LA STRAGE DI NIZZA: IL NUOVO TERRORISMO AGISCE NELLO SCENARIO INAFFERRABILE DI UNA GUERRA CIVILE ATOMIZZATA. E NON SI PUO’ BATTERE


di Francesco Cancellato

Era un franco-tunisino, noto alla polizia per piccoli reati, ma non per la sua radicalizzazione islamica, l’attentatore che ha seminato panico e morte sul Promenade de l’Anglais di Nizza, con un camion bianco. Una tattica terroristica, schiacciare gli infedeli con un mezzo di trasporto, che era stata teorizzata dalla rivista Inspire, vicina ad Al Qaeda, qualche anno fa, ma che richiama alla mente film come Duel di Spielberg, o videogiochi come Grand Theft Auto.

E questa è forse la cosa più paradossale di questa strage, il confine che varca. Che avrebbe potuto compierla ciascuno di noi, anche sprovvisto di un addestramento particolare all’uso delle armi. Bastava saper guidare, per compiere la strage di Nizza. E in fondo l’attentatore, per quel che sappiamo ora, era uno qualunque, almeno all’apparenza. E al pari della strage di Orlando, soprattutto, la sua azione sembra essere quella di un lupo solitario, che l’Isis non ha innescato, né armato. Probabilmente, nemmeno sapevano, a Raqqa, del suo progetto di morte.

Ed è questo l’aspetto più terribile e pericoloso di tutta la vicenda. Che non ci sono catene di comando che possiamo spezzare, azioni di intelligence che possiamo mettere in atto per prevenire, bombardamenti con cui possiamo rispondere. Se con Bin Laden e Al Qaeda avevamo coniato il concetto di “guerra asimmetrica” – un esercito, tanti eserciti contro una rete di cellule terroristiche – oggi siamo in uno scenario ancora più inafferrabile. Quello della “guerra civile molecolare” tra noi – nella più liquida accezione in cui si può definire una società – e una somma di individui che hanno trovato nell’Islam una via alla radicalizzazione, al nichilismo, alla distruzione.

Lo sappiamo, anche se facciamo fatica a dirlo: contro questo tipo di guerra non possiamo vincere se non snaturando completamente la nostra idea di sicurezza e libertà. Perché non potremo mai entrare nella mente di individui che odiano l’umanità, che sovvertono ogni ancestrale idea di autoconservazione di sé e della loro specie, di empatia nei confronti dei loro simili. Di gente che va a zig zag con un camion per schiacciare più bambini possibili. Senza che nessuno gliel’abbia chiesto.

Sono figli della globalizzazione, come noi. Non gente che da qualche villaggio ai confini del mondo sta cercando di combatterla. Il loro risentimento è individuale e nasce e si coltiva, tutt’al più in piccoli gruppi che ne alimentano odio e paranoia. Non hanno guerre da vincere, obiettivi da raggiungere. Le loro azioni iniziano e concludono la loro guerra personale. Da Orlando, a Nizza, da San Bernardino a Parigi è gente che «vuole vedere il mondo che brucia», più simili al Joker interpretato da Heath Ledger ne “Il cavaliere oscuro” o al guerrigliere urbano interpretato da Michael Douglas in “Un giorno di ordinaria follia” che al Mohamed Atta che prima di far cadere le torri gemelle alla guida di un aeroplano rivendica l’attentato in video citando sure del Corano. O alle vedove nere del teatro Dubrovka di Mosca. Non ci sono vergini per loro in paradiso. Solo sangue in terra.

E allora come vincerli? Vietando a noi stessi ogni occasione di divertimento collettivo, sia esso una partita di calcio, un concerto, una serata in discoteca o al ristorante, una maratona o una festa nazionale? Accettando di sacrificare completamente la privacy per tutelarci, fino a un certo punto, contro la follia individuale, che oggi imbraccia le armi e i camion e che domani potrebbe maneggiare virus o agenti chimici? Chiudere internet per evitare che questa ideologia del terrore si diffonda come un virus? Di tutte le distopie possibile che potevamo avere di fronte questa è la più pericolosa e inafferrabile. Perché il confine che ci separa da un altro individuo, qualunque altro individuo, non lo possiamo chiudere.                                                                                                                                                                              http://www.linkiesta.it/it/

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *