LAUREA AL DAMS DI BOLOGNA, STUDIA CINEMATOGRAFIA A ROMA, VINCE NEL 2004 IL DAVID DI DONATELLO COME REGISTA ESORDIENTE: INTERVISTA A SALVATORE MEREU

ph: Salvatore Mereu


di Simone Tatti

Salvatore Mereu, regista sardo, classe 1965, si laurea al Dams di Bologna, studia cinematografia a Roma, e dirige tre cortometraggi, prima di vincere nel 2004 il David di Donatello come miglior regista esordiente col suo primo lungometraggio, Ballo a tre passi, un film diviso in quattro episodi che dipinge in un modo nuovo e intenso la sua Sardegna. Nel 2008 ha portato al festival di Berlino Sonetàula, dal romanzo di Giuseppe Fiori, girato in due versioni, una per le sale e due puntate per la televisione. Nel 2010 realizza Tajabone, girato in una scuola media della periferia di Cagliari con attori gli stessi piccoli studenti. Costato solo 10.000 euro, alla mostra di Venezia vince lo Uk-Italy Creative Industries Award – Best Innovative Budget, il premio che si assegna al film più innovativo e di qualità in rapporto alla scarsità del budget con il quale è stato prodotto e il risultato ottenuto. Da ultimo Bellas Mariposas (2013), con Micaela Ramazzotti, tratto da un romanzo di Sergio Atzeni, presentato anch’esso alla mostra di Venezia, sezione Orizzonti, prodotto e distribuito dalla sua società Viacolvento, fondata dieci anni fa insieme a sua moglie, Elisabetta Soddu. Abbiamo incontrato Salvatore Mereu nella sua abitazione nuorese per discutere di Cinema, Giovani e Sardegna. Partiamo:

Come nasce il Salvatore Mereu regista? Non so se esista una data precisa, ho avuto la passione per il Cinema sin da ragazzo. Tuttavia maturai questa consapevolezza solo negli anni del liceo, a Sassari, quando iniziai a frequentare un cineforum e apprezzare alcune retrospettive di registi quali Truffaut, Rohmer, Bresson. Inizialmente l’idea mi parve talmente ambiziosa e addirittura un pochino sproporzionata rispetto alla mia formazione e al contesto dal quale provenivo che credetti prudente non raccontarla troppo in giro. Però fu in questa circostanza che iniziai a pensare a questo come un mestiere.

Come descriverebbe il suo legame con la Sardegna? Lo definirei ancestrale. Non riesco ad immaginarmi fuori dalla Sardegna e nonostante, per motivi di studio e di lavoro, abbia trascorso  diversi anni lontano da quest’Isola ho sempre saputo che ci sarei tornato per vivere.

Nei suoi film c’è sempre molto della Sardegna. Come sceglie le ambientazioni e soprattutto i romanzi da rappresentare? Effettivamente non ho mai girato niente che non avesse a che fare con la Sardegna, ma non è stata una vera e propria dichiarazione di intenti. Quando si è chiamati a raccontare qualcosa, come nel caso di un film, è bene che lo si faccia a partire da cose che si conoscono nel profondo anche se poi si sceglie di prenderle in prestito da un libro o da un episodio di cronaca.

In merito ai personaggi, invece, perché scegliere attori non professionisti? Anzitutto tengo a precisare che non tutti gli attori che scelgo per i miei film sono dei non professionisti. Io credo che contino molto le facce e quanto nei volti sia già scritta la storia dei personaggi che voglio rappresentare. Questa è la mia bussola e per questa ragione non sto a badare più di tanto ai curriculum dei candidati e, a meno che non vi siano chiari e inequivocabili segnali di inadeguatezza rispetto al mezzo, è difficile che torni indietro su una scelta.

Nelle ultime stagioni dall’isola vengono produzioni interessanti. Frutto di coincidenze o segno di un risveglio cinematografico? Non credo siano delle coincidenze. Credo che ormai si possa parlare di una realtà vitale, viva e variegata poiché esiste in Sardegna un gruppo di autori che sta dando prova di saper raccontare e rappresentare adeguatamente il mondo in cui è cresciuto. Ciò è frutto in parte di una legge regionale che ha favorito lo svilupparsi di produzioni indipendenti, in parte di un più elevato e affinato processo di scolarizzazione che ha consentito a molti giovani di intraprendere professioni che in passato parevano impraticabili.

Tempo fa  in un’intervista sul nostro portale, lo stilista Antonio Marras ha individuato lei come una delle più interessanti realtà emergenti nel campo delle arti figurative in Sardegna. Lei, invece, chi indicherebbe ? Mi lusinga veramente tanto che l’apprezzamento verso il mio lavoro venga da parte di un personaggio come Marras. È sempre molto complicato parlare di qualcuno perché poi si rischia di fare torto a quelli che non si menzionano. Non lo faccio per questioni diplomatiche ma poiché la circostanza, a volte, ti porta a individuare un profilo tralasciandone qualche altro. Io penso che in generale ci sia un grande fermento in tutte le arti  e i primi segnali sono stati dati dalla Letteratura e dalla Musica. Per quanto riguarda il Cinema, invece, posso dire che ci sono diversi giovani interessanti e che daranno, in futuro, grande prova di racconto.

A suo parere Film Commission e RAS fanno abbastanza per la promozione delle location da adibire a set cinematografici in Sardegna? Esiste o ha subito delle modifiche la Cultura del cinema nella nostra Isola? Se attualmente esistono delle produzioni cinematografiche che raccontano la Sardegna a fini non biecamente promozionali è per merito di alcuni strumenti legislativi posti in essere dalla Regione Sardegna e che hanno consentito a diversi registi di raccontare la nostra isola cosi come loro la sentivano e la vedevano dall’interno. Quindi, in questo senso, credo che la RAS abbia dato il suo contributo, anche se talvolta lo ha fatto in maniera poco convinta e discontinua. Per quanto riguarda la Film Commision, invece, reputo dovrebbe avere meno timore e dare maggiore spazio alle produzioni locali. Invece anche la film commission, come buona parte dei sardi del resto, tende a sopravalutare tutto ciò che viene da fuori. Quarant’ anni di promesse mancate e di cattiva industrializzazione non hanno evidentemente ancora insegnato niente.

Come vede il futuro del cinema indipendente nell’era del digitale? Lo vedo con grandissime prospettive di crescita. Il digitale ha attivato un processo di democratizzazione del Cinema consentendo un più agevole accesso alla professione. Ciò non può che essere di beneficio per il settore.

Lei è uno dei testimonial scelti per la presentazione del Distretto Culturale del Nuorese. Che opportunità intravede per il territorio in questa scelta che rimette la cultura al centro delle attività programmatiche nuoresi? Quando scelsi di continuare a praticare questa professione, aprendo addirittura una casa di produzione a Nuoro, avevo già in qualche modo abbracciato l’idea del distretto culturale. Ovvero, pensavo già esistessero quelle condizioni imprenditoriali, culturali e sociali che presuppongono la nascita di un distretto culturale. Se oggi anche le istituzioni reputano esistano queste condizioni e sono i grado di attivare misure e soluzioni che favoriscano scelte come la mia, non c’è che da salutare questa scelta con favore e rispetto.

Quale consiglio darebbe Salvatore Mereu ai giovani sardi che hanno voglia di lavorare in questo settore? Non perdete mai la capacità di sognare.

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