I VALORI DELLA BRIGATA SASSARI: IL RECUPERO DELLA MEMORIA SOCIALE DEI SARDI COME ESORTAZIONE AL CAMBIAMENTO

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di Maria Adelasia Divona

Il manifesto per il riscatto della Sardegna di Mauro Pili nasce da una sua personale riflessione seguita alla commemorazione dei caduti della Brigata Sassari sul Monte Zebio organizzata dall’Associazione “Un ponte tra Sardegna e Veneto” nello scorso mese di luglio, a dieci anni dall’inaugurazione di quel cimitero voluto da lui, allora Presidente della Regione Sardegna, e dal Generale Pino, allora in carica come 34° comandante della Brigata Sassari.

Mauro Pili è un politico che, nel dipanare il suo percorso, le sue strategie e azioni politiche, si pone per una parte dell’opinione pubblica sarda come elemento unificante, e come elemento estremamente divisorio per la restante parte. Il suo ultimo documento, incentrato sui valori dei Sassarini nella Grande Guerra e sul loro leader più rappresentativo, il Capitano Emilio Lussu, non è stato esente, da quando è stato pubblicato all’inizio di agosto, da attacchi e critiche che si cristallizzano principalmente su due motivazioni. La prima: l’appropriazione indebita dei caduti della Brigata Sassari per fini politici; la seconda: l’uso strumentale di Lussu e dei suoi contenuti autonomistici per rivendicare una certa idea di sardità nell’alveo di una strategia politica continentale.

Ammetto che la mia analisi del testo è pregiudicata dall’aver preso parte a quella commemorazione che, come potranno confermare i molti presenti, si è rivelata particolarmente coinvolgente ed emozionante. Eravamo lì per rievocare e per commemorare. “Non dimenticateli, non dimenticateci” ha detto nel suo discorso il Gen. Pino, e in molti ci siamo commossi. Tutti noi eravamo lì per tenere viva la nostra memoria, ed è rispetto a questa che vorrei sviluppare il mio ragionamento e cercare di dimostrare che, anche se l’estensore del documento è un uomo politico, non è legittimo alimentare tout court accuse di strumentalizzazione.

Ognuno di noi è portatore di diversi tipi di memorie. La nostra memoria individuale contribuisce alla costruzione della nostra identità: è grazie ad essa che ci mettiamo in relazione col passato, ed è sulla base di essa che costruiamo la nostra appartenenza a un gruppo o a una collettività, definendo nel contempo la nostra storia fatta di scelte e di significati personali. Essendo anche animali sociali, il nostro appartenere ad uno o più gruppi ci consente di sviluppare un’attitudine relazionale che agisce in un quadro di riferimento collettivo fatto di simboli e rappresentazioni del passato nel quale si inserisce anche la nostra memoria individuale. E qui che, col contributo di più soggetti, si costruisce la memoria collettiva, in cui prendono forma i racconti e i ricordi di ciascuno. La memoria collettiva, nel suo rappresentare il passato comune a un’entità sociale, diventa espressione dell’identità del gruppo che ne è portatore, e costituisce un ponte con gli interessi e i progetti che vengono attuati nel presente. È alla memoria collettiva che si collegano gli effetti sociali di un avvenimento, nel nostro caso specifico la Grande Guerra: il continuare a ricordare questa tragedia consente di mantenerne viva la memoria prolungandola nel tempo, e consolidare il ricordo collettivo che confluisce nella memoria sociale, prodotto dalle diverse memorie collettive.

La memoria sociale è sottoposta al ciclo della storia e a un giudizio sociale che non si mantiene costante nel tempo, perché ciò che era buono e giusto nel passato, potrebbe non esserlo più se analizzato con lo sguardo del presente. Ma è proprio nel confronto tra ieri e oggi che Pili celebra la memoria sociale dei Sassarini, esaltandone l’insegnamento: la rievocazione dei fanti sardi morti nella Prima Guerra Mondiale viene utilizzata come uno specchio con cui l’odierna società sarda è costretta a confrontarsi, per diversità di valori, ideologie e obiettivi rispetto al presente, con lo scopo di ridare luce e recuperare quanto di buono, esemplare e meritorio è stato fatto da quegli uomini ormai quasi cento anni fa. La memoria sociale dei Sassarini di ieri si alimenta del ricordo di fama e prestigio che furono, si, tributati già durante la guerra con la definizione di “intrepidi Sardi”, ma che solo il costante ricordo e le ripetute commemorazioni continuano a perpetuare nell’orizzonte della memoria pubblica dei Sardi contemporanei.

Guardarsi allo specchio implica un atto retrospettivo, un recupero di ciò che è stato per riuscire a collocarci nel nostro tempo storico, utile ad alimentare una visione prospettica di un futuro in cui assumerci la responsabilità di quei valori che abbiamo ereditato. I Sassarini di inizio Novecento hanno incarnato i valori della società sarda, e questo basta a recuperarli oggi alla nostra memoria sociale, dal momento che hanno rappresentato, e continuano a rappresentare, un elemento distintivo della nostra cultura e della nostra storia di popolo, con buona pace di chi li identifica con un mito eteroimposto dalla cultura italiana dominante. Nell’esortare al recupero di quei valori (onore, coraggio, fierezza, ardore, altruismo) anche per la Sardegna contemporanea, dunque Pili, benché non ne abbia l’esclusiva, cerca di ristabilire il rapporto tra la memoria dei caduti e i vivi, con una presa d’atto che non è frutto di contingenze individuali legate al particolare clima politico che sta attraversando l’Isola in vista delle prossime elezioni regionali, ma rappresenta il continuum di un progetto consapevole che ha da sempre caratterizzato la storia di militanza civile e politica del deputato. Questa presa d’atto suscita però in alcuni il legittimo sospetto nei confronti di un capovolgimento di senso del discorso sociale sui nostri morti, che vengono considerati a rischio di strumentalizzazione. Va da sé che il rapporto simbolico che Pili intende instaurare tra i Sassarini della Grande Guerra e i Sardi contemporanei trasforma il mito in un volano politico, ma in ciò non c’è niente di strumentale. Data la storia di impegno ed interventismo del parlamentare, si tratta di una mera conseguenza.

I Sardi comuni, contadini e pastori, mandati al fronte tra il 1915 e il 1918, con il loro sacrificio sono diventati una gloriosa schiera sacra alla Patria, e ancor di più ai Sardi tutti. Emilio Lussu, uomo illustre padre dell’autonomismo sardo, ha consolidato in seguito con il suo percorso politico le virtù di quella gloriosa schiera, rinforzandone il mito: “[…] è l’uomo più popolare della Sassari e della Sardegna, il generoso e severo Capitano dal berretto calato sulla fronte pensierosa; il più grande, il più valoroso, il più sardo fra i sardi della Brigata Sassari; colui il quale più di ogni ha contribuito a dare un volto particolare alla Brigata, che parlava ai fanti non delle lotte dell’oggi ma di quelle del domani, quando, carichi di gloria e di ferite, sarebbero ritornati alla loro terra, a prendere, da uomini, i loro diritti” (Leonardo Motzo, Gli intrepidi sardi della Brigata Sassari, Cagliari, 1930). Per questo la Brigata e il suo Capitano meritano di essere ricordati: per conferire loro il giusto posto nella memoria sociale dei Sardi, e per continuare ad agire quei valori e quelle azioni che nel passato hanno segnato la consapevolezza e la rinascita dei Sardi come popolo. E ben venga chi decide di attualizzare quei valori e quelle azioni mettendoli nella propria agenda nel tentativo di risvegliare le coscienze della gente di Sardegna, incitandola a una presa di responsabilità.

Partendo dal suo vissuto e dalla sua storia personale, quindi dalla sua memoria individuale, Pili riporta l’attenzione su cosa è importante per sé come politico (dice: “Non state a guardare, non sentitevi rassegnati e impotenti […]Ribelliamoci con la stessa abnegazione di chi ha ceduto la vita per la libertà del nostro popolo. Troviamo il coraggio di azioni forti, capaci di illuminare le discriminazioni e le negazioni”) e che percepisce come importante per i Sardi, ai quali chiede conferma di questa percezione esortandoli ad una reazione comune. Non una strumentalizzazione, dunque, ma il recupero e l’attualizzazione di valori antichi per incitare le donne e gli uomini di Sardegna al cambiamento riscoprendo e rivalutando il proprio passato, di cui non bisogna mai perdere le memorie.

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2 commenti

  1. GIANNINI PIERVINCENZO

    SONO STATO AGGREGATO NEL 69 ALLA BRIGATA SASSARI A TRIESTE ,OVVIAMENTE COMPOSTA QUASI TUTTA DA SARDI E NE HO RICEVUTO I PU" BEI RICORDI DA MILITARE E POSSO VERAMENTE DIRE CHE I SARDI SONO UN POPOLO MERAVIGLIOSO E GENEROSO . PIU" LI CONOSCI E PIU" lI STIMI E APPREZZI-GRAZIE VECCHI RAGAZZI DEL 68-69 E UN CARO SALUTO ALLA BRIGATA

  2. Augusto Brigas

    A sa Brigada Sassari
    In Rimas Eroicas ( ed. Pagani-OR- 1923 ) Mastru Gavinu Ruggiu, poeta bosano e soldato sardo nella Grande Guerra, dedica un’ode, quasi un’elegia, alla gloriosa Brigata Sassari.
    Non si tratta di rime di maniera, ma di un convinto omaggio poetico al sacrificio della Sassari sugli altipiani del Carso e nelle terrificanti battaglie di Monte Cappuccio, delle trincee delle Frasche e dei Razzi. Nelle gesta dei Sassarini Gavino Ruggiu vede il perpetuarsi del coraggio della gente sarda che saluta con un verso antesignano delle parole del celeberrimo inno della moderna Brigata: …istirpe noa de s’antiga digna….
    Ma nell’iniziale retorica patriottica di Rimas Eroicas si fa strada un più sentito sentimento di sofferta partecipazione al dramma della guerra. Per la prima volta nella sua composizione poetica bellica, il grido finale che il poeta pone in bocca alla Sardegna esprime il suo desiderio interiore, profondo, affranto davanti al fiume di sangue che vede scorrere senza tregua, commosso dall’eroismo dei tanti suoi compagni che non vedranno mai più la loro amata Terra.
    A Sa Brigada Sassari
    Partint da unu logu aspru e selvaggiu
    Po sa noa titanica impresa,
    Fint sos tepores ultimos de Maggiu
    Ozieri esultiat cun grandesa:
    Partint, s’insoro indomitu coraggiu
    Giughent cun disinvolta fieresa
    Sa patria los giamat totu cantu
    Lassan’a custu invitu elettu e santu.
    Han lassadu s’aradu’e dogni caru
    Ammentu in s’adorada isula insoro,
    Sa passione est dura, ma s’amaru
    Piantu ‘no li sagitat su coro:
    Tent acrescher de gloria riccu laru
    A s’insoro sublime altu decoro,
    Tet opponner tremendu baluardu
    Votadu a morte ogni soldadu sardu.
    Calcinato los ospitat, dimora
    Lis dat benigna, sa lombarda zente,
    E los ammentat los biden’ancora
    Partire tot’umpare allegramente;
    Nd’hant sighidu sas glorias a dogn’ora
    Candu in Monte Cappucciu eternamente
    S’est su nomene insoro immortaladu
    Po su raru erosimi chi ha mustradu.
    De nou Sabaudu appellu
    Los giamad’a sas portas de Gorizia
    B’andan’e da su nobile drappellu
    Non tralughet ne dolu e ne mestizia,
    Ma s’isulanu ritmicu istornellu
    Lis fiorid’in laras cun letizia.
    Tenebrosa est sa notte e sussultadu
    Nd’han’t sas tristas ruinas de Sagradu.
    Su duru Carsu lis ponede in vista
    Sos caros litos de s’isul’amada,
    Est lugubre sa notte, m’ant sa trista
    Visione de morte allontanada
    E current che leone a sa conchista,
    Had’istranos bagliores dogn’ispada
    Conchistende, o sublimes epopeas
    De sas Frascas e Razzos sas trinceas.
    Tragica est s’ora, in vampa e fogu ardente
    Si trasforman e tristu campusantu
    Sas leadas trinceas, ma niente
    Podet diminuire s’agguantu:
    Dogn’inimigu assaltu pius furente
    In sa muraglia umana est infrantu.
    Veru cun nou samben han pagadu
    Ma su samben fraternu l’han pagadu
    Ma su samben fraternu hant vendicadu.
    O grand’Isula posta in su Tirrenu
    De virtudes mirabiles padrona
    Cun su coro e martirios pienu
    Mira su Carsu insambenadu intona
    Po tantos fizos tuos cun serenu
    Coro mortos po s’Itala corona
    Paghe, paghe o Eroes de Sardigna
    Istirpe noa de s’antiga digna.
    scritta da Mastru Gavinu, sergente maggiore della Brigata Sassari, a Sagrato nel novembre 1915
    Trasmette il nipote del poeta, Augusto Brigas di Bosa.

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