LA QUINTA STAGIONE DI SALVATORE NIFFOI: A MILANO, UN INVITO A RITROVARE IL PARADISO SARDEGNA LASCIATOCI DAI PADRI

Paolo Fresu, Salvatore Niffoi e Geppi Cucciari alla Feltrinelli di Milano


di Sergio Portas

Per trovare posto alla “Feltrinelli” di piazza Piemonte oggi 6 di marzo bisognava arrivare un’ora prima. Troppi i big capaci di richiamare ogni tipo di pubblico:  sarebbe forse bastato il solo Salvatore Niffoi col suo ultimo libro: “La quinta stagione è l’inferno”, ma a fargli cornice c’erano pure Geppi Cucciari e Paolo Fresu ed allora tutta la milanesità ha sommerso d’onda più lunga la sardità che già si era allertata. E la piena ha dilagato con la gente in piedi che sussurra al passaggio della Inge Feltrinelli,nata Schonthal, la padrona di casa che con la sua presenza ha voluto sottolineare  quanto la casa editrice milanese punti sullo scrittore di Orani. Con Alberto Rollo, direttore letterario della Giangiacomo Feltrinelli Editore dal 2005, a spalancare le porte  agli ospiti venuti da Sardegna. Chissà se a ricordo di quella stagione strana in cui la politica italiana, simile a maionese impazzita, sfociò poi nell’incubo dei cosiddetti “anni di piombo”, e i GAP (Gruppi d’azione partigiana) fondati da Giangiacomo, cercarono sponde di insurrezione nell’indipendentismo sardo dell’epoca. E nel banditismo anche, che Graziano Mesina , in uno dei suoi periodi di latitanza ebbe diversi abboccamenti con Feltrinelli, sognante allora una Sardegna da tramutare in Cuba revolucionaria, lui naturalmente nella parte di Che Guevara. Erano gli inizi degli anni ’70 e solo due anni dopo il corpo senza più vita dell’editore milanese fu ritrovato sotto un traliccio di Segrate, attentato fallito dissero i nostri servizi segreti. I medesimi che avevano indirizzato senza dubbio alcuno nella pista anarchica le bombe di piazza Fontana. Questo rampollo della buona borghesia meneghina, villa Feltrinelli a Gargnano divenne durante il periodo della tragica “repubblica di Salò”, sede del governo fascista e ultimo eremo di Mussolini, scontò la follia di un’analisi politica che prevedeva un ritorno imminente del fenomeno fascista nell’Italia repubblicana. Da qui la Barbagia sarda come isola di resistenza per bande armate di “partigiani”. Anche il Bantine di questo libro se ne va latitante per non finire in galera innocente di un sequestro di cui niente sa. E fin qui davvero nulla di nuovo quale incipit di letteratura sarda, quasi uno stereotipo di weberiana memoria, un ideal tipo che non ha necessità di dettagli tanto è stato descritto da generazioni di scrittori isolani. Ma, al solito, è come segue la storia che fa un libro degno di essere letto con sospensione, con nascente desiderio di vedere come andrà a finire. Come dice Niffoi, bisogna saper viaggiare con ali di carta, viaggiare con le parole. E questo padre malfatato che torna a casa dal figlio con un proiettile in testa che sente farsi strada fino all’interruttore della sua ultima luce, ha bisogno di squadernare la sua vita sbagliata, non fosse per altro come monito di raddrizzare quelle degli altri. Meglio un cattivo padre che un non padre, per la vita di un figlio. “E dopo queste parole di speranza…” esordisce Geppi con il suo sarcasmo neppure troppo nascosto. Lei è a Rai 3, il sabato pomeriggio in una trasmissione oramai diventata di culto: “Per un pugno di libri”, presente il professor Piero Dorfles col compito di tenere alto il nome della letteratura, e con due classi delle scuole superiori che si sfidano l’un l’altra nella conoscenza di classici del novecento. Siamo alla quindicesima edizione.  E’ quindi da “vera esperta” che si lascia andare a dichiarare come nel leggere i libri di Niffoi si corra il rischio di intristirsi e amareggiarsi troppo. “Il “politically correct” in letteratura non vale” le risponde Niffoi, e coi buoni sentimenti a condire le pagine, di un libro difficilmente si supererà la pagina uno o la 17 , baluardo destinato a decidere di continuarne o meno la lettura. Questo libro è nato nella piana di Ottana, dove la Sardegna talvolta esplode nei colori e nei profumi più intensi, coi prugnoli in fiore,la cannabis a confronto è un’aspirina, e quei quadri di vita vissuta che ti passano davanti appena apri una finestra di casa. Pag.1: “Mio padre è tornato a Maragolò un pomeriggio d’estate così rovente che i cani non avevano la forza di alzare la zampa per pisciare. Il tempo scorreva lentamente dal tubo di ferro arrugginito dalla fontana di Su Cantareddu”. E a pag.17: “ Mia madre lo teneva per le caviglie e piangeva a corrochinu lamentandosi. “Ihii, deus meu caru, come ti hanno conciato! Ohiii, vai che già ti hanno conciato bene!” Vedete voi se vale la pena di continuare… Paolo Fresu è qui a Milano anche per festeggiare i suoi  trent’anni di vita col suo “Quintet jazz”, il “Blue Note” è esaurito per le tre notti di esibizione. Un sodalizio di incredibile vitalità che ha prodotto dischi e performance indimenticabili. Brandisce il suo flicorno Paolo e si lascia andare ad una lunghissima nota come solo lui sa fare, lasciando che ognuno del pubblico se ne faccia risveglio dell’anima e ci legga dentro le risacche di Cala Luna o quelle sirene della Tirrenia che  avvertivano i non muniti di biglietto che era venuta l’ora di abbandonare la nave, in partenza per il favoloso “Continente”. E di dare l’ultimo bacio ai parenti. In realtà essere qui ad ascoltare questi tre artisti è un vero spasso, Paolo è il più silenzioso , quasi intimidito dall’infinita facoltà di narrazione che sfoggia Salvatore, nel raccontare e raccontarsi, infarcendo il suo dire con una serie di aneddoti di vita vissuta che sono il sale del suo presentarsi. Come quando si è innamorato e già allora pareva molto più anziano della fidanzata (pari babbu du) che pure lavorando ancora oggi all’anagrafe di Orani gli ha regalato una decina di centimetri in altezza, almeno sulla carta. O quando magnifica il suo orto, dove ha due pozzi d’acqua perenne anche in agosto, uno scoperto da poco all’estirpazione di un noce centenario che faceva troppa ombra ai pomodori. O quando parla del fratellino suo, nato dopo otto aborti di mamma , quattordici anni dopo di lui, che non ha mai letto neppure un Tex Willer e non sa dunque quanto di bello si è perso in questa vita. E’ un torrente in piena Niffoi quando dice di Sardegna e di quanto la stiano maltrattando i residenti. Si è vergognato a morte con quelli di Rai Due che doveva accompagnare sui terreni della transumanza, per un documentario: ogni sorta di porcheria buttato a discarica improvvisata, dalle gomme delle macchine alle batterie scariche, fino ai prosciutti andati a male. Quel paradiso che è la Sardegna lasciataci dai nostri padri, lo stesso paradiso che vanno cercando i turisti che vogliono quei fichi di quel tale paese o il pecorino di quell’altro. Il locale che si fa globale, anzi come dice Niffoi: il locale non si deve far fottere dalla globalizzazione. Da qui l’esigenza di usare la scrittura ad eterno esempio di come sia possibile cambiare uno stato di cose poco esaltante. Che spinge i giovani a vergognarsi di lavorare con le mani, e preferire l’eterno mugugno all’impegno in quello che i sardi hanno fatto da sempre: lavorare la terra, allevare bestiame, costruire artigianato di pregio. Nello scrivere i suoi libri Niffoi è circondato dalle sculture policrome che si diverte a creare, dai libri e dalla musica. Migliaia di statuine e migliaia di libri, un terremoto improbabile lo vedrebbe sepolto da una tale massa ma non gli dispiacerebbe neanche tanto di poter finire così, leggendo al buio. Non è gran credente Niffoi, dice di sentirsi affine al Padre Brown creato dalla fantasia di Chesterton, pochissime certezze e ricchissimo di dubbi. Certo gli piacerebbe andare in un paradiso che somigliasse alla sua terra, continuare a vedere le poiane come fa oggi dalle finestre di casa, magari essere sepolto sotto un melograno, come vuole Bantine l’ultimo eroe della sua straordinaria odissea letteraria. Che ha voluto tornarsene a casa a morire, a rivedere gli occhi di quel figlio che aveva lasciato neonato, quegli occhi ambrati come quegli smalti che si usano nelle brocche per conservare l’acqua fresca nelle campagne e an
che nelle case di paese.

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Un commento

  1. Ohi ohi ohi che mi son persa!!!
    Ad affondare il coltello la frase sul politicamente corretto che in letteratura non deve assolutamente esistere! Ne sono più che convinta, non bastano i bavagli che già abbiamo?
    Grande Niffoi, un grande sardo in più!

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