GIORNI D’AUTUNNO: SASSARI, LUCCA, BRUXELLES, LUCERNA, MILANO: OVUNQUE PER RIFLETTERE SU SE STESSI


di Mariella Cortès

Quanto amavo, da bambina, la sensazione delle foglie che accompagnavano i miei passi, quel soffice tappeto di colori e profumi che oscillava sotto i piedi, inebriandomi con una fragranza unica, quella dell’autunno.
La mia stagione preferita.

Non so se siano più i colori o il profumo intenso, uguale in qualunque posto ti trovi. L’odore di una natura che recita un momentaneo e accorato addio vestendosi, per quel requiem, dei colori più belli, come se fosse una passione attesa che merita un abito speciale.
Quello delle feste, della rinascita annunciata. Perchè dal rosso, dall’arancio, dal cremisi e dal violetto che pian piano si sfaldano sul terreno, rinascerà sempre il verde. Un’eterna speranza che si rinnova.

Come non amare una stagione che parla all’anima, annunciandone l’eternità attraverso il dono della natura?

Da bambina, sia durante gli anni dell’asilo che alle elementari, autunno significava corse forsennate dove l’obiettivo era sollevare quante più onde di foglie possibili. Lasciare che si infilassero tra i lacci delle scarpe, dentro le calze e sotto gli strati di vestiti e grembiulini. Correvamo, durante la ricreazione, in quel tripudio di colori che ci regalavano i castagni e gli ippocastagni del mio paese. O ritagliavamo le foglie, seguendone le geometrie e lasciando in evidenza solo lo scheletro.

L’autunno mette a nudo come nemmeno l’inverno, nel suo spogliare e aggredire con veemenza, sa fare. Perché ogni foglia svela la sua anima e puoi ritagliarla lasciandone in vista la struttura. Come una visione più profonda delle cose. Di noi stessi.

Autunno è perdersi nei pensieri, mentre il vento leggero e ancora non troppo freddo scombina i capelli e fa volteggiare un foulard.
Autunno, negli anni a Sassari, significava passeggiare lungo viale Trento e guardare gli alberi di noci e nocciole raccontare mille sfumature. Quante volte ho percorso quel tratto di strada solo per fissare nella memoria del ricordo quella sensazione.
Autunno, a Lucca, era una bicicletta che sfrecciava nel giallo abbagliante della passeggiata sopra le mura mentre i raggi di sole del mattino giocavano con le foglie ancora verdi.
Autunno, a Bruxelles, era la nebbiolina che si sollevava lenta, nel quartiere di Heisel, lasciando vedere solo la silhouette dell’Atomium. Le foglie si bagnavano e appiccicavano all’asfalto, come a guidare chi si perdeva, in quella sera che iniziava troppo presto, nei suoi pensieri.
Autunno, a Lucerna, sono alberi potati in maniera egregia, a renderli sculture contemporanee e perfette, nel viale che accompagna verso la cattedrale. E un profumo d’acqua, legno e foglie mentre si rilegge la storia della città nel suo ponte più famoso.
Autunno, a Milano, sono i parchi che diventano luoghi fuori dal tempo, è la natura che si riprende la città, rendendola incantevole senza chiedere nulla. Facendo risplendere i marmi delle facciate, rendendo misterioso un cancello art deco.

Autunno è riflessione su e di se stessi. In qualunque parte del mondo ci si trovi. È rendere più dolce ogni cosa, come un abbraccio tenero che, annunciando l’arrivo dell’inverno e delle giornate troppo buie e troppo brevi, racconta già di Primavere. E sorrisi. E pensieri che diventano leggeri. Come una foglia d’autunno, pronta a rendersi meravigliosa prima di un saluto che non è mai un addio.

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