AD ORGOSOLO, IL COMUNE DEMOLISCE UN’OPERA PERICOLANTE: SCONTRO SUI MURALES CHE RACCONTANO LA STORIA DEL PAESE


di Nicola Pinna

«Se i ragazzini sparano contro i lampioni o i cartelli, qui nessuno si stupisce. Ma i murales non si toccano. Anche i vandali li hanno sempre rispettati». Al bar non fanno lezioni di educazione civica. E il succo di questo discorso non è una semplice questione artistica: nella grande tela che si estende sulle facciate di Orgosolo c’è la storia degli ultimi cinquant’anni. Dell’epopea dei banditi, quella che ha attirato qui migliaia di turisti, c’è a malapena qualche ombra. Piuttosto, ci sono i riflessi pittorici delle battaglie giovanili contro le basi militari, le rivendicazioni delle donne, gli slogan contro le guerre e i messaggi lasciati da artisti arrivati in Barbagia da molte zone del mondo.  

Le strade di questo paese sono la grande bacheca dei pensieri della gente comune. E ora che uno dei muri colorati è stato abbattuto da una ruspa, gli orgolesi hanno perso un pezzo di cuore. «Stava cadendo, è vero, ma dovevano salvarlo a tutti i costi», grida dalla sua casa-museo, Maria Corraine. «Ci dispiace molto, era un ricordo della nostra infanzia – riflette Antonio Bassu, ex pastore che passeggia in centro -. Comunque ci possiamo consolare con gli altri trecento murales». 

Orgosolo da qualche mese è senza sindaco: travolta da un’indagine su un appalto, la giunta comunale ha gettato la spugna. E il commissario Felice Corda si è assunto il rischio di una decisione che poteva sollevare una rivolta. «Me l’hanno ordinato i vigili del fuoco. Ho chiesto il parere di una commissione di tecnici, non si poteva fare altro. Il muro rischiava di crollare addosso a qualche passante. L’opera era del ’77 e ormai era quasi del tutto scolorita». Del serpente che stritolava la gente, simbolo di un’economia troppo invasiva, restano per fortuna tante foto. In paese si pensa di chiedere al pittore senese Francesco Del Casino di fare una copia della sua opera. «Quando abbiamo iniziato con i murales – dice lui – non avevamo l’idea che rimanessero per sempre. Ora che sono diventati un’attrazione, bisognerebbe tutelarli. Se ne parla ma nessuno fa niente».  

Turisti tedeschi e di Rovigo si incontrano per caso di fronte al vecchio municipio, quello col portone crivellato di pallettoni. Fanno le foto a uno dei messaggi che da Orgosolo sono arrivati più lontano: «Concimi e non proiettili». La guida spiega che ora i murales rischiano di essere sbiaditi dalla pioggia e di crollare con i muri vecchi. «Siamo venuti per loro. Speriamo che questo patrimonio venga salvato».  

Sui muri di Orgosolo qualcuno cerca invano il ritratto di Graziano Mesina. All’ex primula rossa del Supramonte il paese non ha dedicato neanche un centimetro di queste grandi tavolozze. «Nessuno gli ha voltato le spalle, neanche ora che è in carcere – dicono al bar -. Non lo abbiamo difeso e non lo abbiamo scelto come simbolo». Sulle facciate delle case, tra vicoli e salite, si leggono i pensieri di Marx, Hegel, Lussu e Don Milani. Si ammirano opere dedicate al conflitto tra israeliani e palestinesi, alla morte di Carlo Giuliani e agli anni delle Br al dramma delle Torri Gemelle e alle storie degli emigrati del passato e dei migranti di oggi.  

Tutto è iniziato nel 1969, ai tempi della battaglia di Pratobello. L’esercito voleva installare in queste colline una base militare, il paese bloccò le strade. L’occupazione delle campagne durò tre giorni e i militari fecero presto marcia indietro. Nicolò Rubanu c’era: era il musicista del gruppo giovanile che organizzò la rivolta. Oggi gestisce un negozio di souvenir e accoglie i turisti suonando la fisarmonica: «I murales servivano per dare comunicazioni alla popolazione. Erano degli avvisi. Contava il contenuto dei messaggi, poi è arrivata l’arte. Ma non è un caso che non ci sia la firma di nessun artista di fama. Qui non le abbiamo mai volute le star». «I murales sono stati il nostro primo strumento di comunicazione di massa – aggiunge il bibliotecario Francesco Montisci -. Grandi bacheche per lanciare messaggi ancora attualissimi». 

Mario Rubanu è un architetto che ha vissuto per 40 anni in Lombardia, poi è tornato in Sardegna. La scritta «Orgosolo» in stile Coca-Cola l’ha realizzata lui, all’inizio della strada che porta a Nuoro. «Sarebbe bello catalogare tutti i murales e creare un percorso per i turisti. Bisognerebbe tutelare le opere e censirle, ma senza imporre vincoli ai proprietari delle case che hanno offerto i loro muri». «C’è un segreto che spiega perché i murales sono sopravvissuti per tanti anni – svela Giuseppe Musina, produttore di un cannonau che ogni anno raccoglie premi e nuovi clienti -. Il segreto è che sono nati spontaneamente e che hanno resistito senza regole. Incarnano il nostro spirito». 

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