GLI AMBULANTI DEL TORRONE DA TONARA SUL CARRO: IL PRIMO A DESCRIVERLI FU IL POETA PEPPINO MEREU


di Pier Luigi La Croce

Gli ambulanti del torrone partivano da Tonara con cavalli e carri carichi di mercanzie e arrivavano in quasi tutte le zone della Sardegna; tornavano a casa dopo settimane o addirittura mesi, solo dopo essere riusciti a vendere o barattare tutte le loro merci. Tornando in paese si ritrovavano con i parenti ed era una gran festa: essi iportavano soldi, provviste, merci varie e raccontavano le avventure del viaggio, i sacrifici, le angosce, le fatiche, riportavano notizie di avvenimenti lontani e davano testimonianza di modi di vita diversi. In tal modo si arricchivano di esperienze,  conoscenze ed amicizie, utili negli anni per costruire una clientela. Questa vita di fatiche è ben raccontata da Peppinu Mereu nel sonetto S’ambulante tonaresu

Cun-d-unu cadditeddu feu e lanzu

sa vida tua a istentu la trazas;

da una ’idda a s’atera viazas,

faghes Pasca e Nadale in logu istranzu.

 

A caldu e fritu girende t’iscazas

pro chimbe o ses iscudos de alanzu,

dae s’incassu de set-oto sonazas

chi malamente pagan unu pranzu.

 

Sempre ramingu sentza tenner pasu,

dae una ’idda a s’àtera t’iferis

abboghinende inue totu colas:

 

“Discos noos pro fàghere su casu

e chie leat truddas e tazeris

e pàlias de forru e de argiolas.”

Gli ambulanti di Tonara sono sempre stati legati ad alcuni territori e frequentano le feste di quei villaggi dove possono contare su una fitta rete di amicizie. Ancora oggi la maggior parte degli ambulanti sono uomini, ma non mancano le donne, per lo più vedove, che, nel passato, prive di mezzi di locomozione, si spostavano solo nei paesi vicini. Con l’arrivo della corriera (su postale) la situazione migliorò: potevano spostarsi anche verso paesi lontani. Fino agli anni Cinquanta e Sessanta del 1900, si praticava il baratto: per un chilo di torrone si ricevevano due misure di grano, per un chilo di formaggio bisognava darne uno di torrone.

Il torrone non viene commerciato tutto l’anno ma solo da marzo a ottobre. Da ottobre a dicembre i prodotti artigianali, la frutta secca e gli ortaggi. Capitava che negli spostamenti gli ambulanti venissero ospitati da parenti o amici, barattando il torrone per l’alloggio. La nascita della produzione industriale del torrone è legata alla famiglia Pruneddu che nel 1963 acquistò le prime due caldaie elettriche. Quella fu la svolta, a 60 anni dalla nascita della prima fabbrica, che permise agli ambulanti di dedicarsi esclusivamente alla vendita. Oggi la fabbrica Pruneddu è la più importante realtà produttiva tonarese e occupa una quarantina di addetti. Il torrone Pruneddu, che si vende in molti Paesi nel mondo, rappresenta il 50% per cento del torrone prodotto a Tonara e il 35% di quello prodotto in Sardegna. Nella fabbrica vengono impiegate una decina di macchine torroniere e nel periodo di punta (i mesi da dicembre a febbraio, aprile e poi da giugno a settembre) le operaie coprono due turni di produzione giornalieri. Il torrone, fino alla prima metà del 1900, si lavorava a mano senza impiego di macchinari. L’attrezzatura necessaria per la preparazione di questo dolce comprendeva:

su cheddargiu, grande contenitore di rame che veniva posto in un angolo della cucina;

sa mòriga, grande pala in legno di corbezzolo impiegata per la lavorazione della pasta che durava 3-4 ore secondo la temperatura;

una robusta tavola di legno fissata alla parete, che sovrastava su cheddargiu: al centro era caratterizzata da un foro per inserire sa moriga;

s’aturradore, tostino a mano della capacità di8 kg circa utilizzato per la tostatura della frutta secca;

is iscostadores, palette in legno necessarie per estrarre il torrone da su cheddargiu.

su bartzellonetavolo di legno con incavo circolare al centro per incastrare su cheddargiu.

orruos de alasi (rami di agrifoglio) combustibile necessario per accendere il fuoco;

I rami di agrifoglio erano raccolti dalle donne e venduti agli artigiani in cambio di alimenti di prima necessità (grano, olio d’oliva, formaggio). Il legno di agrifoglio è il più adatto alla cottura del torrone: non emette molto fumo e dà una fiamma costante. Per preparare il torrone si accendeva il fuoco e si aspettava che il paiolo di rame si scaldasse; a quel punto si versava il miele liquido. Se il miele era cristallizzato, le donne cominciavano ad alternarsi nel girare la pala di legno fino a quando non si otteneva un composto denso. Poi si aggiungeva l’albume d’uovo e da quel momento la pasta assumeva il colore bianco. Si continuava a girare per 3 o 4 ore; se il torrone era pronto lo si capiva prendendo un po’ di pasta tra le dita, assottigliandola e poi mettendola a contatto con l’acqua fresca della fonte; se al contatto con l’acqua si frantumava in tante piccole schegge il torrone era pronto. A quel punto si aggiungevano le mandorle, o le noci o le nocciole, che in tonarese sono dette su gìu.  Si continuava a girare fino a quando la pasta si amalgamava alla frutta secca. L’ultima operazione era quella di estrarre dal contenitore il torrone con l’impiego de is iscostadores, per metterlo nelle cassettine di legno o nelle scatole di cartone fiorite che si usano ancora oggi.

Gli ambulanti del torrone hanno caratterizzato l’economia del paese accelerandone la trasformazione ma hanno anche inciso nella cultura e nella lingua. Il rapporto, inteso anche come scambio culturale e non solo economico con altri centri della Sardegna, che ha portato alla creazione di una sorta di limba de mesanìa, non era limitato alla transumanza ma era reso più variegato grazie alla presenza di decine di carratoneris che si spostavano in tutta l’isola. Da notare che il termine carratoneri(deriva da carro e indica chi trasporta merci col carro) ha finito per connotare colui che conduce una vita nomade e vive quasi giorno per giorno, da cui la locuzione avverbiale a sa carratonera, in modo approssimativo ma anche creativo. Un altro elemento contribuisce a creare una certa originalità di espressioni del tonarese: l’uso di un gergo per comprendersi fra loro e non farsi capire dagli abitanti di altri paesi.

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2 commenti

  1. Una delle mie “madeleine de Proust”: era festa perché su turronaiu era arrivato. Ancora oggi…

  2. il sonetto di Peppino Mereu “s’ambulante torronaiu” è cantata dal coro maschile di Tonara”. Ogni volta che la sento torno indietro nel tempo quando, nel mio paese, si sentiva la voce di un uomo anziano che gridava ” e turuddas e talleris”. Il coro “Peppino Mereu”, che conosco molto bene, diretto da Gianni Garau è semplicemente splendido!

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