LE FERIE ERANO SOLO D’ESTATE: RICORDI DI UNA VACANZA IN SARDEGNA NEL 1968


di Maria Tiziana Putzolu

L’odore dell’estate arrivava misto al profumo dell’erba dei prati vicini. Iniziavano i preparativi della partenza per le ferie in Sardegna. Le ferie, allora, erano solo d’estate. Quello era l’anno di una nuova versione della Fiat 500F. Grigia. Non un grigio qualunque, ma grigio topo. Che gli operai Fiat riuscivano ad acquistare con facilità di pagamento e qualche sconto particolare. Ci si stava comodi. In paese avrebbe fatto la sua figura. Incredibile la quantità di bagagli che riuscivano a farci stare dentro e fuori. Nel cofano. Nel portabagagli.

Le partenze avevano sempre il sapore di ghiaccioli alla menta. Quelli larghi a righe che si compravano per poche lirette nel bar della via, alla fine del marciapiede, dentro il quale si annusava il perenne ristagno dei fondi delle bottiglie di birra che usciva dalle tende a frange di plastica colorata.

Il viaggio verso il porto di Genova era colmo di ansia e trepidazione. Il cuscino per dormire ed il plaid, non si sa mai. L’odore dell’auto nuova provocava nauseabonde sensazioni. Scorrevano i paesaggi verdi da dietro i vetri posteriori. Le curve ad un certo punto sottolineavano che si era in Liguria, la discesa il porto. Il primo pezzo del lungo viaggio verso l’isola delle ferie era fatto. Al porto iniziava la magia dell’imbarco dell’auto. Pronte per essere issate sulla nave formavano un lungo serpente. I viaggiatori sotto il sole cocente di quel luglio del ‘68 provavano a trovare sollievo spiluccando qualche pera e bevendo acqua.

Alcune famiglie non avevano fatto il biglietto e avrebbero passato la notte in banchina per potersi imbarcare con la nave del giorno dopo. Molte delle auto in fila erano più grandi della 500F, avevano targhe strane, i sedili con ridicoli pellicciotti non si sa perché. Non erano turisti ma altri sardi che provenivano da Francia, Svizzera o Germania e tornavano in Sardegna per un mese. Carichi di ogni cosa. Come cioccolata, tanta cioccolata, sciroppi all’amarena, sigarette, miele, aromi per insalata e varie spezie considerate evidentemente molto chic. Da regalare ai parenti. Quando quegli uomini del porto dicevano che era ora di portare su l’auto iniziava lo spettacolo. Dai, avanti, andiamo!

E la 500F nuova veniva imbragata in questa grande rete di grosso cordame, racchiusa ed issata lentamente sulla nave. La vedevamo ondeggiare da terra verso la murata della nave. Attenzione, attenzione! Ma cosa fa quello! Poi adagiata incolume sul ponte superiore della grande nave Tirrenia. Fino al completamento del carico, tutte le auto erano state tirate su così.

Alla fine era arrivato il momento di salire sulla nave. Prese per mano, su una scaletta stretta e malferma sul cui fianco era scritto proprio Tirrenia. Che se riuscivi ad affacciarti vedevi il mare nero e speravi di non cadere, che lì mai avresti voluto fare il bagno. Un signore distinto in divisa bianca, sulla porta della nave, dava il benvenuto a bordo, controllava i biglietti e indicava la direzione delle cabine.

Fino alla partenza della nave si era passeggiato, ci si era seduti sulle panchine umide in legno. Le balaustre avevano ampie aperture, qualunque bambino sarebbe potuto cadere in mare. Faceva un po’ paura, in effetti. La notte era passata. Quelli che occupavano i letti superiori della cabina, chiusi da delle tendine blu, non avevano smesso di parlare. Un neonato aveva pianto tutta la notte. Ma alle sei del mattino, terra! La nave era entrata lenta in porto, la Fiat 500F grigio topo era stata di nuovo imbragata con quella rete enorme e calata sulla banchina del porto a Porto Torres.

L’odore del mare, del vento e della rugiada estiva era già felicità. Era un altro mare, era un altro sole, un altro cielo. Gli alti pini marittimi che fiancheggiavano la strada a tratti tortuosa che portava verso la pancia della Sardegna emanavano profumi incredibili. Finestrini aperti, foulard legati alla contadina per prevenire il mal d’orecchie. Quanto ci vuole ancora? Poco, poco, siamo quasi arrivati. Dopo quasi due ore di strada eccoci in paese. La lunga discesa, nonni alla finestra, baci e abbracci, come siete cresciute, brodo per rinfrancare dal viaggio.

Agosto era passato tra mare, conchiglie, Balla Linda e Azzurro. In vigna con nonno che ci portava con l’asino. Uva, susine e fichi dell’orto piccolo. Nell’altra vigna c’erano piante di mele piccolissime, molto dolci. La qualità tonda e quelle più allungate, rosa, ancora più buone. Potevi mangiarne quante volevi. Nonna le metteva per terra nel solaio e se non le mangiavi tu prima o poi le davano all’asino. Matrimoni estivi nei rustici non finiti, la festa al Carmine, notti passate all’aperto a giocare.

Ripartire era stato molto triste. Ci avevano salutato tutti, scesi sullo stradone nel pomeriggio assolato. Suonato il clacson quando la 500F grigio topo si era mossa. Aveva fatto la salita per uscire dal paese arrancando un po’, carica di ogni cosa buona da portare via. Sotto i sedili, sotto i piedi. Se smonti i pistoni ci stanno due mele! aveva detto zio, ridendo. Olio, soprattutto. Quello che il pediatra diceva che ci faceva bene più di una fettina.

Al porto di Genova, il primo di settembre, ci accolse odore di pioggia sull’asfalto grigio misto a quello delle raffinerie. Mettiamo la giacchina, che fa un po’ freddo. Qua è già autunno! Forse avrebbe fatto ancora caldo, quell’autunno. Le fabbriche avevano riaperto i grandi portoni. Presto sarebbe arrivata la prima nebbia. La neve sarebbe scesa in città e le luci di Natale accompagnato la magia dell’inverno. La strada del rientro non sembrava poi così lunga. E tornare a casa, alla fine, era anche molto bello.

Musica: Ho scritto t’amo sulla sabbia, di Franco IV e Franco I e Luglio, di Riccardo Del Turco.

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