STAR BENE INSIEME E' IL NOSTRO SEGRETO: INTERVISTA A STEFANO SARDARA, PRESIDENTE DELLA DINAMO SASSARI DI BASKET

Stefano Sardara


di Nicola Muscas

 “In questa fase, se mi metto a tirare dalla vasca da bagno comincio a mettere delle triple pure io”. Scherza Stefano Sardara, ma nelle sue parole c’è tutto il momento d’oro della Dinamo Sassari , che dopo la conquista della Coppa Italia ha cambiato passo in Italia e in Europa. Eppure Vanuzzo e compagni si erano presentati a Milano per le finali con una serie di brutte sconfitte sul groppone. C’è chi dice sia successo qualcosa, nello spogliatoio, durante l’intervallo con l’Armani. Ma secondo Sardara la svolta è arrivata una settimana prima, dopo il k.o. di Pistoia.

Presidente, cosa vi siete detti? Sono volati gli stracci. Ma abbiamo fatto come si fa tra amici veri: ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti tutto quello che non stava andando.

E cioè? È la testa che fa la differenza. Quando parlo con i più giovani della squadra, o con gli americani, cerco sempre di trasmettere il senso della nostra diversità: come popolo, come isola, come realtà societaria. E questa nostra differenza deve vedersi nell’approccio con cui scendiamo in campo. Da noi è fondamentale una cosa che nelle altre squadre magari non è neanche al decimo posto.

Cosa? L’ambiente. Quando veniamo da trasferte lunghe otto giorni, la sera siamo comunque di nuovo insieme. Stare bene insieme, è questa la nostra forza e non dobbiamo dimenticarlo. E poi era fondamentale spazzare via quel clima da “vorrei ma non posso”. Abbiamo visto nella prima parte della stagione sprazzi di gioco di alto livello, ma non riuscivamo a esprimerci con continuità. E in questo è stato straordinario Meo Sacchetti, l’allenatore, che ha continuato a credere nel suo metodo dimostrando che funziona, senza cercare scorciatoie. Poi forse è vero che con l’Armani è scattata qualche molla.

Dal punto di vista tecnico? Sì, dinamiche interne alla squadra. Abbiamo sino all’ultimo provato a mettere dentro anche Drew, ma a dieci minuti dall’inizio della partita non ce la siamo sentita di rischiarlo. È stata una doccia fredda e i ragazzi ne hanno risentito. Forse è per questo che Milano è partita meglio. Ma nell’intervallo la squadra ha fatto quadrato e loro hanno dato per vinta la partita troppo in fretta. 

È una Dinamo con una consapevolezza nuova? Sì, perché la vittoria legittima le buone idee. Tutti ci riconoscevano una gestione societaria intelligente e un modo brillante di giocare. Ma sinché non vinci sono solo parole. Bravo Meo a non mettere in discussione il proprio credo. La Coppa Italia e il passaggio agli ottavi di Eurocup ci hanno trasformato da carini e coccolosi a vincenti. Ma non dobbiamo commettere l’errore di sentirci arrivati, e da come la squadra ha giocato anche domenica non mi sembra ci sia il rischio.
A questo punto è inutile nascondersi dietro a un dito: parole come scudetto o Eurocup non possono più essere tabù. Abbiamo già raggiunto due obiettivi su tre in questa stagione: migliorarci in Coppa Italia e andare avanti in Eurocup, ora dobbiamo migliorare in campionato andando oltre il primo turno di play off. 
Dalle questioni di campo alle questioni del campo: è vero che il sogno è un nuovo palazzetto? Per questioni economiche le istituzioni non possono permettersi un nuovo impianto, ma possiamo allargare le due curve e guadagnare mille posti per la prossima stagione. 

Si dice che la Dinamo sia il Cagliari del basket, magari è meglio che il paragone non regga quando si parla di impiantistica… Per fortuna non abbiamo le stesse difficoltà, il PalaSerradimigni è una vecchia signora, ma ancora bella. Diciamo che basta solo un piccolo intervento di chirurgia estetica.

Un consiglio a chi, in Sardegna, vuole investire nello sport. Prima cosa: guardarsi allo specchio ed essere convinti di amare la squadra che si sta comprando. Se c’è la passione allora si può andare avanti, ma senza fare il passo più lungo della gamba. Quando ho presola Dinamo ho messo in chiaro da subito che non garantivo la permanenza in Lega A. Poi siamo stati fortunati e bravi, e Meo ha fatto un lavoro straordinario. E se non ce l’avessimo fatta, Sassari avrebbe comunque mantenuto la sua squadra e ci saremmo divertiti in Legadue. Ma è la passione il primo requisito, quella che ti fa lavorare 12 ore al giorno.

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