AD ORISTANO, CONCLUSI I SEMINARI DI INTRODUZIONE AL GIORNALISMO CON FERRUCCIO PALLAVERA, DIRETTORE RESPONSABILE DEL "CITTADINO DI LODI"

da sinistra: Marco Piras e Ferruccio Pallavera


di Gian Piero Pinna

Con quello del 6 dicembre, si è concluso il ciclo di quattro seminari di introduzione al giornalismo “Impariamo a comunicare”, organizzati da  L’Arborense, dall’associazione Oristanesi, dall’Arcidiocesi di Oristano e dall’Università di Oristano. Dopo gli incontri dedicati alle nuove tecnologie e al ruolo dei media in occasione della visita del Papa in Sardegna e alle potenzialità della Tv, come strumento utile nel panorama delle comunicazioni sociali, è stata la volta del direttore responsabile de “Il Cittadino” di Lodi, Ferruccio Pallavera, che ha  parlato della sua esperienza come direttore responsabile de “Il Cittadino” di Lodi e ha spiegato quale sia l’importanza per la stampa diocesana, del legame con il territorio.

Come le altre tre, la conferenza si è tenuta nella sede universitaria del Consorzio Uno, in via Carmine ad Oristano e ha avuto inizio alle 19,20. L’argomento trattato dal direttore responsabile de “Il Cittadino” di Lodi, si è basato prevalentemente  sulla sua esperienza alla guida del quotidiano lombardo, un giornale che dal 1878 al 1980, ha avuto una cadenza settimanale, diventando poi bisettimanale, per trasformarsi in quotidiano dal 26 gennaio 1989, esteso sul territorio diocesano tra  il Lodigiano e  a Sud della provincia di Milano, con un bacino di utenza di oltre trecentomila persone e una media giornaliera di ottomila copie vendute. Ferruccio Pallavera, è stato assunto al “Cittadino” nel 1982 ed è stato il primo ad avere un contratto di lavoro; in precedenza il giornale si reggeva solo sul volontariato, mentre oggi i giornalisti della redazione sono 21 e 12 gli altri dipendenti che si occupano di amministrazione e pubblicità. 

Ha introdotto la conferenza e moderato il dibattito, il direttore de L’Arborense, Marco Piras. Ferruccio Pallavera, nello spiegare l’importanza del legame con il territorio per la stampa diocesana, si è posto alcune domande alla quale ha cercato di dare delle risposte esaurienti, col suo linguaggio molto accattivante e schietto. Per prima cosa si è chiesto: “Quale futuro per i giornali di carta?”, e ancora “quale futuro per la stampa cattolica? Riusciranno i giornali cattolici a conquistare lettori?”. Il quotidiano che dirige, è  uno dei tre quotidiani cattolici in Italia, gli altri due sono Avvenire e l’Eco di Bergamo, ma la sua analisi è stata impietosa e quasi irriverente nella sua schiettezza e ha fatto una premessa molto importante, quando ha detto che “il ruolo del settimanale cattolico, è quello di raccontare il territorio, ma – ha spiegato – questo non è un consiglio, è solo una mia testimonianza diretta, perché ogni terra ha una sua peculiarità. Il numero dei lettori della carta stampata, sta diminuendo ovunque, Internet rischia di far declinare irrimediabilmente i giornali. In Italia, i quotidiani vendono molto di meno di quanto dichiarano e questo, ovviamente, incide sulla raccolta pubblicitaria. È opinione comune – ha continuato – che la pubblicità sui giornali, non tornerà più ai livelli precedenti la crisi”. Nella sua analisi, Pallavera cerca di spiegare anche il perché i giornali siano in difficoltà e lucidamente afferma che “Internet, fornisce le notizie in tempo reale, mentre quando arrivano sui giornali di carta, sono già vecchie; a salvare i giornali cartacei sono solo le grandi firme, ma non tutti possono permettersele. Ho i miei dubbi che i giornali cartacei potranno sopravvivere a lungo in queste condizioni – ha precisato – mentre sono sicuro che quelli locali avranno ancora futuro, perché le notizie che forniscono, non verranno mai pubblicate dai giornali nazionali. Inoltre i giornali locali, rappresentano l’identità di una terra, le loro radici, la loro storia”. Riferendosi ai giornali cattolici usa la parabola del Figliol prodigo e del Buon pastore e si lancia in una filippica affermando che “I nostri giornali, li dobbiamo far leggere al figlio prodigo e non a quello che già li legge; lo dobbiamo fare per la pecorella smarrita e non per quelle che son rimaste. Il più delle volte li scriviamo per chi va in chiesa e per le altre notizie restano solo le ultime due pagine. Il più delle volte sono degli autentici megafoni dei vescovi e dei sacerdoti e così rischiamo che i nostri giornali parlino a se stessi e non agli altri”, in poche parole, Pallavera afferma che molti giornali cattolici tendono a diventare dei bollettini ecclesiastici e parrocchiali, mentre invece devono dare spazio agli altri, parlando il linguaggio del vicino che vive nella porta accanto. “Bisogna dibattere i temi locali – chiosa – perché chi fa i quotidiani nazionali, non ha il tempo di riflettere sulla notizia”.

È seguito poi un dibattito molto interessante, suscitando interrogativi che spesso hanno avuto delle risposte inaspettate, indirizzate anche agli stessi rappresentanti 

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