SARDEGNA TURISTICA: SOGNO O REALTA'? DOPO I SEMINARI DI SINNAI E ARBOREA, INTERVISTA AL PROFESSOR GIUSEPPE MELIS DELL'UNIVERSITA' DI CAGLIARI

nella foto il professor Giuseppe Melis


di Elisa Sodde

Prof. Melis, Lei è professore associato di discipline manageriali presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Cagliari ed insegna Marketing e Marketing turistico: può spiegarci brevemente di cosa si occupa quest’ultima disciplina? Premesso che per evidenti ragioni di spazio occorre semplificare, in termini generali si può dire che il marketing turistico si occupa di come allestire un’offerta, sia a livello di singole organizzazioni che a livello di destinazioni, capace di soddisfare appieno le molteplici e sempre più differenziate attese di chi viaggia (la cosiddetta domanda finale). L’attenzione principale dell’azione del marketing turistico è rivolta sia alla comprensione di cosa cercano le persone che viaggiano (analisi della domanda) sia a quella successiva concernente la creazione e l’organizzazione di un’offerta appropriata – utilizzando le risorse di varia natura di un dato contesto ambientale, sociale e territoriale – capace di intercettare gli interessi e le aspettative di queste persone, in rapporto anche ad altre offerte (analisi della concorrenza e ricerca di un vantaggio competitivo).

“Dalle risorse ai prodotti turistici”, questo è stato il titolo del suo intervento al Seminario “Sardegna turistica: sogno o realtà?” tenutosi ad Arborea (OR) il 20 aprile scorso. Quali sono, dunque, le risorse dell’Isola che possono esser efficacemente trasformate in prodotti turistici? La mia personale opinione è che la Sardegna nel suo insieme sia un giacimento di risorse unico e irripetibile, come peraltro ce n’è anche in altre parti del mondo. Ma queste risorse sono capaci di generare ricadute di reddito e occupazione solo se si è capaci di leggerle in modo integrato. Mi spiego: abbiamo risorse ambientali (quelle che tutti vedono e apprezzano), ma non sono le uniche. La ricchezza delle risorse di tipo culturale, storico, artistico, linguistico sono ai più note solo in superficie, nel senso che pur apprezzate non sono parte di un’offerta turistica integrata e vendibile nei mercati internazionali.

“Sardegna-Isola-turistica”: cosa manca affinché diventi realtà? Ecco, ricollegandomi alla domanda precedente, ciò che manca è la capacità di inserire le risorse che abbiamo in un “qualcosa” che sia vendibile, un prodotto per l’appunto. Quest’ultimo ha certo necessità di elementi di tipo naturale, artificiale (città, paesi, monumenti, aree archeologiche, ecc.), culturale (lingua, storia, tradizioni, cibo, ecc.) e sociale (il sistema delle relazioni che rende un contesto più o meno sicuro, gradevole, accogliente, ecc.), ma richiede come componenti essenziali un sistema di “facilities” (quali strutture ricettive, del tempo libero, ecc.) e di infrastrutture di accesso alla destinazione (trasporti interni ed esterni), il tutto integrato da adeguate informazioni volte a comunicare l’identità dei luoghi e gli altri elementi che ne rendono possibile la fruizione (prezzi, tempi, ecc.). L’insieme di tutto ciò caratterizza il prodotto in termini di qualcosa che diventa appetibile ed interessante e che può intercettare le aspettative di qualche segmento di clientela che poi è disposto a “pagare” per vivere una esperienza in un contesto come il nostro.

Può indicarci i giusti ingredienti per una ricettività che funziona creando positive economie di scala e duraturi posti di lavoro? Per principio sono contrario alle “ricette” perché sono una semplificazione che non fa giustizia della complessità delle situazioni. Vero è che ci sono alcuni ingredienti su cui lavorare: l’amore per la propria terra (che significa chiedersi ogni volta se quello che si ha in mente è giusto per i Sardi e per la Sardegna, di oggi e del domani), che dovrebbe riguardare tutti gli operatori turistici ma pure la gente comune; l’identità è un altro ingrediente da utilizzare con sapienza che significa non becero scadimento in manifestazioni folkloristiche ma attenzione alle modalità con cui noi possiamo esprimere noi stessi, la nostra storia, la nostra lingua, le nostre tradizioni nelle diverse manifestazioni: dall’urbanistica (non è indifferente come si progettano gli spazi urbani, le architetture, i materiali, ecc.) al cibo, dagli eventi al modo di interagire tra di noi e con gli altri; la professionalità intesa come preparazione adeguata ai tempi che viviamo (cultura dell’accoglienza; conoscenza di più lingue straniere per parlare con più popoli nel mondo ma anche della nostra lingua sarda perché gli altri sono curiosi di conoscere il nostro modo di esprimerci oltre che i nostri usi e costumi; propensione all’innovazione per offrire al turista sempre nuovi stimoli; ecc.). Per quanto riguarda le economie di scala io non vedo una concentrazione delle attività ricettive nelle mani di pochi, ma una diffusa presenza di strutture indipendenti di piccola e media dimensione, organizzate a rete, ognuna con una specificità propria ma insieme collegate per cooperare rispetto a ciò che può permettere di beneficiare di una riduzione dei costi, di economie di apprendimento, di condivisione di servizi comuni. Ciò sarebbe particolarmente importante con riferimento alla individuazione di specifici segmenti di mercato cui proporsi con una offerta ad hoc anche nei periodi di “bassa stagione”, quali per esempio tutti quelli del nord Europa che difficilmente sono interessati a venire in Sardegna nei mesi di luglio e agosto ma che invece, se ci fossero proposte adeguate, sarebbero ben lieti di venire nei mesi di ottobre e novembre e da marzo a maggio. Solo in questo modo anche l’occupazione potrebbe avvantaggiarsene perché le strutture sarebbero interessate a mantenere le persone che valgono con contratti più stabili, cosa che invece ora è impossibile per via del fatto che si lavora, quando va bene, solo 3 mesi l’anno.

Ritiene che un piano progettuale organico e strutturato, un disegno di politica turistica unitario, nel breve e nel lungo periodo, possa rappresentare il punto di svolta per un decisivo decollo economico della Sardegna? Sicuramente. Occorre un piano che non sia però un semplice documento come altri ne sono stati fatti che poi rimangono chiusi in un cassetto. Fare un piano per lo sviluppo turistico della Sardegna implica non una delega ad un gruppo di progettisti, ma avviare un processo di coinvolgimento di ampie fasce di operatori e cittadini che permetta di arrivare ad una visione condivisa di ciò che si vorrebbe sia il turismo per questa terra e di come tradurre questa visione in azioni concrete e coerenti con tale visione, nel breve e nel medio e lungo termine. Finora, anche in presenza di buoni documenti, questi sono rimasti sulla carta, proprio perché a mio modesto avviso questi non sono stati “digeriti” da chi poi avrebbe dovuto operare per tradurli in azioni concrete. E qui vorrei aggiungere che le responsabilità non sono solo delle amministrazioni pubbliche. Ognuno deve fare la propria parte e spazi di azione ce ne sono davvero tanti. Vorrei anche dire che la logica che spesso caratterizza il rapporto pubblico privato è viziato dal fatto che entrambi si basano su un approccio del “chiedere” qualcosa agli altri, mentre sono dell’avviso che ognuno debba entrare nell’ordine di idee di farsi la seguente domanda: cosa posso dare e fare io per concorrere al miglioramento complessivo dell’offerta turistica di questa Sardegna?

Cosa pensa dell’idea dei gemellaggi fra comuni sardi e quelli di altre regioni italiane o estere? Dal punto di vista di un manager turistico, reputa siano strumenti da incentivare? I gemellaggi sono uno strumento utilissimo perché permettono di trovare qualcosa che unisce due comunità diverse e specifiche. Il turismo è fatto di relazioni e di esperienze vissute e condivise: il gemellaggio tra città coinvolge certo le istituzioni in primo luogo ma poi anche altre parti di tali comunità, creando i presupposti per costruire proficue relazioni di mutuo scambio. In un contesto come quello attuale, di grande difficoltà economica per molte persone, questi gemellaggi potrebbero concorrere a creare occasioni di viaggio baste su forme di turismo sociale, finalizzate a favorire ampia partecipazione a costi contenuti e sulla base di esperienze divertenti ma sobrie. Questo vale sia per quanto riguarda le comunità italiane che quelle estere. Sarebbe anche un’ulteriore occasione per sviluppare la reciproca conoscenza delle lingue, circostanza questa che apre all’incontro e al confronto di culture diverse.

Un suo consiglio agli amministratori dei comuni sardi che intendono perseguire la strada della vocazione turistica dei loro territori.

In Sardegna ci sono 377 comuni e tutti affermano di avere una vocazione turistica. Ovviamente non voglio disilludere nessuno ma, come ho detto anche in precedenza, la vocazione si traduce in offerta solo se si è capaci di allestire un “prodotto” che sia attrattivo  per determinati segmenti di mercato. Avere risorse naturali o di altro tipo di valore non significa essere turisticamente attraenti. Onde per cui, premesso che è sempre antipatico dare consigli, soprattutto a chi è stato legittimamente votato dalla popolazione, la mia opinione è che se fossi amministratore cercherei di fare quello che istituzionalmente già è previsto che si faccia: prima di tutto avere un piano urbanistico comunale coerente con una prospettiva “identitaria”, che permetta il recupero dei centri storici sulla base dei materiali locali, inoltre conta molto il decoro urbano (pulizia, rispetto degli spazi pubblici, ecc.), e c’è poi lo spazio per iniziative che non richiedono investimenti importanti in termini di denari ma che coinvolgono la popolazione tutta. Si pensi per esempio ai fiori nei balconi, alle piante nei giardini pubblici, a qualche piccola area a verde attrezzata con giochi per bambini, a visite didattiche fatte dai maestri del luogo per i bambini delle famiglie che vengono a soggiornare li nei boschi, piuttosto che nelle spiagge, ecc. Le idee possono essere tantissime e in tanti comuni nel corso degli ultimi 15 anni possiamo notare iniziative di grande pregio che hanno permesso il recupero delle antiche strutture abitative, delle antiche pavimentazioni stradali, della realizzazione di iniziative di coinvolgimento popolare come le sagre, le feste patronali, ecc. Non basta perché poi occorrerebbe coordinarsi reciprocamente ed evitare per esempio che ci siano troppe manifestazioni sovrapposte tra esse, realizzare in comune alcuni servizi (come peraltro anche la legge ora impone in certi casi attraverso le unioni di comuni) anche di attività legate ad iniziative turistiche. A questo, ovviamente si possono aggiungere la realizzazione di programmi e progetti a medio e lungo termine per risanare interi quartieri laddove fossero degradati (penso per esempio a certe città in cui soprattutto a cavallo degli anni ‘70, ‘80 e ‘90 sono state realizzate opere di dubbio gusto, per non dire che sono uno sconcio. In ogni caso, per fare qualcosa di importante spesso è sufficiente andare e farsi un giro in altre parti del mondo per vedere cosa si fa, compresa l’Italia che nel Trentino Alto Adige e in Toscana ha degli ottimi esempi di come si può organizzare il sistema comunale per renderlo idoneo e attrattivo alle attività legate al turismo.

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Un commento

  1. SUUN CUICUMQUE TRIBUERE: Occorre sottolineare che i due Seminari di Studi sul turismo citati nell’articolo -quello tenutosi a Sinnai il 30 Novembre 2012, 1° Seminario di Alta Formazione: SVILUPPO TURISTICO E MOBILITA’ SOSTENIBILE, e quello di Arborea del 20 Aprile 2013, SARDEGNA TURISTICA: SOGNO O REALTA’? – sono stati promossi ad iniziativa dell’Associazione dei Sardi Sebastiano Satta di Verona e dall’Associazione CEDISE di Sinnai, oltre, naturalmente, al sinergico impegno, organizzazione e condivisione d’intenti da parte delle Amministrazioni dei comuni, Sinnai ed Arborea, ospitanti le due manifestazioni, alle quali va senz’altro un grande plauso per aver offerto locations, mezzi, lauto ristoro degli ospiti e quant’altro necessario alla perfetta realizzazione di queste interessantissime iniziative.

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