NUORO, CITTA' CHE PRODUCE TALENTO ED INTELLIGENZE: VIAGGIO NELL'ATENE SARDA

la statua del Redentore che domina la città di Nuoro


di Omar Onnis

O per meglio dire Nùgoro. Luogo misterioso ed evocativo del nostro immaginario. Del nostro immaginario di sardi ma anche spesso dell’immaginario altrui. Essere al contempo un luogo reale e una ambientazione romanzesca genera questi effetti distorsivi.

Nuoro emerge dalle oscurità della storia più antica a partire dalle fonti medievali, in particolare nei condaghes (i registri dei monasteri sardi), benché esistano evidenti tracce di popolamento umano almeno dal periodo nuragico. Si sa poco sulla sua vicenda urbanistica e demografica, se non per indizi sparsi e ricostruzioni parziali e poco approfondite. Il villaggio di Nugor doveva avere una certa importanza aministrativa nell’ordinamento del regno giudicale di Torres, fino al XIII secolo. Si ritiene che più o meno in questo periodo, allorché il territorio divenne parte del regno giudicale di Arborea, o poco più tardi, i due abitati chiamati oggi Santu Predu (il nucleo originario della Nugoro storica) e Sèuna (probabilmente popolato dagli abitanti di un omonimo villaggio posto sulle pendici del Monte Ortobene) si siano uniti, a formare l’agglomerato su cui si è sviluppata la Nuoro moderna e contemporanea. Il salto di qualità, quanto a prestigio e centralità istituzionale, Nuoro lo fa, in epoca sabauda, nel 1779, quando diventa sede vescovile. Nel corso dell’Ottocento acquisisce rilevanza amministrativa e giudiziaria, ottenendo il titolo di città (1836). Infine, nel 1927, viene decretata la definitiva erezione a capoluogo di provincia (quindi a sede di prefettura), dentro l’ordinamento fascista dello stato, a vantaggio del controllo di un territorio sempre irrequieto. Da allora ha a lungo visto crescere la propria popolazione, fino a qualche anno fa, quando la tendenza si è arrestata e poi invertita. Oggi Nuoro è una città in fase di ripiegamento su se stessa, con una popolazione che tende all’invecchiamento, data la fuoriuscita di giovani che i ritorni e i nuovi apporti non compensano affatto. È un segno di decadenza.

Eppure Nuoro, nonostante l’attuale fase calante, è pur sempre l’Atene sarda. Questa attribuzione altisonante fu coniata ai primi del secolo scorso, quando qualche osservatore si meravigliava che da questo borgo pastorale delle Barbagie emergessero talenti intellettuali e creativi di prim’ordine. Grazia Deledda, Sebastiano Satta, Francesco Ciusa assurgevano allora agli onori delle cronache italiane e pareva quasi un controsenso. In quegli stessi anni Nuoro era sede di campagne militari contro i banditi e diventava tristemente celebre come capoluogo di un’area malfamata e sfortunata, incomprensibile e barbarica, conservativa e ostile. Che potesse produrre anche arte e letteratura a un livello altissimo non si confaceva allo stereotipo narrativo attribuitole. La sua fertilità intellettuale e artistica ha poi prodotto altri frutti nel corso del XX secolo, spesso a dispetto dei problemi materiali cui è andata incontro.

Nuoro in questo senso è molto rappresentativa di ciò che sono state e sono le Zone Interne. Rappresentativa perché le riassume senza esaurirne né fagocitarne la forza creativa. Molti centri dei suoi dintorni hanno contribuito alla sua fama, con poeti e scrittori, artisti, avvocati, politici: Orune, Bitti, Orani e altri villaggi ancora hanno alimentato la nomea di Nuoro come capitale culturale della Sardegna.

In questa fama altisonante, spesso contestata da Cagliari e Sassari ma molto viva nel resto dell’Isola, c’è del vero e al contempo dell’enfatico. Quel che si può dire è che Nuoro è una rosa con tutte le sue spine. Una realtà complessa, difficile da capire per chi non ci sia nato o non ci viva dentro a lungo. Il nuorese tipo è un soggetto che assomma in sé molti pregi e moltissimi difetti, come recita esaustivamente il noto sonetto del canonico Solinas:

Su nugoresu

Bellu d’aspetu, forte e corazudu,
amante de sa patria e de s’onore,
amat s’amicu de sintzeru amore,
ponet sa bida pro li dare azudu.

Est befulanu, mandrone e limbudu,
brigantinu e irrocat che pidore,
mantenet totu bida su rancore,
bibet che turcu e cotu est tusturrudu.

Pipat continu e fachet s’ispacone,
de lesorja si tirat a s’ispissu,
furat semper cand’at ocasione.

In s’idea chi picat restat fissu;
insomma est propiu roba ‘e recrusione;
ma sa fama… oh! sa fama est pejus d’issu.

Il nuorese. Bello d’aspetto, forte e coraggioso/amante della patria e dell’onore,/ama l’amico di sincero amore,/rischia la vita per dargli aiuto./È beffardo, pigro e linguacciuto,/attaccabrighe e bestemmia come un mendicante,/mantiene per tutta la vita il rancore,/beve come un turco [sic!] e sbronzo è testardo./Fuma di continuo e fa lo spaccone,/armeggia spesso col coltello,/ruba sempre qundo ne ha l’occasione./Si fissa nell’idea che prende;/insomma, è proprio un avanzo di galera;/ma la fama… oh! la fama è peggiore di lui.

Le caratteristiche antropologiche dei suoi abitanti si riflettono inevitabilmente nell’urbanistica. Nuoro è una città che sembra sempre sul punto di essere bella ma che ti delude ad ogni angolo. Le devastazioni dell’edilizia rapace e casuale degli ultimi quarant’anni ne hanno snaturato l’aspetto. L’incuria con cui i nuoresi la trattano – a cominciare dalla sua classe dominante e dalla politica cittadina (pronta poi a prendersela con “i teppisti”, facile capro espiatorio della propria inettitudine) – ne frustrano il fascino.

Eppure Nuoro continua ad essere una città che produce talento e intelligenze. Sarà che laddove si siano prodotti una volta poi è facile che si riproducano (per emulazione, per adeguamento ad uno standard consolidato), sarà il livello sempre buono se non ottimo delle sue scuole, ma è innegabile che quanto a dotazione intellettuale Nuoro è ancora fertile e stimolante e rimane un centro al contempo molto caratterizzato dalle proprie tipicità e molto poco provinciale, molto meno di Cagliari, ad esempio, al contrario di quanto si potrebbe supporre per collocazione e dimensioni.

Di certo si può dire che la Sardegna senza Nuoro sarebbe molto meno Sardegna, in più d’un senso. Cosa che non si può dire di tutti i luoghi dell’Isola.

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