GAIA … TRA LA TERRA E IL MARE DELL'ISOLA

 

nella foto, l'autrice dell'articolo


di Valentina Usala

È una gradevole notte d’inizio estate. La luna piena è alta in cielo. Si riflette sul mare, sfiorato da una lieve e impalpabile brezza mediterranea. Come uno specchio allunga la sua luce sino a schiarire il bagnasciuga umido. I piedi ci sprofondano dentro all’arrivo di ogni onda incostante, che divora la carne con la spuma salata. Gaia è lì, irradiata da quel bagliore e assorta dal suono del mare, che rimbomba come un eco distratto nel circostante frastuono del silenzio. È l’ultima notte prima della partenza. Gaia decide di trascorrerla tra gli anfratti di quella cala, nascosta dalla rocce e abbracciata dal suo mare. Indossa una veste in seta, che la avvolge timidamente. Si avvicina all’acqua, sempre più. Un respiro profondo: incorpora odore di arbusti della macchia, pini marittimi e note salmastre. Si immerge lentamente, come fosse una danza cadenzata; il moto ondoso la inghiottisce in progressione. Cammina e la seta si è attaccata alla pelle, come il blu fradicio e il sale arido, che assieme ardono la sua pelle. Avanza. I capelli lunghi galleggiano sott’acqua, e ora la sua bocca sa di un indefinito sapore caustico, che pizzica la lingua. Morsica l’acqua. La addenta flettendo il capo all’indietro fino ad incendiare la gola. Deglutisce quel mare, arriva allo stomaco che gioca impari al cuore. Una sensazione di arsura risale dal naso sino a comprimere i pensieri. Apnea. Apre gli occhi e tutto attorno è il nulla. Bruciano, quegli occhi. Non c’è più suolo e galleggia sospesa tra cielo e mare. Un flutto la spintona: rumore d’acqua, che il suo corpo taglia come un coltello fa con la polpa. Improvvisa un magico ballo: le gambe si muovono con leggerezza, le braccia con grazia, il corpo intero si ripiega su se stesso, cullato dalla bonaccia. Accarezza quel mare, sfiora il suo volto per sentirlo su di lei e lo stringe in un pugno per sentirlo suo. Lui è il mare. Lei è la terra. È l’altra Sardegna.

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