UN FUTURO COLOR ZAFFERANO: INTERVISTA AD ANTONIO MATZEU, PRODUTTORE NEL MEDIO CAMPIDANO


di Giulia Madau

Buongiorno Antonio e grazie del tempo che ci stai dedicando per raccontarci la tua esperienza di produttore di zafferano nel Medio Campidano. Partendo dall’inizio, qual è l’origine di questa spezia? Da dove arriva? Quando è giunta in Sardegna e soprattutto come è arrivata a San Gavino? Insomma, puoi raccontarci quale è stata l’evoluzione della sua coltivazione? L’origine dello Zafferano racchiude una storia estremamente affascinate perché è legata alla vita dell’uomo fin dalla sua antichità, ne ha accompagnato il viaggio e intriso i suoi costumi, i suoi miti e le sue leggende: lo troviamo menzionato negli antichi papiri egizi, nella Bibbia, nella mitologia greca e latina. Era già conosciuto e usato dai Sumeri nel IV millennio a. C., così come dai Babilonesi, dagli Assiri, dalla società cretese minoica e da altre grandi civiltà come quella Indiana e quella Cinese. Nei secoli, la cultura dello zafferano si è poi spostata per il mondo. Addirittura in Europa sparì quasi completamente con il crollo dell’Impero Romano d’Occidente. In Sardegna, come nella stessa San Gavino, la sua cultura venne quindi reintrodotta dai Monaci Basiliani durante la dominazione Bizantina (IX – IX secolo). E’ complicato, dunque, poter riassumere l’evoluzione della sua coltivazione anche solo in Sardegna, proprio perché si tratta di una storia lunga e antica . Basti pensare che il primo documento che attesta la presenza di estese piantagioni di zafferano in Sardegna risale al 1317 mentre la prima citazione documentale che riguarda lo zafferano prodotto a San Gavino Monreale è del 1573 . Dirò, per sintesi, che la sua storia è stata nei secoli varia e discontinua ma che anche in epoca moderna ha mantenuto una sua continuità nella comunità Sangavinese, adattandosi e ridimensionandosi ai nuovi contesti socio culturali.

Il paese di San Gavino è uno dei massimi produttori di zafferano in Sardegna e in Italia. Come e quanto incide la sua produzione in una realtà come quella di San Gavino? Quanti sono gli ettari coltivati? Quante le persone coinvolte? Quante aziende? Ci sono dei giovani che si stanno avvicinando a questo tipo di business? L’86% dello zafferano prodotto in Sardegna viene coltivato nel Medio Campidano ed esso ammonta al 66% della produzione nazionale. A San Gavino sono impiegati circa 30 ettari di terreno, vengono prodotti circa 200 chilogrammi di stimmi e le persone coinvolte sono all’incirca un centinaio di produttori circa. Sì, ci sono giovani che si stanno avvicinando a questa realtà per fortuna non tutti con la sola chiave di lettura del “business”.

Ci puoi spiegare come avviene tutto il processo di coltivazione? Dall’impianto alla vendita. Nel mondo, in Sardegna e nella stessa San Gavino ci sono metodi di coltivazioni che variano tra loro, c’è chi per esempio procede all’espianto dei bulbi una volta ogni quattro anni, c’è chi invece sceglie di farlo ogni anno. Genericamente i processi lavorativi si possono riassumere in:

1) Preparazione del terreno nella tarda primavera dell’anno in cui si intende impiantare lo zafferano;

2) Impianto dei bulbi da svolgersi tra la metà di Agosto e i primi giorni di Settembre, che avviene preparando dei solchi profondi una ventina di centimetri dove adagiare i bulbi per poi interrarli meticolosamente;

3) Giunge quindi la fase della raccolta dei fiori, che avviene ogni mattina nei gironi tra la seconda metà di Ottobre e la prima di Novembre. Il lavoro viene eseguito a mano ed i fiori raccolti vengono riposti in apposite ceste di vimini;

4) Durante la sfioritura, che consiste nella separazione degli stimmi rossi dal resto del fiore, il lavoro viene eseguito a mano e deve ultimarsi entro la sera;

5) Infine, si giunge all’essiccazione degli stimmi di zafferano. Questa può essere svolta o mediante appositi essiccatori ventilati, o attraverso la procedura più antica di essiccamento vicino al fuoco a legna. Anche quest’ultima fase deve essere condotta nell’arco della giornata.

Sono presenti delle attività collaterali legate allo zafferano? Attività in senso stretto del termine non tanto, ma sicuramente la sua cultura ha inciso collateralmente su altri ambiti della comunità, sia da un punto di vista di “narrazione sociale”, sia da un punto di vista identitario.

Secondo te c’è qualcosa che si dovrebbe fare per migliorare tutta la filiera? Oppure reputi che essa sia già soddisfacente così com’è? Come detto, la coltura dello zafferano ha radici profonde nella nostra storia. In quest’ottica la cosa che posso augurarmi per il contesto attuale è che ogni cambiamento sia orientato non solo ad un incremento del prodotto e ad una sua maggior distribuzione nel mercato, ma che questo avvenga nel rispetto di se stessi e della propria comunità. Vorrei, insomma, che ci si approcciasse alle nuove scommesse della società contemporanea con maggior eticità, giustizia e sensibilità sociale e ambientale, soprattutto in una logica di imprenditoria agricola che parte appunto dalla nostra terra.

Parlaci della tua esperienza e dell’associazione che avete creato… quali sono gli obiettivi, come lavorate, come vi promuovete, progetti futuri. Al momento non ci siamo ancora costituiti in un associazione. Abbiamo preferito iniziare lentamente, partendo – se mi consentite il gioco di parole – “terra, terra” dalla coltivazione del prodotto. Tante sono le idee che vorremmo sviluppare anche in parallelo alla coltivazione dello zafferano. Il ritorno alla “cultura della campagna” non rappresenta per noi un ipotesi meramente imprenditoriale, ma una scelta di vita a più ampio respiro, basata su principi di rispetto e sostenibilità. Conciliare questi principi alle logiche di mercato dei nostri tempi è una scommessa decisamente ardua, ma rappresenta sicuramente una battaglia che vale la pena combattere. Per il futuro ci auguriamo, quindi, di dare forma a questo nostro progetto e di poter crescere in tal senso.

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