IL FALLIMENTO DEI “SARDEGNA STORE” DI MILANO, ROMA E BERLINO. IL COSTO? 4 MILIONI DI EURO


di Pablo Sole *

Le premesse non erano incoraggianti già dal nome, Sardegna Store. Che però proprio store non erano, visto che nulla vendevano malgrado l’alta propensione agli acquisti dei (delusissimi) visitatori. E i più scettici avevano arricciato il naso già quattro anni fa, quando ad aggiudicarsi l’appalto per l’allestimento e la gestione dei tre spazi espositivi che avrebbero dovuto promuovere le eccellenze isolane a Roma, Milano e Berlino, furono i siciliani di Novamusa. Gli unici, in questa faccenda, ad averci guadagnato: quattro milioni di euro, per la precisione. E legittimamente, sia chiaro. Chi rimane in braghe di tela è la Regione, che infatti ha deciso di abbassare le saracinesche e piombare i lucchetti, mettendo sul piatto altri 24mila euro per riportare arredi e oggetti d’esposizione in Sardegna.

Un buco nell’acqua dai costi proibitivi. A far di conto, spalmando i quattro milioni dell’appalto sui due anni di attività, gli store son costati circa 160mila euro al mese. Più o meno 5mila euro al giorno. I benefici di tale investimento però, rimangono ignoti. “Non hanno svolto le attività che potevano svolgere – commenta oggi l’assessore al Turismo Francesco Morandi – e non hanno assolto la funzione per la quale erano stati creati. L’idea di partenza era interessante, ma sul lato pratico non hanno reso quanto ci si attendeva”. Il titolare del Turismo della giunta Pigliaru se ne accorge in pochi mesi, al suo predecessore Luigi Crisponi non sono bastati un paio d’anni.

Vetrine sì (ma politiche) e consiglieri volubili. Dice la mera cronaca che l’idea dei Sardegna Store nasce con la giunta di Renato Soru, ma dopo la sconfitta elettorale è il centrodestra di Ugo Cappellacci a gestire tutta l’operazione, sotto l’egida dell’agenzia Sardegna Promozione. L’appalto viene pubblicato tre settimane prima delle Regionali 2009. Da notare, peraltro, che i 3,8 milioni dovrebbero coprire anche le spese per l’apertura degli store di New York e Francoforte, poi saltata. La prima inaugurazione – quella milanese – avviene il 18 febbraio del 2012. In prima fila l’assessore alla Programmazione Giorgio La Spisa e il collega di giunta Luigi Crisponi,costretti a subire le scomodissime domande di spietati giornalisti. “Si tratta di energizzare, di dare valore – esordiva l’allora assessore al Turismo –  alle nostre produzioni”, prima di pontificare sullo “spaccato sincero di Sardegna, di qualità, che potrà fare molto bene alla nostra terra”. In prima fila anche un consigliere di centrodestra che fino a pochi mesi prima parlava di “operazioni scandalose” e “soldi buttati dalla finestra”. Poi ha cambiato idea ed è partito per Milano. Negli store, peraltro, si sono registrate anche diverse attività (spesso con gli assessori regionali graditi ospiti). Le più gettonate: mostre fotografiche, incontri culturali e soprattutto luculliane degustazioni.

Il cielo (nero) sopra Berlino  “Abbiamo rinunciato a collaborare con il Sardegna Store, come Circolo, perché non facciamo le cose, con le nostre conoscenze, i nostri contatti e il nostro tempo libero, per altre persone che non sono capaci e che pure vengono pagate”. Così un anno fa riassumeva l’utilità del Sardegna Store di Hausvogteiplatz Alexandra Porcu.  Che poco dopo aggiunge: “[Abbiamo rinunciato a collaborare] anche perché una volta ho dato una mano a fare una proposta allo Store (ho sostenuto una richiesta fatta dal Circolo Sardo di Stoccarda) che fu interamente ignorata”. E questo malgrado nel 2012 l’assessore La Spisa avesse specificato che i Sardegna Store erano votati (anche) al servizio delle comunità dei sardi all’estero.

Come occultare i dati del (probabile) disastro. Eppure, per capire che qualcosa non andava per il verso giusto sarebbe stato sufficiente dare un’occhiata ai report sulle attività degli store preparati dagli uffici di Sardegna Promozione.Che sono riusciti nel pressoché impossibile intento di occultare, in 28 pagine zeppe di dati e tabelle, il numero di visitatori degli store. Un esempio su tutti. Degli avventori sappiamo sesso, età, titolo di studio, interessi. Ci dicono perfino che nessuno conosce quello spazio, visto che ben il 78% degli intervistati ci è arrivato casualmente o tramite passaparola. Ma sappiamo anche quale prima idea associano alla Sardegna (mare per il 40% degli interpellati, se ci fosse il bisogno di precisare; porceddu, emigrati, pecore e Mamuthones si devono invece accontentare dello 0.5%). Epperò manca sempre il dato fondamentale: quanta gente frequenta lo store, ovvero il primo indicatore dell’incisività e utilità del progetto. Niente di niente, neppure un accenno. Un indizio arriva però dal fatto che il 100% di chi ha varcato la soglia di piazza Diaz e ha meno di vent’anni, ad esempio, è maschio. In statistica, a meno che gli intervistati siano due o poco più, un evento pressoché impossibile. Fatto salvo il caso in cui il Sardegna Store di Milano fosse frequentato in pianta stabile da Belen Rodriguez i giorni pari e da Bar Refaeli i dispari. E questo, almeno dal report, non risulta.

* Sardinia Post

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Un commento

  1. Bravi parassiti come tutte le cose perché non li date in gestione ai circoli sardi sparsi nel territorio… lo farebbero sicuramente per molto meno e molto meglio..non a scopo di lucro…… come tutte le cose del resto…… PROBLEMA CHE NON ESISTE COMUNICAZIONE TRA, REGIONE E VARIE ASSOCIAZIONI AD ESSA APPARTENENTI….

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