ATLANTIDE E LA SARDEGNA: LA TERRA DEI MITI E DEI MISTERI, AL CENTRO DEL MEDITERRANEO, AI CONFINI DELLA CIVILTA’


di Emanuela Katia Pilloni

Se la Sardegna è terra di miti e misteri lo deve probabilmente a quel suo essere, contemporaneamente, al centro del mediteranno e ai confini della civiltà. E se per il padre della storiografia occidentale, Erodoto, Hyknusa era l’isola più grande del mondo, nella mitologia greca essa era rappresentata piuttosto nelle vesti di una terra paradisiaca, benedetta da una divina eukarpia (abbondanza di frutti e prodotti), posta ai limiti della terra conosciuta, luogo ameno e incantato, più simile ad un parto della fantasia che non ad una realtà tangibile. Ma, è noto, i Greci erano egocentrici e nulla di ciò che di grande e bello l’orbe terrestre ospitava, reputavano loro alieno. E così anche i nuraghi altro non erano che “tholoi dalle mirabili proporzioni costruite alla maniera dei Greci”, progettate dal geniale Dedalo rifugiatosi nell’isola su invito di Iolao, il fido compagno di Eracle, a sua volta padre del mitico Sardus venerato ad Antas. Eppure pochi secoli dopo, per l’altro grande popolo del mondo antico, quello romano, l’antica Hyknusa “l’isola dalle vene d’argento” (un riferimento evidente ai bacini del prezioso metallo di cui era ricca) diventerà la malsana provincia di Sardinia, ancora ricca ma non più di miele e vino, quanto di pestilentia e latrocinia, terra d’esilio senza ritorno per i condannati ad metalla. Da paradiso a inferno nel breve volgere di qualche secolo

Sergio Frau. Possibile? Sì, a patto che si abbia l’ardire di riscrivere (o forse solo di rileggere con maggior attenzione e meno preconcetti) una significativa fetta della storia antica del bacino del mediterraneo. È quanto ha tentato di fare, sollevando un polverone, il giornalista Sergio Frau nel suo saggio divenuto bestseller “Le colonne d’Ercole. Un’inchiesta”. Un processo in piena regola agli storici e alla storiografia, rea di aver compiuto un misfatto che sa di sacrilegio, perché perpetrato contro l’operato di un dio: lo spostamento delle colonne d’Ercole! E ancor più di aver negato alla Sardegna il (sacrosanto) diritto di fregiarsi del titolo di candidata per eccellenza al ruolo di Atlantide.

Le colonne d’Ercole Ma perché le colonne di Herakles sono così importanti? È Platone, nel Timeo, a fornirci la risposta: “Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole, c’era un’isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. (…) In tempi posteriori (…), essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte (…) tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve.”. Nel racconto del filosofo greco la terra di Atlante (il titano che sorreggeva il mondo sulle sue spalle), era una potenza navale che conquistò molte parti dell’Europa occidentale e dell’Africa 9 mila anni prima il tempo di Solone(approssimativamente nel 9600 a.C.), ubicata oltre le celebri colonne. Stabilire l’esatta collocazione di questo limen, non è dunque cavillo ozioso, ma condizione necessaria per restituire una patria certa ad un continente mitico. Mitico, sì, perché già l’allievo per eccellenza di Platone, Aristotele, dubitava, per la mancanza di fonti anteriori al suo maestro, che l’isola fosse solo una finzione letteraria, interamente elaborata a partire da riferimenti mitologici e filosofici. Ma poiché il mito nasconde tra le sue pieghe incantate una verità storica, generazioni di studiosi o pseudo tali, si sono arrovellati nel tentativo di dipanare il mistero, collocando Atlantide nei luoghi più disparati (dall’Oceano Atlantico alle Americhe, dalla Terra del Fuoco all’India), ma tutti rispondenti a quell’unica indicazione geografica fornitaci da Platone: le colonne d’Ercole, alias lo stretto di Gibilterra. Almeno su questo tutti concordi. No, in realtà il problema nasce proprio qui. Mantenendo le colonne nel familiare canale tra l’Africa e l’Europa, andrebbero infatti riviste gran parte delle conoscenze geografiche degli antichi: l’Eridano (il nostro Po) sfocerebbe nell’Oceano del Nord, il Rodano nell’Atlantico, in prossimità delle cui acque si adagerebbe la Sardegna, e i Celti (che giunsero solo fino alla Francia meridionale), avrebbero dovuto colonizzare la Spagna oceanica. Un vero pasticcio, insomma. Ma se non Gibilterra, quale altro luogo del Mediterraneo offre un quadro d’insieme rispondente alle caratteristiche che gli antichi greci attribuivano alle colonne d’Ercole? Quale altro anfratto del Mare Nostrum si presenta “melmoso e poco profondo” tanto da essere ricco di secche che lo rendono difficilmente navigabile, che potesse essere percepito come limite del mondo per un greco dell’età di Erodoto (V secolo a.C.), rispetto al quale fosse rispettata l’indicazione di Dicearco (uno dei padri della geografia greca, vissuto a cavallo tra il IV e III. a.C.) per cui “dal Peloponneso è più lontana la fine dell’Adriatico di quanto non lo siano le colonne d’Ercole”? La risposta è presto data: il canale di Sicilia, poco oltre Agrigento, il punto più ad occidente dove i Greci siano giunti con le loro colonie. Il Tirreno era mare troppo ostile, infido e pericoloso, regno incontrastato degli altri grandi navigatori dell’epoca, i Fenici prima ed i Cartaginesi poi. Non desta meraviglia, quindi, che Sergio Frau ritenga di poter risolvere l’arcano, posizionando le colonne d’Ercole ben più ad oriente della canonica ubicazione sullo stretto: “Le ho rimesse dove iniziavano le terre di Eracle-Melquart, dio dei Fenici e dei loro mari, dove Sabatino Moscati diceva che iniziava la Cortina di Ferro dell’antichità, dove Esiodo mette la Soglia di Bronzo che divide il Giorno dalla Notte. Le ho rimesse al Canale di Sicilia: la zona blindata, la Frontiera, il Confine. Al di là di Malta c’era il Far West degli antichi Greci; i fondali infidi controllati dai Cartaginesi e dalle loro navi, vietati a chiunque Fenicio non fosse”.

Una nuova geografia Con questo riposizionamento delle colonne, se da un lato la geografia degli antichi riacquista tutta la credibilità perduta (venendo infatti a coincidere l’oceano Atlantico con il Tirreno, è plausibile la presenza celtica al di là delle colonne d’Ercole, quanto la prossimità della Sardegna all’oceano o lo sfociare del Rodano nell’Atlantico), dall’altro la Sardegna può riappropriarsi di quel ruolo da protagonista che la storia ufficiale le ha saputo (o voluto) negare. Ad essa spetterebbe infatti la più alta probabilità di essere alla base del mito di Atlantide: la grandissima isola dal clima mite, che offriva più raccolti all’anno, ricca di metalli preziosi, che regnava sui Tirreni (il popolo delle torri), dotata di un potentissimo esercito che si spinse fino alla conquista di Atene, e venne distrutta in una sola notte da un terribile cataclisma. Ora, non apparivano forse come torri i più di diecimila nuraghi che svettavano maestosi in tutta la Sardegna? Non era forse Hyknusa, “l’isola dalle vene d’argento”, generosa come poche di frutti e messi, la più grande isola del mondo per Erodoto? E non sono forse i sardi, secondo gli studi più recenti, quei temibili Shardana che col poetico nome di popoli del mare, tentarono di conquistare l’Egitto e posero a ferro e fuoco il bacino orientale del Mediterraneo, giungendo fino ad Atene, come sembra suggerire Platone per bocca di Crizia: “..ci fu un tempo più antico in cui gli eserciti di una grande civiltà venuta dal Grande Mare Occidentale invasero il nostro mondo tutto distruggendo e solo Atene si salvò”? E cosa, se non un terribile tsunami, avrebbe potuto causare la parziale distruzione dei nuraghi del sud dell’isola o la loro obliterazione con il fango, come avvenne per la reggia di Barumini, trasformata addirittura in un alta collina argillosa? Solo un’inondazione di proporzioni bibliche avrebbe potuto sancire la fine della paradisiaca e ferace isola di Eracle, decretando la nascita della malarica insula Sardinia, in cui le fertili pianure vennero soppiantate da vaste e malsane zone paludose, abbandonate da gran parte della popolazione alla ricerca della salvezza nelle zone più interne o in un esodo verso le coste orientali del Mediterraneo. Coincidenze, si dirà, forzature, indizi privi di attendibilità. Forse. Ma se pure le prove definitive dell’equazione Sardegna = Atlantide ancora mancano, la questione è molto più seria di quanto possa sembrare, se anche la politica isolana sì è affrettata a proporre un disegno di legge  per lo studio dell’epoca nuragica, nonché per “la eventuale validazione scientifica di aspetti mitico – leggendari, primo fra tutti quello legato all’ identificazione della nostra terra con l’Isola di Atlante” che, non sfugge all’attenzione dei promotori “avrebbero un valore mediatico di cui è persino difficile cogliere le potenzialità connesse con lo sviluppo economico e prefigurerebbe nuove situazioni davvero esplosive, in grado da sole di modificare gli scenari della crescita economica della Sardegna.”

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2 commenti

  1. una bellissima visione dei fatti atlantidei……..a me viene da pensare che sarebbe il caso di approfondire la materia.

  2. Cristian Palmas

    bellissimo articolo…
    l’ho letto con grande interesse. Complimenti.

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