamako con 5 vittime. Il 19 novembre alle 7.48, via e-mail, dalla cooperazione italiana arriva il messaggio di ‘all’erta, attacco terra! Ammainare la bandiera, chiudere tutte le aperture e barricarsi!’. Ero solo nell’ambasciata con un guardiano di 72 anni. Cerco di non perdere la calma e di rassicurare telefonicamente i miei in Sardegna, mentre Loriana D’Embèlè Riccarelli, la 73enne madre del Console, mi rassicurava, a sua volta, con varie telefonate, esortandomi a non perdermi d’animo e, forte della sua esperienza come Console onoraria passata indenne attraverso tre colpi di Stato e varie sommosse popolari, mi rincuorava, sdrammatizzando la situazione. ‘Ho fatto provvista di whisky e carta igienica, basta averli e tutto passa’. E tutto è passato, finiti gli spari e le esplosioni è tornata la normalità.

Parlami della tua esperienza d’insegnante, e perché in Mali? Sono partita piena di entusiasmo per questa nuova opportunità di lavoro ricevuta via internet. Poi però mi sono sentita a disagio: l’istituto dove insegnavo era una scuola d’èlite. Le ragazzine, tutte di famiglie altolocate, venivano alle lezioni accompagnate dall’autista e dalle bonnies, dolcissime, educate, ma non molto coinvolte nello studio. Diverse da quelle che incontravo durante il tragitto, 3 km, per andare al lavoro: figlie del popolo che prima di andare a scuola portavano sulla testa un secchio di plastica da 5 litri, la provvista d’acqua per la famiglia. Mi stupivo nel vederle ridere e scherzare spintonandosi a vicenda senza far cadere una goccia del prezioso liquido, orgogliose, felici di essere utili. Così decido, alla fine dell’anno scolastico, di mettere a frutto le mie conoscenze di contabilità occupandomi della formazione dei giovani tra i 16 e i 22 anni da inserire nel mondo dell’imprenditoria. Insegno loro la lingua italiana con indirizzo giuridico. Così presso la N’Data Finances Service trascorro un anno intenso, ricco di soddisfazioni. Alla festa della Repubblica conosco il Console onorario italiano Daniel D’Embèlè, che mi propone di andare a lavorare con lui. Rifletto per alcuni giorni e accetto, anche se lo stipendio è molto inferiore al precedente, per me è comunque un balzo in avanti gratificante.

Di che cosa ti occupi ora, in pratica? Traduco dal francese i documenti amministrativi che arrivano al consolato per essere legalizzati dal Console: ricongiungimento familiare, richieste di cittadinanza, visti per lavoro e affari che la Francia non concede facilmente: eccessiva severità burocratica. Dal 2013 c’è una notevole richiesta di visti da parte di commercianti e imprenditori maliani che vengono in Italia per acquistare: bus, camion, pneumatici, piastrelle, mobili e generi alimentari vari.

Come sono i maliani? Un popolo accogliente nonostante un livello culturale bassissimo, fatte le debite eccezioni. A causa delle sommosse degli ultimi anni l’istruzione e le scuole sono state bloccate. Chi ha studiato l’ha fatto a sue spese nelle scuole private o a casa propria con docenti compensati con cibo e generi di prima necessità. Gli stipendi sono molto bassi. In Mali i prodotti italiani sono apprezzati e richiesti nonostante i concorrenti prodotti cinesi, di costo e qualità inferiori, siano più diffusi. Mi fa tenerezza veder vendere per strada nei banchetti improvvisati, dentro piccoli sacchetti da 150 grammi, la nostra pasta, troppo cara per loro. Chi può l’acquista in piccole quantità, almeno per nutrire i bambini.

Di cosa vive il Mali? Cosa produce? Dal sottosuolo si estrae oro, ferro, bauxite, diamanti, sabbia per costruzioni e altre importanti materie prime. Potrebbero vivere molto bene, ma tutto è in mano alle multinazionali e a poche famiglie straricche. A gran parte della popolazione restano solo le briciole.

Perché la Farnesina sconsiglia di recarsi in Mali? Nella regione del Kidal ci sono spesso scontri tra i Tamasheq una tribù di Tuareg berberi e gli jiadisti. Ma il resto del Paese cerca e vuole la pace.

Tornerai in Mali da Daniel e Loriana o rimarrai in Sardegna? Tornerò a Bamako, lì c’è il mio lavoro. Quello che faccio è apprezzato e considerato. Qui sarei una precaria insoddisfatta, alla ricerca dell’Arca Perduta. 

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