PROTESTANO I DOCENTI SARDI MIGRANTI DELLA “BUONA SCUOLA”: IN SARDEGNA IL PROBLEMA RIGUARDA 4MILA PERSONE


Valigie, fazzolettini bianchi per salutare e striscioni per dire che c’è un’altra genìa di migranti, in Italia: gli insegnanti inseriti nelle graduatorie a esaurimento e quelli che hanno vinto il concorso nel 2012. Secondo la legge sulla “buona scuola” voluta da Renzi, infatti, circa 4mila insegnanti della Sardegna (100mila in tutta Italia), entro il 14 agosto 2015 devono compilare una domanda in cui indicano le preferenze fra 100 province italiane, scopo: essere trasferiti. Questa fascia di insegnanti ha tra i 40 e i 45 anni, non sono 24enni appena laureati col futuro tutto da costruire: sotto le finestre del consiglio regionale, si sono radunati i docenti che hanno portato appresso figli e genitori per “dimostrare” che qualche impegno nella vita oltre l’insegnamento l’hanno assunto e, perciò, essere trasferiti a Enna o a Pordenone, per un sardo che guadagna al massimo (proprio al massimo) 1.400 euro al mese, è un periodo ipotetico dell’irrealtà, uno scoglio insormontabile, un modo per dire “ok la famiglia va a ramengo”.

Perché i docenti sono sotto il consiglio regionale e non davanti alle belle finestre di Palazzo Chigi sede del governo quindi “posto di lavoro” del presidente Matteo Renzi? Perché gli insegnanti hanno qualcosa da chiedere alla Regione: che faccia sentire la propria voce a proposito di temi quali insularità e svantaggio geografico e almeno provi a imitare la determinazione e la forza che Trentino Aldo Adige e Valle d’Aosta, regioni a statuto speciale come la Sardegna, regioni dove gli insegnanti della stessa fascia dei 4mila sardi non hanno il problema di scegliersi una provincia in capo al mondo dove accettare di essere eventualmente trasferiti perché lì nomine e trasferimenti saranno gestiti con criteri interni autodeterminati.

In sostanza, gli insegnanti radunati sotto il consiglio regionale chiedono alla Regione un intervento forte, come, per esempio, presentare un ricorso alla Corte Costituzionale per far valere una serie di diritti ben garantiti dalla Carta fondamentale della Repubblica italiana.

Perché quello che probabilmente l’opinione pubblica non ha ancora avuto modo di mettere a fuoco è la feroce conseguenza di un rifiuto davanti all’obbligo di accettare di finire chissà dove: il docente che dice no nella pratica non verrà mai più assunto in una scuola italiana.

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